Capitolo 5. Furia scatenata

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Ed Warner aveva sempre saputo che Mark avrebbe riscosso una certa fama alla Toho School, solo non credeva accadesse così presto e, soprattutto, non in quelle bizzarre circostanze.
Il martedì mattina, tutta la scuola parlava dell'imminente sfida tra il neo capitano della squadra di calcio e una delle nuove leve del club di pattinaggio. In molti vennero a chiedere a Ed chiarificazioni sull'incontro, il luogo e l'ora. Il portiere era indeciso se parlarne o meno; sospettava che a Mark avrebbe dato parecchio fastidio avere troppo pubblico. Agli occhi altrui poteva apparire come un'esibizionista incallito, ma a lui non piaceva farsi notare se non si trattava di mettere in mostra le proprie doti atletiche. Ed lo sapeva perché la pensava esattamente come lui.
Tuttavia, credette non ci fosse nulla di male nel fare un po' di pubblicità al suo capitano e, di conseguenza, alla squadra intera. Così, Warner cantò, e la notizia corse veloce come il fulmine attraversa il cielo, dando il via a una reazione a catena di voci incontrollate che il mercoledì si era già tramutata in una serie di teorie selvagge.
Le chiacchiere distorte facevano passare Mark come il carnefice e Kira come la povera vittima indifesa, benché indifesa non fosse per nulla. C'era chi credeva che la Brighton fosse stata tirata dentro qualche strana scommessa, o che si fosse ritrovata per caso in una bisca sospetta dove Lenders l'aveva pescata in situazioni indicibili e l'avesse poi ricattata. C'erano i maestri dell' io ho visto tutto, quelli che pretendevano di sapere come si fosse svolta 'in realtà' la sfida, ma la realtà era che avevano scoperto l'esistenza della tale solo un'ora prima. E poi c'era chi conosceva la reputazione non proprio immacolata di Mark ai tempi delle elementari, presagendo sfortune e infortuni per la sfidante.
Il giovedì, le teorie selvagge portarono tutte e sei le sezioni di prima media a dividersi in due fazioni. Sia Mark che Kira non riuscivano a varcare una classe o girare l'angolo di un corridoio che, prontamente, sbucava qualcuno ad augurare loro in bocca al lupo. Alcuni avevano persino scommesso!
Ovvio più dell'ovvio, il capitano della Toho trovò la cosa assolutamente fastidiosa, data l'intolleranza alla vicinanza di altri esseri viventi che non fossero i compagni di squadra. E quando una cosa infastidiva Mark, il suo umore scendeva sotto la media. Sfoderava occhiate intimidatorie ben poco incoraggianti, così nessuno osava avvicinarglisi.
Al contrario di lui, Kira Brighton sembrava non mostrare alcun segno di turbamento. Non si vantava di essere la prima e unica sfidante femmina che Mark avesse mai avuto, ringraziava quando qualcuno si complimentava per il suo coraggio, ma a parte questo manteneva la concentrazione sul suo obiettivo senza farsi distrarre dalle lusinghe.
Infine, giunse il venerdì.
Yumi Ito, una compagna di classe di Ed e Mark, Ian e Nicholas, si fece largo tra i banchi durante l'intervallo, attirando l'attenzione dei quattro compagni che stavano chiacchierando. Di cosa? Ma di calcio, ovviamente!
«Lenders, c'è Kira Brighton che vuole parlarti»
«Mh?» Mark si voltò e la vide sulla porta della classe, le braccia incrociate e l'espressione risoluta. «Che seccatura» sbuffò alzandosi.
«Non so proprio come si faccia a pensare di far del male a una ragazza che è la metà di te. Dovresti vergognarti!» disse Yumi in tono contrariato, tornando poi a prendere posto nei banchi davanti. Appena sedette, il solito capannello di amiche le si fece intorno.
Evidentemente, non tutti a scuola aspettavano la sfida con entusiasmo.
Mark raggiunse Kira sulla soglia dell'aula e li si fermò. Infilò le mani nelle tasche dei pantaloni, fissandola dall'alto del suo quasi metro e ottanta. A guardarla bene, lei era effettivamente la metà di lui, ma aveva uno sguardo così penetrante che – Mark poteva giurarci – non avrebbe avuto paura nemmeno se avessero fatto a pugni per davvero.
