Capitolo 9. Potrebbe esser gelosia.

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«Tu e la Brighton che lavorate spalla a spalla… Accidenti, avrei voluto vederlo» fu il commento di Ed il lunedì successivo a scuola.
Concluso l’allenamento del mattino, lui e Mark attendevano il suono della campanella seduti sul basso pendio erboso che circondava il campo da calcio. Solitamente, per chiacchierare se ne stavano volentieri in classe o sulla porta, come di rito. Ma la prima ora del lunedì avevano giapponese, vale a dire la Amada, così cercavano di temporeggiare il più possibile prima di entrare in classe. Meno la vedevano e meglio era per tutti, soprattutto per Mark. La professoressa gli stava addosso come un mastino, fiutando ogni minima mancanza per il puro gusto di riprenderlo. E da quando era stato messo in punizione, lei aveva rafforzato la sorveglianza. Se non era un errore nei compiti era la camicia fuori dai pantaloni, o la voce troppo alta, i capelli in disordine… Dopo gli allenamenti mattutini, Mark si faceva una doccia negli spogliatoi senza curarsi di sistemare la chioma bruna, lasciandola asciugare al sole di maggio.
«La prossima volta vieni anche tu» disse Mark a Ed, giocherellando con i fili d’erba. «Danny sarà contento di rivederti»
«Sì, in effetti è un po’ che non ci si vede». Il portiere rifletté qualche istante. «Mi piacerebbe. Ma non sarà un problema?»
«No, non penso»
«Io però non so riparare biciclette, capitano»
«Nemmeno io, e Kira neanche. Ci siamo affidati a Danny, infatti. Comunque, mica ci devi aiutare, vieni e basta»
Le labbra di Ed si piegarono in un sorriso malizioso. «Kira? Sei già passato a chiamarla per nome e senza l’onorifico?»(1)
Per un momento, Mark si sentì disorientato. «È il suo nome». Già, l’aveva chiamata solo per nome anche quel sabato alla stazione: Kira, senza il suffisso. Forse non avrebbe dovuto. Non c’era tutta questa confidenza. La loro frequentazione si era limitata agli insulti, le sfide e una punizione. Però… a lei non aveva dato alcun fastidio. Ora che Mark ci pensava, Kira avrebbe potuto esprimere una viva protesta per l’impertinenza con la quale gli si era rivolto, ovvero come fossero amici di vecchia data. Invece niente.
«A lei non secca se la chiamo solo Kira»
«Oh, quindi devo dedurre che non usi il ‘chan’ nemmeno quando ti rivolgi direttamente a lei?»
«È successo solo una volta!»
«Sì, sì, va bene…»
«Warner, cosa vai insinuando?»
«Nulla» rispose Ed con falsa innocenza. «Però sai, da quel che mi hai detto sembrava foste diventati amici»
Mark si alzò dall’erba con un movimento agile. «Amici è una parola grossa». Recuperò la cartella e si avviò verso la scuola seguito da Ed.
«Bè, lascia che ti dica una cosa in tutta onestà» proseguì quest’ultimo, risalendo il breve declivio. «Qualcuno pensa che la tua rivale sia una delle ragazze più carine del nostro anno»
«Carina?» Mark pensò che carina non era l'aggettivo più adatto a lei. Per la verità non aveva nemmeno mai fatto molta attenzione al suo aspetto. L’unico particolare balzatogli all’occhio era stato il colore dei suoi capelli. «Bah, se lo dici tu…»
«Andiamo Mark, non dirmi che non hai mai pensato che fosse carina. Voglio dire, è evidente»
In effetti sì, Mark lo aveva pensato. Era stato un pensiero fugace che quasi aveva scordato di formulare, ma lo aveva fatto. Ovviamente, non lo avrebbe confessato a Ed.
«Non sarebbe una tragedia se scoprissi che ti piace una ragazza, capitano»
«A me non piace Kira!» esclamò Lenders, gli occhi lampeggianti.
«Io non ho detto che ti piace la Brighton» si difese Warner, alzando le mani. «Parlavo in generale. L’hai detto tu»
Mark sbuffò come un bufalo infuriato, marciando per il cortile tra gli sguardi spaventati degli altri studenti che si spostavano al suo passaggio.
«Non è affatto come pensi, Ed! Posso anche passarci un pomeriggio piacevole, ma lei resta comunque una ragazzina stupida, insopportabile, svampita, pazza, antipatica…»
«Mi hai chiamato?»