«Cosa sei venuta a fare? La gara è oggi pomeriggio»
«Sono venuta a sincerarmi che tu fossi a scuola»
«Credevi mi tirassi indietro?»
«Non si sa mai». Kira strinse gli occhi, intensificando lo sguardo. «Ricorda la posta in gioco»
La faccia incavolata di Mark sarebbe bastata come risposta. «Pagherò il debito, bambinetta. Se vincerai»
«Vincerò!»
«Credici fino alle tre»
Una vena si mise a pulsare sulla fronte della ragazza. La stava sottovalutando.
«Tutto qui quello che dovevi dirmi?»
«Sì, tutto qui. Vedi di non tardare». Kira si allontanò a gran passi verso la propria classe. Sentiva lo sguardo di Lenders sulla schiena.
Era assolutamente certa di batterlo. Si era allenata a giocare a calcio per una settimana intera, con scarsi risultati, era vero, ma aveva messo a punto un'idea che poteva funzionare. E se tutto filava liscio, la settimana ventura avrebbe avuto la sua bici riparata e pronta a tornare sulla strada.
Per uno strano scherzo del destino, però, c'era qualcosa che le impediva di mantenersi serena come lo era stata durante tutta la settimana. Le prudevano le mani, le quali iniziarono a diventare sudaticce. Il quadrante del suo orologio parve assumere la funzione di un magnete per i suoi occhi, i quali ne venivano attirati ogni mezzo minuto come calamite. Contava i minuti.
Al cambio d'ora, uscì a sbirciare cosa faceva Mark Lenders. Lui era come sempre fuori dalla sua classe, appoggiato alla parete accanto alla porta a chiacchierare con il solito amico capellone, alias Ed Warner, leggermente più alto di lui.
Alto.
Lei non era bassa ma paragonata a quei due...
Con la scusa di veleggiare verso il bagno, passandogli davanti, l'altezza di Mark le parve considerevolmente aumentata. Era senza dubbio una visione soggettiva. Le persone non acquistano centimetri nell'arco di due o tre ore, era scientificamente impossibile.
«Kira, ti senti bene?» le chiese una apprensiva Jem.
«Sì. Benissimo. Perché?»
«Sembri preoccupata»
«N-no, per niente»
«Oh, io te l'avevo detto di lasciar perdere, ma tu non mi hai voluto ascoltare»
Kira emise una risata tremula che voleva essere rassicurante. «T-tranquilla, tranquilla»
Non era preoccupata, era solo...
Okay, magari un pochino...
Durante le ore del club, le sue gambe divennero improvvisamente instabili e il suo corpo rifiutava di fare ciò che gli comandava.
Non c'era ragione perché si sentisse così.
Non sono nervosa, non sono nervosa...
Un paio di compagni del pattinaggio le si fecero incontro con espressioni ammirate.
«Ehi, Brighton, è vero che oggi sfiderai il capitano della squadra di calcio?»
Kira cercò di darsi un tono, alzando il mento e puntando i pugni sui fianchi. «Ma come, ancora non lo sapevate? Se ne parla da giorni!»
«Certo, lo avevamo sentito ma stentavamo a crederci» risposero i compagni.
«Accidenti, che coraggio!» disse una ragazza. «Io avrei paura anche solo ad incrociarlo per strada, quel Lenders»
«Verremo tutti a fare il tifo per te!»
«Grazie, siete molto gentili» rispose Kira, ostentando una sicurezza che stava venendo meno. Non aveva temuto la sfida fino a quel momento, perché ora sì?
Mentre si allontanava in un'altra parte della pista, udì i compagni bisbigliare: «Certo che ha fegato. Poverina, speriamo vada tutto bene, perché lui è proprio un armadio...»
Un armadio, un muro, un pezzo di marmo, qualcosa di solido e impenetrabile spesso come...
«La barriera...»
«Eh?»
«Kira-chan, attenta alla...»
SBAM! Kira andò a cozzare bruscamente di schiena contro la barriera della pista, e per poco non rotolò dall'altra parte.
Era così che si sarebbe sentita quando si fosse scontrata contro Mark Lenders? E per scontrata intendeva proprio scontrata, sbattuta addosso, percossa, tagliata a pezzettini, frullata, impastata, cotta e impacchettata.
«Kira!» esclamò Jem, correndo da lei.
«Sto bene, sto bene. Ero un po' distratta». Aveva male al fianco destro, alle costole, un gomito indolenzito. Bè, poteva sopportarlo quel dolore... o lui le avrebbe fatto più male?
«Brighton, stai sbagliando tutti i passi!», le gridò il coach Kanagawa. «Che cosa combini?»
«Mi scusi!»
No e poi no. Non era nervosa e non aveva paura. Era...era... aveva mangiato qualcosa di indigesto. Ecco. Lo stomaco le si contorceva come una serpe selvaggia ma non per colpa di Mark Lenders. Non perché pensava che era almeno dieci centimetri più alto di lei, tanto muscoloso; e non era nemmeno il pensiero di doverlo battere di lì a un'ora e mezza in una sfida di calcio, disciplina sportiva in cui lei faceva completamente schifo.
In pochi secondi, Kira si rese conto del tremendo casino che aveva combinato.
Chi diamine voleva prendere in giro? Lei non sapeva giocare a calcio, non avrebbe mai imparato e sarebbe stata battuta. Che umiliazione! Avrebbe sicuramente fatto la figuraccia più colossale della sua vita davanti a mezza scuola, e Mark Lenders l'avrebbe presa in giro vita natural durante.
Alle tre, la sua temperatura corporea sembrava essere salita eccessivamente. Goccioline di sudore le scivolavano sulla schiena. Di lì a un minuto sudava come una fontana.
Il caldo. Era solo il caldo.
I ragazzi del team di pattinaggio avevano deciso di andare a fare il tifo, saltellando dietro la compagna con espressioni eccitate in viso.
Man mano che si avvicinavano al campo sportivo videro che una gran bella folla di spettatori gremiva gli spalti. Alcuni tra i più esaltati avevano preparato persino degli striscioni di incoraggiamento, chi per Kira, chi per Mark.
Proprio lui, se ne stava a centro campo, in attesa. Le braccia incrociate al petto, il viso serio e impassibile, con un piede sollevato teneva fermo il pallone sull'erba. Era la calma fatta persona. Solo le grida degli spettatori sembravano dargli fastidio.
Mark non concepiva tutto quel baccano. Quegli idioti si erano dati tanto da fare per un incontro che sarebbe durato una manciata di secondi. Qualsiasi cosa avesse architettato quella svampita, lui l'avrebbe mandata a monte con un solo tiro.
«Guarda la sua faccia!» fece Jem in un'esclamazione strozzata. «Spietato e crudele. I suoi scarpini sono sporchi di sangue di povere vittime innocenti»
Un brivido freddo corse lungo la spina dorsale di Kira. «Ugh...Jem, non starai esagerando, ora?»
I compagni del pattinaggio si raccolsero attorno a lei con facce di chi sta per dare l'ultimo saluto a un defunto. «È stato bello conoscerti», piagnucolarono.
«Oh, basta!» esclamò la ragazza. Gli altri fecero un salto indietro. «Che diamine! Mica sto andando in guerra!». No, stava solo per incontrarsi con la versione tredicenne di Kenshiro. «Non temete, sono perfettamente padrona della situazione».
«Ripensaci, sei ancora in tempo» pregò Jem per l'ultima volta.
Kira gonfiò il petto. «Ho dato la mia parola».
«Muoviamoci, non ho tutto il giorno» esclamò Mark da centro campo.
Kira inspirò lungamente ma dimenticò di espirare mentre camminava verso Lenders, arrivando davanti a lui con le guance gonfie come un palloncino.
«Sembra tu abbia ingoiato un rospo».
Kira si sgonfiò e deglutì più volte. Alzò un dito tremante, cercando di nascondere la sua...e va bene, la sua paura.