Mark fece un salto indietro, interrompendo la lista di insulti: Kira si era materializzata alle loro spalle, una mano sul fianco, un sopracciglio sollevato. Quanto aveva ascoltato di ciò che avevano detto?
«Buongiorno, Brighton» la salutò Ed con un inchino.
«Buongiorno» ricambiò lei, per poi rivolgersi a Mark. «Di che parlavate? Penso che l’argomento interessi anche a me»
Ed scoccò un’occhiata al suo capitano. «Ehm, noi…stavamo parlando di quanto Mark si sia divertito sabato»
«Ma davvero?» Il sopracciglio di Kira si arcuò ancor di più. «No, perché mi era parso di sentire un ‘svampita, pazza e antipatica’. Non è che stavate parlando di me?»
«Figurati!» esclamò il portiere, accompagnando la negazione con una risatina nervosa.
«No, infatti. Perché mai dovrei darti della svampita?» aggiunse Mark con palpabile sarcasmo, gli occhi puntati davanti a sé. Per qualche strana ragione non voleva incrociare lo sguardo di Kira. «Stavamo parlando del negozio di bici: Ed vorrebbe venire con noi il prossimo sabato»
La ragazza si volse verso il portiere con malcelato stupore. Warner la metteva un po’ in soggezione con quell’aria seria e composta, la lunga frangia scura che qualche volta ricopriva l’occhio destro celando parte dello sguardo. Era come Mark: un tipo da scoprire.
«Non vorrei sembrare invadente ma, sai, anch’io sono amico di Danny Mellow» disse il portiere, «e approfitterei volentieri dell’occasione per stare un po’ insieme. Ultimamente non ci riusciamo spesso»
«Ah, è vero! Anche tu frequentavi la Muppet»
Mark le picchiettò sulla testa. «Toc-toc. Io e Danny avremo nominato Ed un migliaio di volte, sabato scorso. Non ti ricordi già più?»
«Uffa!» Kira scacciò la mano di Mark come si scaccia una zanzara. «Me n’ero scordata»
«Vedi che sei svampita?»
Kira lo ignorò, voltandosi di nuovo per parlare a Ed. «Vieni pure se ti fa piacere. Danny sarà contento. Ma ti avverto» aggiunse, alzando il dito indice in segno di avvertenza, «quello che facciamo non è un passatempo»
«Sì, lo so. Mark mi ha detto tutto» sorrise Ed. «Non sarà un problema»
Kira conosceva l’amicizia che legava i due ragazzi e non fu stupita di quell’affermazione. «Bene, allora sei dei nostri» Poteva rivelarsi utile avere un paio di mani in più, e poi Warner sembrava molto più a modo del suo capitano.
Ed e Kira cercarono di conversare con maggiore scioltezza nel tragitto dal campo all’edificio scolastico. La cosa non risultò facilissima: era la prima volta che si parlavano da quando lei gli era piombata addosso dopo il volo epocale fuori dalla pista di pattinaggio. Con il senno di poi, Kira si vergognava molto di quella pessima figura.
«Avrai pensato che fossi una specie di Tarzan in gonnella» cercò di sdrammatizzare lei.
«Solo un po’. Però è stato divertente» rispose Ed, sorridendole.
Mark, un passo dietro a loro, li fissava accigliato. Aveva lo strano presentimento che quei due sarebbero andati d’accordo. La cosa non gli fece piacere. Pensieri funesti albergavano nella sua mente... Non voleva ragazze tra i piedi; non desiderava una Patty della situazione. Ci mancava solo che Kira si prendesse una cotta per Ed!
Non aveva ancora terminato di prendere considerazione l’idea che, subito, provò una punta di fastidio al pensiero che potesse succedere davvero. No, no, Warner non poteva tradirlo. Si erano promessi niente distrazioni finché non avessero alzato insieme il trofeo del campionato nazionale. Ma il dubbio rimaneva, accompagnato da due fastidiose paroline: e se…
Riflettendo sulle possibilità, il capitano della Toho si frappose fra loro quando entrarono nell’atrio della scuola. Complice la folla, il gesto passò inosservato.
Quando misero piede sull’ultimo gradino del secondo piano, apprestandosi a raggiungere le rispettive classi, Ed notò qualcosa che attirò l’attenzione di tutti e tre.
«Ehm, Mark… qualcuno ti cerca» disse, arrivando davanti alla 1B. Un gruppetto di ragazzine stava sulla porta. Sembrarono animarsi di una strana elettricità quando si avvidero dell’arrivo di Lenders.
Mark inarcò un sopracciglio mentre quelle, indecise se avvicinarsi o meno, chiocciavano ammiccando nella loro direzione. Mark capì immediatamente che l’oggetto del loro interesse non era Ed, tantomeno Kira. Puntavano lui.
«Credo abbiano qualcosa per te» disse Kira, avida di sapere cosa volessero quelle ragazze da uno come Lenders. «Sono tue ammiratrici?»
«E io che ne so, non…Che diamine fai ancora qui! Vai nella tua classe!». Mark la spinse via, ma lei lottò per rimanere con i piedi ben piantati dove stavano.
«No, voglio vedere!»
«Non c’è niente da vedere. Vattene subito!»
«Forse dovresti andare da loro, capitano» suggerì Ed molto saggiamente.
«Per dire cosa?»
«Qualcosa di carino, possibilmente» raccomandò Warner.
«E senza quell’espressione sulla faccia» aggiunse Kira.
Mark grugnì. «È la mia di sempre. Ma te ne vuoi andare, brutta impicciona?!»
«No»
«Lenders, possiamo parlarti un attimo?» disse una vocina flebile. Le ragazze avevano infine trovato il coraggio e, a passetti incerti, si erano accostate loro. Confabulando rapidamente su chi dovesse far da portavoce, lasciarono andare avanti la più bassa del gruppo. Ella allungò titubante le mani, imitata dalle altre: tutte mostrarono un pezzetto di stoffa rettangolare (2), sopra il quale era ricamato l’ideogramma di ‘fortuna’.
«Ecco, n-noi…» disse la ragazza, «v-volevamo dirti che la partita contro il Nakagi ci è…ehm, piaciuta molto e… volevano augurarti in bocca al lupo per la prossima»
Vi fu qualche secondo di silenzio in cui Mark fissò interdetto gli amuleti. «Ah…Okay»
Kira gli diede una gomitata nelle costole. «Avanti!» sibilò. «Prendili, che aspetti?» Possibile che non ci arrivasse da solo? E magari avrebbe anche dovuto ringraziare, perché quel striminzito ‘okay’ non si poteva considerare un ringraziamento.
«Siete molto gentili» intervenne Ed in vece del suo capitano.
Mark represse uno sbuffo. Quel giorno sembrava che Warner e Brighton si fossero coalizzati per irritarlo. Si decise e allungò una mano verso quelle tese della ragazza di fronte a lui(2), che quando sentì le proprie dita sfiorate da quelle del capitano della Toho, arrossì come un pomodoro. Poi fece un inchino, indietreggiò e fuggì via. Terrorizzate, le compagne misero i loro portafortuna in mano a Lenders e la seguirono dentro una classe.
«Che bello! Anche io vorrei che qualcuno mi regalasse un amuleto!» esclamò Kira, battendo le mani una volta.
«Non dirmi che sei un tipo da amuleti?»
«Sono utilissimi! Vado sempre al tempio a comprarne uno prima degli esami»
«Anch’io lo facevo» confessò Ed.
«Che cosa?!» Mark cadde dalle nuvole.
«Quando praticavo il karate, durante le gare, ne legavo uno alla cintura»
«Wow! Facevi karate, Warner?» si interessò Kira.
«I miei gestiscono un dojo. L’ho praticato per alcuni anni, poi sono passato al calcio»
Mark portò uno degli amuleti a livello del viso, facendolo dondolare avanti e indietro. Cinque. Cinque amuleti della fortuna. Come se lui, l’ex fuoriclasse della Muppet e presto della Toho, ne avesse bisogno.
«Adesso che me ne faccio?»
«Tienili per sicurezza» propose Kira. «Non si sa mai, potresti inciampare in campo e romperti qualcosa»
«Romperò le tue ossa, Brighton, se non la finisci!»
«Quanto sei violento! Non capisci nemmeno le battute»
Mark fece un verso ironico. «La tua non era una battuta»
«Uff! Non te li meriti proprio quegli amuleti, lo sai?» Kira girò sui tacchi e si incamminò a passo svelto verso la propria classe. «Allora, se non ci becchiamo in giro prima, ci si vede sabato». Sorrise e salutò con la mano. «Buona giornata, Warner…. Ciao, Lenders» terminò, cambiando il tono cordiale in un’inflessione indolente. 