«Oggi decideremo il nostro destino!» enunciò con enfasi.
Mark la fissò con espressione assente. Certo che ne diceva di cavolate...
Il capitano della Toho fece scattare il piede, diede un calcetto al pallone prima con la punta della scarpa, poi con il ginocchio, con la testa. Infine, con un leggero colpo di testa, lo lanciò verso Kira, la quale lo prese al volo.
«Spiegami le regole»
«È molto semplice» iniziò lei. «Non faremo una vera partita, sarebbe troppo complicato. Dovremo soltanto cercare di rubarci la palla a vicenda. Chi per primo farà tre goal all'altro avrà vinto»
Mark si era aspettato una stupidaggine del genere. Come avrebbe potuto organizzare qualcosa di più complesso una che non conosceva le regole del gioco?
«E i portieri?»
«Niente portieri»
«Niente portieri?» esclamò lui, incredulo.
«È una gara solo tra noi due, Lenders» gli ricordò Kira. «Lo scopo è impedire all'altro di rubargli la palla, nient'altro»
Nient'altro? «Ma questo non è calcio, allora!»
«Tu sceglieresti di sicuro quel tuo amico capellone, e io perderei» disse Kira indicando Ed. «Ho visto come gioca: è al limite dell'impossibile, peggio di una scimmia ammaestrata»
Scimmia?
Una fugace visione di Ed Warner appollaiato sulla traversa, con coda a ricciolo e banana alla mano, passò per la mente di Mark. Non cadde a terra per l'incredulità solo perché il proprio carattere gli imponeva di mantenere una parvenza di serietà.
Lei era assurda, però aveva ragione: se avesse schierato Ed in porta sarebbe stata una cattiveria. E poi doveva tenere a mente che non era una vera partita.
«E va bene, come vuoi tu» le rispose. «Ho praticamente già vinto»
«Lo vedremo!». Kira si erse in tutto il suo metro e sessantacinque. Era alta per la sua età e per essere giapponese. Oh, lui non sapeva che le sue gambe lunghe le avevano dato grandi problemi e grandi vantaggi. Alle elementari tirava un sacco di calci a chi la infastidiva e arrivava sempre prima nei giochi in corsa. Quelle gambe si erano allenate per anni a sostenere il peso di tutto il suo corpo quando atterrava su un solo piede sopra il ghiaccio dopo un salto doppio o triplo.
Poteva farcela se sfruttava quella peculiarità.
«Ci serve un arbitro» aggiunse lei dopo qualche secondo.
«Lo faccio io» si offrì Eddie Bright, andando a recuperare velocemente un fischietto dagli spogliatoi.
Il sole era alto in cielo, la temperatura si era alzata.
Eddie tornò poco dopo con un fischietto nero al collo, posizionandosi tra i due avversari. Come aveva fatto Kira, prese una moneta. «Testa per la palla, croce per il campo»
«Testa» disse subito Kira. La prima volta aveva scelto croce e le aveva portato sfortuna.
«Va bene se prende lei la palla» disse Mark, l'aria strafottente. «Le darò un vantaggio»
«Non accetto favoritismi» replicò subito la ragazza. Per chi l'aveva presa, per una mollacciona?
Eddie guardò il suo capitano per capire cosa fare. «Mark?»
«D'accordo, nessun vantaggio. Croce. Vai»
Eddie lanciò la monetina. Il pubblico trattenne il fiato.
Uscì testa, per cui Kira ebbe il pallone e Mark scelse il campo.
«Pronti?» disse infine Eddie, camminando all'indietro per lasciare spazio ai due giocatori.
Mark fece schioccare le nocche di una mano.
Kira strinse i pugni con tutta la forza che aveva e deglutì più volte.
Mi romperà le ossa...ma non mi arrenderò.
Eddie fischiò l'inizio dell'incontro, subito seguito da un coro di incoraggiamenti dagli spettatori.
Kira cominciò immediatamente a correre verso la porta, mettendoci tutta la tecnica che aveva cercato di apprendere in una sola settimana. Ma il suo controllo di palla era pessimo.
Scarsa, pensò Mark parandosi davanti a lei. Avrebbe potuto toglierle il pallone con facilità e partire in contropiede realizzando subito un goal, ma decise che non ci sarebbe stata soddisfazione senza averla presa un po' in giro. Le avrebbe lasciato fare qualcosa prima di mettersi a giocare sul serio.
Le permise di tenere il pallone e superarlo. Lei era piuttosto veloce e in pochi attimi arrivò in area di rigore. Provò a tirare ma inciampò su sé stessa e la palla andò per conto suo.
«Ops...»
Smira totale. Mark trattenne una risata dietro la mano che andò a coprire il viso, mormorando un sincero: «Poveri noi...».
Kira fece diversi nuovi tentativi di tirare in porta, vanificati uno dopo l'altro dagli interventi dall'attaccante. Mark prevedeva facilmente i suoi spostamenti, facendo saltare la palla da tutte le parti con un'agilità e un equilibrio inimitabili che la mandavano in confusione. Qualche volta Kira riusciva a riacchiappare la sfera, ma subito lui se ne rimpossessava.
Poi, cercando di non farle troppo male, Mark allungò un piede e le rubò il pallone.
«Oh, no!» gemette Kira.
«Ti arrendi?» fece Mark, prendendo la via dell'area assegnata alla pattinatrice. Senza il portiere avrebbe potuto tirare tranquillamente anche dalla metà campo.
«Ti sembro una che si arrende?». Kira partì all'inseguimento del capitano della Toho. Lui era di una rapidità incredibile nonostante l'altezza. L'unica cosa che poteva fare era buttarsi e provare.
Kira si tuffò sul terreno tentando una scivolata; in fin dei conti era quasi come eseguire una strisciata(1) sul ghiaccio, solo al contrario. Nel momento in cui Mark sollevò la gamba destra allontanandola dal pallone, lei insinuò la propria in quello spazio provvisorio, spedendolo la sfera fuori dal campo.
I compagni sugli spalti che parteggiavano per lei scoppiarono in un applauso.
Mark la guardò stupito, tentando di non sembrare troppo impressionato. «Niente male per una bambinetta. I miei complimenti»
Kira gli mostrò un sorriso compiaciuto. «Grazie» rispose, ancora semi distesa fra l'erba verde del campo.
Lui sorrise in quel modo insolente. «Ma forse non sai che sono conosciuto come il migliore centrocampista del calcio giovanile di tutto il paese»
«Non sopravvalutarti troppo. Una principiante ti ha appena portato via la palla da sotto il naso»
«Non fare l'insolente» l'avvertì Mark. Certo, ci era riuscita solo perché lui non stava facendo sul serio. Glielo aveva permesso, povera illusa.
Mano a mano che la sfida proseguiva, spinta da rinnovata caparbietà, Kira si lanciò senza tregua all'inseguimento del suo rivale. Nonostante non riuscisse a riprendere la palla, ottenne di tenerlo lontano dalla porta sfoderando le sue doti atletiche, inventandosi acrobazie eccezionali, volteggi in aria, ruote e capriole.
Mark la guardava perplesso saltellare da una parte all'altra. Se avesse continuato così si sarebbe stancata in fretta.
«Di grazia, che diavolo stai facendo?»
Kira sogghignò. «Dì la verità, non ti aspettavi che fossi così abile, vero? Ti ho messo in crisi, ammettilo. Non sai come liberarti di me se ti giro intorno con queste mosse speciali. Ahahah!»
«Veramente sto pensando che sembri uscita da un circo» ...e che sei anormale.
«Mi stai dando del fenomeno da baraccone?!»
«Più o meno».
Lei ringhiò indispettita. «Ti faccio vedere io!».
Kira gli corse incontro come una furia, pensando ti provare di nuovo con la scivolata. Ma stavolta fu un tentativo a vuoto.