Odiosa. Impertinente. Impicciona.
Mark riformulò le conclusioni fatte riguardo il pomeriggio di sabato: era stata divertente, ma non perché c’era lei. Era stato merito di Danny. E basta. Ed si sbagliava di grosso: Kira non avrebbe mai potuto suscitare in lui nessun sentimento al di fuori dell’irritazione più pura.
 
 
All’ora di pranzo, dopo due ore di giapponese con quell’arpia della Amada, e un’ora infruttuosa di matematica dove aveva preso la sua prima insufficienza, Mark tirò fuori da sotto il banco i cinque amuleti, fissandoli come se dovessero esplodergli in mano da un momento all’altro.
Non portavano affatto fortuna.
Solo ragazzine come lei potevano credere a simili idiozie. Probabilmente le piaceva anche credere agli indovini, e l’unica domanda che poneva loro doveva riguardare un ragazzo.
Oh, quando troverò un fidanzato?
Sì, era senza dubbio così. Altro che fortuna per gli esami…
Ma Kira era un conto. Quello che non si era aspettato era…
«Sul serio compravi amuleti come questi?» chiese Mark a Ed, seduto alla sua destra.
«Ero un bambino, all’epoca ci credevo» si giustificò il portiere.
«Bah. Io non ci ho mai creduto»
«Ooh! Talismani portafortuna!» esclamò ammirato Nicholas Loson, voltandosi dai banchi davanti al loro. «Chi te li ha dati, capitano?»
«Nessuno in particolare» rispose Mark, dando un peso minimo alla faccenda.
«Un gruppo di ammiratrici» lo corresse Ed, scuotendo il capo con indulgenza.
«Ah, che fortuna!» esclamò Ian. «Anche a me piacerebbe avere qualcuno che me li regali»
Eccone un altro, pensò Mark, spingendo gli amuleti verso Loson. «Se vuoi te li regalo, io non me ne faccio niente»
Nicholas sbarrò gli occhi, incredulo, scambiandosi uno sguardo con Ian e Ed.
«Non vedo perché si debba regalare alla gente questi cosi inutili» aggiunse ancora Mark, sistemando i libri per l’ultima lezione del mattino.
«Non sei contento del regalo?» chiese Ed, perplesso.
«Neanche un po’»
«Io lo sarei al posto tuo. Avere delle ammiratrici non è male, te l' assicuro»
In quel momento, un nuovo gruppo di ragazze passò davanti alla loro classe. Ed e Mark, che sedevano nei banchi in fondo, erano ben visibili dal corridoio. In quei giorni caldi, finestre e porte venivano lasciate aperte durante il cambio d’ora e la ricreazione, per permettere alla brezza fresca di rinfrescare le aule.
Le ragazze si voltarono nella direzione dei ragazzi proprio mentre Ed riavviava i lunghi capelli scuri. A quel gesto, le studentesse ridacchiarono eccitate.
«È Ed Warner» sibilarono dietro mani che nascondevano sorrisini imbarazzati, rallentando il passo per poter sbirciare dentro la classe ancora qualche secondo.
Il portiere della Toho ammiccò in una muta risposta agli sguardi d’apprezzamento, gesto che le sovreccitò parecchio.
«Ti prego, mi viene da vomitare» commentò Mark, una mano posata sullo stomaco. Ma cos’era? La giornata delle ammiratrici?
«Non è colpa mia se piaccio alle ragazze»
«Bè, è inevitabile» si vantò Ian, «dopo la partita contro il Nakagi, siamo diventati famosi»
«E le ragazze ci cadono ai piedi» concluse Nicholas, annuendo sapientemente.
«Ma fatemi il piacere! Pagliacci!» Mark tirò un calcio da sotto il banco alle sedie dei due compagni, i quali si sbilanciarono rischiando di cadere.
L’insegnante di lingua straniera entrò in quel momento a rimettere ordine. Era un tipo severo, suscettibile, nervoso, uno di quelli che detestano sentir volare una sola mosca nella propria classe. Gli studenti sospettavano fosse in qualche modo imparentato con la Amada, anche se faceva Jhonson di cognome ed era madrelingua inglese.
«Tra poco avremo un fan club, vedrete se non ho ragione» sussurrò Ian Mellin, allungandosi appena all’indietro così che Mark e Ed lo sentissero.
«Io ne avevo uno, alla Muppet» confidò Warner agli amici.
«Non avevi un fan club» puntualizzò Mark. «C’erano solo quattro galline starnazzanti che sbandieravano cartelli scritti male»
Ian e Nicholas soffocarono le risate.
Ed si incupì. «Erano più di quattro. E comunque è il pensiero che conta!»
Un’ombra minacciosa piombò come una nube temporalesca sui loro banchi. I quattro compagni alzarono gli occhi, incontrando quelli cisposi e cattivi del professore.
«Allora? Si fa salotto negli ultimi banchi, vedo»
«Noi…»
Nessuno riusciva mai ad accampare scuse con Johnson. Iniziava a sbraitare, sputacchiando sugli studenti malcapitati prima che questi riuscissero a dire ‘bah’. Ciò che non lo rendeva particolarmente odioso e lo differenziava dalla Amada era che, pur essendo incline all’urlo, non puniva mai nessuno; al massimo, un paio di esercizi in più per casa.
«E adesso zitti tutti! Iniziamo la lezione!»
Mark si arrischiò ad un ultimo commento. «Ti avverto, Ed: se ti trovi la ragazza, non contare su di me per le uscite a quattro»
«Ma come, capitano? Io già ci immagino al liceo con una lista infinita di appuntamenti»
Mark fece scoccare la lingua in un suono contrariato.
Vi era una differenza sostanziale tra i due amici. Al contrario di Mark, Ed già si affacciava a quella fase dell’adolescenza in cui la comprensione della sessualità dà il via ad una strana battaglia interiore. La consapevolezza di Warner di poter piacere, di considerare anche solo un’innocente relazione sentimentale, e il semplice fatto di apprezzare i complimenti senza più denigrarli a qualcosa di sgradito, lo rendeva più maturo. Non erano più bambini, non c’erano più giochi innocenti, bensì pensieri e sensazioni nuove dei quali le ragazze erano il fattore scatenante. Emozioni ancora acerbe ma vive, lontane da quella spensierata noncuranza infantile nell’esser maschi e femmine, ignorando tutte le complicazioni del futuro.
 
 
 
«È proprio un maleducato. E io che speravo che dopo sabato avrebbe cambiato atteggiamento». Kira sbuffò, le sopracciglia aggrottate che le oscuravano il viso grazioso.
«Tu ti illudi, Kira-can. Cosa pensavi, che diventasse gentile da un momento all’altro?» disse Jem, appoggiata di schiena al muro accanto alla finestra, dove Kira posava i gomiti sul davanzale, guardando le nuvole bianche rincorrersi nel cielo limpido.«Per lo meno, adesso riavrai la tua bici»
Kira annuì.
«Avresti potuto dirmelo, però, sarei venuta anch’io ad aiutarti, e non quel Mark Lenders!»
«Jem, te l’ho già spiegato» sospirò stancamente Kira. «L’hanno deciso le nostre mamme»
«Sì, sì, lo so. Ma non mi piace che tu stia in compagnia di quel tipo»
Kira alzò gli occhi al cielo. Quando Jem faceva così le ricordava sua madre. «Guarda che puoi venire se ti fa sentire più tranquilla, non è un circolo chiuso. Anche Ed Warner vuole aggregarsi per sabato prossimo»
Jem esitò. «Non so… non mi va di avere a che fare con quelli lì»
«Warner è abbastanza simpatico. Ci ho scambiato qualche parola stamattina»
Jem rifletté qualche secondo, fissandosi le ballerine nere con cinturino che facevano parte della divisa scolastica. «Warner è il portiere, giusto?»
«Già»
«Mh. No, passo. Ne ho abbastanza di portieri» mormorò, staccandosi dal muro.
Kira sollevò i gomiti dal davanzale, l’attenzione tutta per la sua amica. «Che vuoi dire?»
«Come? Oh, niente, niente» fece Jem, muovendo le mani come per cancellare le parole appena dette. «Andiamo a pranzare in cortile?» propose, afferrando rapida il cestino del pranzo.