Con un movimento improvviso, Mark spinse la palla in aria con un calcio potente. Corsero fianco a fianco per impossessarsene una volta che fosse ricaduta a terra. Mark, gli occhi fissi sul pallone, aveva solo una lieve percezione dei movimenti di Kira. Sentiva i suoi respiri accelerati, i suoi passi, vedeva la sua ombra sul terreno. Mai si sarebbe aspettato di vederla lanciarsi in avanti e spiccare un salto così alto che pensò volesse fermare la palla di testa. Invece ruotò su sé stessa, eseguendo una mossa che lui non capì, anche perché, invece di colpire il pallone, Kira colpì lui in piena faccia.
Il fischietto dell'arbitro – cioè di Eddie – risuonò nell'aria.
«Fallo!»
I due sfidanti erano ricaduti a terra, uno sulla schiena, l'altra a pancia in giù.
«Cosa?» fece Kira, voltandosi per vedere Eddie Bright attraversare il campo per raggiungerli. Poi udì un gemito e guardò al suo fianco, raggelandosi.
Aveva praticamente steso Mark Lenders.
«M-mi dispiace» provò con una vocina piccola piccola.
Lui la fissava con uno sguardo che dire omicida era poco, una mano sul viso a coprire il naso sanguinante.
«Mark, stai bene?!» esclamò Eddie.
«Starò meglio quando l'avrò strangolata!». Il capitano della Toho si rialzò, allungando le mani come se volesse afferrare il collo di Kira. L'avrebbe volentieri fatto sul serio.
Eddie si frappose fra loro per evitare una tragedia. «Calma, calma! Sono sicuro che non l'ha fatto apposta. Comunque, è fallo» disse a Kira, estraendo un cartellino giallo.
«Non mi puoi ammonire!» protestò lei. «Non è una partita di campionato!»
«Questo che c'entra? Io sono l'arbitro, ho il diritto di ammonirti»
Mark si tastò il naso per sincerarsi delle condizioni in cui gravava. Non sembrava rotto ma sanguinava e faceva un gran male.
«Vuoi andare in infermeria?» gli chiese Eddie.
Mark rispose con un secco «No»
«Sicuro?»
«Non sono una femminuccia. Per un po' di sangue dal naso non è mai morto nessuno»
«No, certo, però...»
«Eddie, falla finita e dammi il pallone!»
Eddie obbedì all'istante, senza insistere ulteriormente. Quatto quatto se ne tornò alla sua postazione.
«Non volevo» cercò di scusarsi ancora Kira. «Davvero, non l'ho fatto apposta»
«Riprendi a giocare» disse Mark. La sua voce aveva il tono del comando.
Era un ordine.
Le aveva dato un ordine.
Kira Brighton non prendeva ordini da nessuno.
La ragazza abbandonò l'atteggiamento conciliante. Lui non accettava le scuse? Bene. Non avrebbe perso tempo a rinnovargliene.
«Ehi tu!» esclamò, voltandosi verso Eddie, del quale non sapeva il nome. «Avanti, fischia!»
Eddie portò il fischietto alle labbra e la sfida riprese.
Ma Mark aveva sfoderato gli artigli ormai.
Era stato umiliato davanti a un sacco di gente, metà della quale era lì per giudicare quanto fosse cattivo e violento.
Era stato umiliato da una ragazzina sciocca, pazza, sfacciata e insulsa.
Lei voleva il calcio acrobatico? Avrebbe avuto il calcio acrobatico, allora.
Il ragazzo ricominciò una giocata del tutto nuova – nuova per Kira ma non per i tifosi che sapevano fin troppo bene cosa sapeva fare l'ex capitano della Muppet.
Kira gli girava intorno, accortasi del cambiamento sia nel modo di muoversi, sia dall'espressione del suo volto. Non la guardava più con quel sorrisetto insolente, anzi non la guardava proprio. Era come se fosse stato improvvisamente assorbito da una sorta di dimensione diversa, distante.
Erano lui e il pallone.
«Eh no, non ti lascerò vincere!» esclamò la pattinatrice.
I due sfidanti si ritrovarono nuovamente faccia a faccia, i piedi di uno incastrati tra le caviglie dell'altro.
«Puoi essere veloce quando vuoi, fare tutte le acrobazie che ti pare, ma non riuscirai mai a bloccare uno dei miei tiri»
«Finora te l'ho impedito, mi pare» lo provocò lei. «Non sei tutta questa gran bravura come dicono»
Mark ebbe un fremito.