«No, non mi va di pranzare con gli altri membri del team» proseguì Kira in tono aspro. «So che me lo chiedi per spingerci a riappacificarci, ma non è dipeso da me quello che è successo. Se loro non lo capiscono possono anche smettere di essermi amici. Io ho già chiesto scusa a tutti»
Non servì il nuovo debole tentativo di Jem di convincerla. Kira si scusò ma rimase in classe. Era in una sorta di lutto interiore da quando Risa le aveva imposto di non frequentare più il club di pattinaggio fino al prossimo trimestre. Mancavano due mesi! Sessanta giorni! Non avrebbe resistito a una costrizione così prolungata. Le sole volte in cui rinunciava a mettere piede sul ghiaccio era quando doveva riprendersi da un infortunio. Era l’unica ragione sopportabile.
Oltre ciò, la coach Fukushima non aveva preso bene la notizia, meno che mai Kanagawa, anche se entrambi avevano compreso le ragioni. Dal canto loro, Yusuke e agli altri compagni del club l’avevano presa ancora peggio. Si era reso necessario ridimensionare l’intero programma di allenamento ora che c’era un elemento in meno, e non era stato facilissimo. I senpai, poi, l’avevano strapazzata per bene. Kira capiva perfettamente perché erano arrabbiati, lei sarebbe stata furiosa se uno di loro avesse dato forfait facendo saltare i piani di tutto il team. Il punto era che, pur avendo chiesto perdono e spiegato le dinamiche della faccenda – benché tutti la conoscessero bene – non aveva ottenuto nulla. Voleva che capissero questo, e invece nessuno sembrava intenderlo. Doveva trovare un modo per rimediare…
«Kira-chan, mangiamo insieme?» domandò Milly Benson, chiamandola al suo banco dopo che Jem se ne fu andata.
Kira si allontanò dalla finestra e le sorrise. «Va bene. Come mai non sei andata con J-chan?»
«Nemmeno tu sei andata con lei» rispose Milly, posizionando una sedia per Kira.
«J-chan cercherà di fare da mediatore con gli altri ragazzi del club» rispose quest’ultima.
«Non sono veramente arrabbiati con te. Sono solo un po’ delusi, tutto qui»
«Mh» Kira annuì, incerta, giocherellando con le bacchette e un gambero fritto. «Mi dispiace molto. Non avrei voluto causare del malumore»
«Vedrai che due mesi passano in fretta» cercò di consolarla Milly. «Ora dovresti approfittare del tempo libero iniziando a studiare per gli esami di fine trimestre»
A Kira andò di traverso il gambero. «Cavolo, Micchan, come fai a pensare già agli esami?»
A ben pensarci, poteva essere utile avere tanto tempo a disposizione per studiare. Se prendeva un bel voto avrebbe fatto felice la mamma e lei avrebbe potuto riconsiderare la durata della punizione.
«Piuttosto…» Kira si piegò in avanti verso la compagna. «Sai per caso cos’ha Jem contro i portieri?»
«I portieri?» Milly alzò lo sguardo al soffitto. «Mmm… no, a dire il vero non ne ho idea. Perché?»
«Perché prima abbiamo fatto un discorso e… bè, a un certo punto J-chan ha detto che dei portieri ne ha abbastanza». Kira inarcò un sopracciglio. «Non ti sembra una frase ambigua?»
Milly annuì vigorosamente. «Oh, sì, molto. Pensi che J-chan abbia una cotta per qualcuno?»
«In realtà pensavo piuttosto a un ex fidanzato»
«Un ex fidanzato?!» Milly arrossì davanti alla spudoratezza dell’amica. «Oh, Kira-chan, come riesci a parlare di certe cose con leggerezza?»
«Come ne dovrei parlare, scusa?»
«Non ti imbarazza?»
«Va bene, va bene, allora diciamo che c’era una simpatia tra la nostra Jem e un presunto portiere». Nella mente di Kira aveva preso forma un’intera pellicola cinematografica di possibilità e misteri a sfondo romantico, quando in realtà non aveva nulla di concreto per affermare che le cose stessero così. «Sai, è stata davvero una strana uscita. Le ho proposto di venire con me al negozio dove ho portato ad aggiustare la mia bici. Ma non appena ho nominato Ed Warner, lei ha declinato l’invito»
«Ed Warner? Ma chi, il portiere della nostra squadra?»
A Kira non sfuggì il rossore accentuatosi sulle guance di Milly, e nemmeno l’enfasi sulle parole “nostra squadra”. «Non è che ti piace, vero?»
Milly diventò rossissima. «Ehm, no…io… a me piace Lenders»
A Kira caddero le bacchette di mano dallo stupore, la bocca spalancata. «T-tu…CHE COSAAA?!» Balzò in piedi, picchiando i palmi sul banco. I contenitori del pranzo furono sorpresi da una scossa di terremoto, mentre chicchi bianchi di riso e pezzetti di verdura saltellarono spaventati qua e là. «Non può piacerti proprio lui!»
«P-perché no?» fece Milly, sbalordita dall’eccessiva reazione dell’amica.
«Perché NO! Lui… lui è un maleducato, un buzzurro, presuntuoso, un… un gorilla pulcioso!»
Milly rise di gusto. «Un gorilla pulcioso? Ma Kira-chan…»
«Non lo accetto! Non può veramente piacerti un tipo simile!». Milly era così piccolina, timida, educata, mentre lui era un grosso pezzente arrogante.
«Lui probabilmente non sa nemmeno che esisto»
Kira fissò il viso sconsolato di Milly Benson e provò una fitta al cuore. Cavolo, doveva essere una cosa seria se l’amica faceva quel faccino afflitto.
Si risedette con calma. Per fortuna la classe era mezza deserta, c’erano solo un altro paio di compagni nei banchi davanti che si erano voltati alla sua esclamazione, ma che dopo un attimo erano tornati ad ignorarle.
«Jem lo sa?»
Milly scosse il capo. «Non l’ho mai detto a nessuno prima di oggi, perché so che tu lo detesti e nemmeno a lei è simpatico. Capisco, certo, in fondo i suoi atteggiamenti sgarbati non lo rendono popolare in quanto persona. Però, da quando durante la prima partita di campionato ho visto di quanta determinazione è dotato, ho iniziato ad ammirarlo. E… e anche durante la vostra sfida alla pista… si è impegnato molto nonostante non sapesse pattinare»
«Perdonami, Micchan, ma la tua mi sembra più ammirazione che attrazione»
«Anche, certo. Lo è. Lui sa quello che vuole, per questo ha iniziato a piacermi». La ragazza si alzò per andare verso la finestra alla quale si era affacciata Kira poco prima. «La scorsa settimana era il mio turno di pulire la classe. Ogni tanto mi fermavo a guardare la squadra»
Kira le si accostò, fissando a sua volta il campo da calcio delle medie. Mancava ancora un’ora alla fine della pausa pranzo, ma i ragazzi della squadra si stavano già allenando. Non era difficile individuare Mark tra tutti loro. Come sempre, la sua figura spiccava tra le altre; i capelli più lunghi, la carnagione abbronzata…
Perché proprio lui? Perché a Milly non poteva piacere un altro? Uno qualsiasi di loro, ma non Mark.
«Kira-chan?»
«Sì?»
«Puoi farmelo conoscere?»
Kira trasalì dallo stupore. «Perché io?»
«Ti prego!» Milly prese le mani di Kira nelle sue e le strinse. «Non conosco nessun altro che gli sia amico, solo tu»
«No, no, noi non siamo amici»
«Però vi parlate spesso negli ultimi tempi» insisté Milly, «e da quello che hai detto prima, deduco che vi vedete fuori dall’orario scolastico»
«Sì, per la bici. Ma Micchan…»
«Vorrei solo provare a conoscerlo, nient’altro. Se lui ne avrà noia non lo infastidirò più». I grandi occhi neri di Milly la fissarono imploranti. Era proprio una cosa seria, anzi serissima…
Sicuro come il sole spunta ad est e tramonta ad ovest, Mark ne avrebbe avuto certamente a noia, Kira lo sapeva. Ma non era sicura di voler rivelare la verità a Milly. Non voleva darle un dispiacere, lei stessa era già abbastanza abbattuta per tutti.
«Va bene» si arrese con un sospiro. «Vedrò che posso fare»
«Grazie, grazie!» esclamò Milly, alzandosi in punta di piedi per abbracciarla.
Sta a vedere che ora a Jem piace Warner… e poi siamo a posto, pensò la pattinatrice in preda a funeste previsioni.