Aveva toccato un tasto dolente.
Eccola, la ragazzina viziata di buona famiglia. Certo, lei poteva anche fare schifo a scuola, tanto erano i suoi a pagare la retta. Cosa ne sapeva di lui, dei suoi sacrifici, delle difficoltà? Come si permetteva di metterlo su una bilancia senza nemmeno conoscere il suo valore?
«Tu mi avresti impedito di tirare? Svegliati, Brighton!» ruggì Mark, notando con piacere il sussulto di lei. «Ti ho solo lasciata giocherellare. Ma adesso mi sono stancato! Adesso farò sul serio!»
Mark colpì la palla di tacco, compì un mezzo giro su sé stesso e la riprese, spiccando una rovesciata che lasciò Kira letteralmente a bocca aperta.
La porta era vuota, lui fuori dall'area. Ora le avrebbe mostrato la vera potenza del suo tiro, così forse avrebbe desistito nel voler risolvere quell'insensata faccenda con giochetti da prima elementare.
«Ora prova a prenderla!»
Ma Kira non si sarebbe arresa, né quella volta né dopo. Senza paura – o più probabilmente con molta imprudente fermezza – gli si parò davanti con un'altra delle sue acrobazie nell'esatto momento in cui Mark calciò con tutta la forza di cui era capace.
«La prender...!»
«Ah...»
Un silenzio di tomba.
Una scena al rallentatore, quasi immobile nell'aria calda del pomeriggio.
Kira crollò a terra come una pera dall'albero, con un tonfo e un gemito, la faccia tutta rossa e dolorante.
«Ooooohhhhhhhh!!!!!» fu il grido unanime del pubblico.
«KIRA-CHAN!» fu quello di Jem, più forte di tutti gli altri. Facendosi largo tra la gente, corse verso il campo in un fiume di lacrime.
I tifosi che sostenevano la pattinatrice iniziarono a protestare a gran voce.
«L'ha stesa!»
«L'ha fatto apposta!»
«Villanzone!»
«Picchi le ragazze!»
Mark dava ascolto alle rimostranze solo in parte. Osservava Jem stesa sul corpo esanime di Kira Brighton. Stavolta l'aveva fatta grossa.
«Forse ho esagerato» disse, sfregandosi la nuca.
«Esagerato?!» urlò Jem, isterica. «Guarda cos'hai combinato!»
«Ma io non...». Non era mai stata sua intenzione concludere le cose in quel modo. La detestava, d'accordo, ma detestava anche Hutton e tutta la New Team; e detestava ancor più visceralmente quel gradasso di Benji Price, ma non aveva mai voluto mandarli al creatore.
Gli sembrava di aver già visto una scena simile, ma dove? Oh, certo! Quando Bruce Harper si era immolato per salvare la porta di un Benjamin Price infortunato, respingendo il pallone di faccia.
Diverse persone erano scese dagli spalti e fatto irruzione in campo. I ragazzi del club di pattinaggio stavano litigando con la squadra della Toho.
«Non è stata colpa di Mark se si è lanciata sulla traiettoria del tiro!» lo stava difendendo Ed, faccia a faccia con una ragazza bassina con i capelli castani tendenti al rossiccio.
«Non volevo farla fuori» ammise Mark.
Jem, dal capezzale di Kira, ululò disperata. Poi prese a scuoterla afferrandola per il colletto della maglietta. «Kira, ti prego, dì qualcosa!»
«... Gha ... »
«Ha detto 'gha'» fece Ed, speranzoso.
«Ma non vuol dire niente!» gridò di nuovo Jem.
«Fatele aria, non statele tutti intorno» intervenne Eddie Bright, inginocchiandosi sul terreno accanto a Jem. «Si chiama Kira, giusto?»
Jem annuì.
«Kira?» la chiamò Eddie, sventolandole davanti le cinque dita della mano. «Quante sono queste?»