Picchiettò un paio di volte sulla schiena di Milly, poi si separò dal suo abbraccio. In quell’istante, un siluro attraversò la finestra per schiantarsi contro la sua testa. Kira ci vide doppio per alcuni secondi, aggrappandosi con una mano all’amica e con l’altra al davanzale della finestra, dalla quale guardò giù gridando: «Si può sapere chi diavolo ha tirato questo pallone?!»
«Scusa, Kira! Non sapevo fosse proprio la tua classe»
Lui.
Chi se non lui?!?!
«Sei un deficiente, Lenders!». E con queste dolci parole, afferrò il pallone e lo rispedì al mittente.
«Grazie!»
«Vai a quel paese!»
Lui rise, tornando a giocare.
Kira si voltò verso Milly, lo sguardo feroce. «Sei davvero convinta di volerlo conoscere?»
 
 
 
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Note:

1. Gli onorifici, o suffissi, sono una parte fondamentale della lingua giapponese. Ci sono delle regole da rispettare nel rivolgersi alle persone, parole specifiche da usare accanto al nome o cognome, e non usare un titolo onorifico quando necessario è una grave mancanza; si verrà visti come poco rispettosi e arroganti. Usare un onorifico particolare implica avere un grado di intimità più o meno elevato con l'individuo a cui ci si rivolge. Esistono molti tipi di onorifici e suffissi. Abbiamo già visto il 'san', (signore/signora). C'è poi il 'chan', traducibile con il nostro 'piccolo/a". È un vezzegiativo, o un diminituvo (es. Giulietta, Davidino per noi), riservato ai membri più giovani della famiglia, e tra amiche femmine, compagne di scuola, amici d'infanzia e fidanzati/coniugi. per questo si accompagna al nome di una persona con cui si ha un rapporto stretto. Sarebbe molto maleducato usare il 'chan' con una persona appena conosciuta, o non usarlo affatto. Lo stesso con gli adulti.
I maschi usano invece il suffisso 'kun' tra amici e compagni di scuola, per indicare una certa forma di rispetto. Anche gli adulti possono usare il 'kun' verso una persona molto più giovane come segno di confidenza. È utilizzato anche in ambito lavorativo. A scuola o al lavoro, i maschi non usano l'onorifico 'chan' con le femmine, ma si rivolgono loro con il cognome seguito dal 'san'.
 Nelle squadre sportive, dove si crea molta fiducia e cameratismo, si può anche usare Il nome senza suffissi.

2. Gli amuleti portafortuna (in giapponese Omamori) li avrete sicuramente visti negli anime e manga. Si acquistano generalmente nei tempi shintoisti o buddisti, ma si possono anche fabbricare in casa. Sono sacchettini di stoffa al cui interno è racchiusa una preghiera scritta su un pezzetto di legno o un pezzo di carta ripiegato, con lo scopo di proteggere chi lo possiede, o per far si che raggiunga un obiettivo, che si avveri un desiderio ecc. esistono diversi tipi di omamori; per proteggere dagli spirit, quelli per augurare buona fortuna, quelli per gli esami scolastici, per gli affari di lavoro, per una pronta guarigione, e ovviamente per trovare o rafforzare l’amore.
 
3. In Giappone, quando si porge un dono, lo si fa con due mani, come a dare all’altra persona qualcosa di molto prezioso. È un segno di educazione, di considerazione verso il prossimo, non solo una formalità, che tale apparirebbe se lo si facesse con una sola mano. Donare qualcosa a qualcuno con due mani è sinonimo di sentimenti profondi.

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-Spazio Autrice-

Buona sera!
Pensavate che il mio spazietto fosse finito chissà dove, vero? XD Colpa delle lunghe note sulla cultura nipponica. Perdonatemi se non ve ne importa molto, ma a me piace delle approfondire il discorso su un popolo così lontano da noi.
Comunqueee... So che vi ho fatto felici (cioè, spero) dato che iniziano i primi  inciuci amorosi...😌❤️ Non vi anticipo nulla, ma sappiate che nel prossimo capitolo ci sarà un salto temporale dalla prima alla seconda media. Perciò........ Niente😜 Wahahah!
 
Un grazie di cuore a chi ha scelto di leggere, votare, commentare e inserire la fic in qualche elenco di lettura. Fatemi sapere cosa ne pensate.
Un bacio e alla prossima!
 
C.❤️
 

HARU NO TOKI- Il tempo della primaveraDove le storie prendono vita. Scoprilo ora