Gli occhi della ragazza rotearono un po' prima di riuscire a mettere a fuoco. «Sono...eeehhh...ventitré»
Eddie si fissò la mano con perplessità. «Okaaay... Sarà meglio andare in infermeria»
«Ci penso io a portarla» disse il più alto dei membri del team di pattinaggio, sollevando Kira da terra. Jem teneva la mano dell'amica, come un parente al capezzale di un moribondo.
«J-chan, non mi sento tanto bene...»
«Non ti preoccupare, cara, ti rimetterai. Non permetteremo mai più a quel bruto di avvicinarsi a te»
«Eeeehhh...» 
I ragazzi del team partirono di gran carriera verso la scuola. Sul campo scese il silenzio.
Delusi e arrabbiati, i tifosi lasciarono gli spalti. Alcuni seguirono il drappello diretto all'infermeria, altri si avviarono verso casa, altri ancora rimasero insieme alla squadra di calcio per sapere cosa sarebbe successo a questo punto.
«Insomma, alla fine chi ha vinto?» chiese qualcuno.
«Già, è vero!» disse Ian. «Eddie, chi è il vincitore?»
Tutti fissarono il numero nove della Toho. Eddie lanciò un'occhiata a Mark. Non sarebbe stato felice di sapere la verità.
«Ecco, date le circostanze...nessuno»
«Come sarebbe a dire?» sbottò Mark.
«Vedi, hai appena commesso un fallo epocale, da cartellino rosso, perciò sarei stato costretto ad espellerti. E, dato che in campo non sono rimasti altri giocatori e l'unico avversario disponibile è stato messo K.O, la sfida termina in parità»
«Parità un corno!»
«Mi spiace Mark, ma nessuno di voi due è riuscito a fare goal all'altro. Non posso decretare un vincitore, capisci?».
Ed annuì concorde. «Ha senso. Se Kira Brighton non si fosse infortunata sarebbe ancora in campo, e con l'espulsione di Mark avrebbe potuto segnare almeno un goal e vinto la sfida. Ma, dal momento che siete stati messi entrambi in condizioni di non poter continuare...», Ed mise un braccio sulle spalle di Mark, «mi dispiace, capitano, dovrete sfidarvi di nuovo»
«Cosa?! Non ci penso neanche! E togli quella mano!»
Sfidarla di nuovo? Ripetere ancora quella baggianata? No, nemmeno sotto tortura! La sfida si sarebbe conclusa quel giorno o niente.
«...Mark dove vai?»
«In infermeria»
Mark e Ed trottarono fianco a fianco per il cortile, seguiti dal resto della squadra e dai tifosi rimasti, ansiosi di sapere l'esito della battaglia.
«Non puoi andarci adesso, capitano!»
«Perché no?»
«Non penso tu possa vederla se sta male. Dovrai aspettare»
Mark frenò di colpo, voltandosi verso Ed con la faccia più cattiva di sempre. «Chi è che vuole vedere quella là?!»
«Ma come? Io credevo...»
«Credevi male, Ed. Non ci vado per sapere come sta! Ci vado esclusivamente per risolvere la questione»
Non era affatto preoccupato per lei. Figurarsi. Perché mai doveva? Una con la testa così dura non sarebbe stata costretta a letto a lungo per una pallonata in faccia. Era una ragazza, d'accordo, ma Mark sospettava fosse dotata di una tempra niente male. Una qualunque non avrebbe mai nemmeno avuto il coraggio di sfidarlo, questo le faceva onore. Avrebbe potuto congratularsi con lei per il fegato dimostrato, anche se a calcio giocava da far schifo.
Segretamente, una piccola parte di lui pensava che non gli sarebbe dispiaciuto sfidarla di nuovo. La parte razionale del suo cervello, invece, continuava a ripetersi – e convincersi – che tutta quella storia era stata una gran seccatura sin dall'inizio, e lo sarebbe diventata il doppio se lui avesse continuato ad auto-coinvolgersi nei piani di quella svampita rompiscatole.
Dopotutto, però, non poteva ignorare di essere lui la causa dell'infortunio di Kira, perciò era suo dovere domandarle scusa. Era un semplice gesto di cortesia, nient'altro.


HARU NO TOKI- Il tempo della primaveraDove le storie prendono vita. Scoprilo ora