Capitolo 17. Inevitabile conclusione

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Kira era tornata a casa a metà del pomeriggio, con indosso vestiti che sua madre non le aveva mai visto e quelli bagnati in borsa. Non c'era stato motivo per non dire la verità alla mamma, e del castigo che avrebbe potuto giungere immediato le era importato poco.
Comunque, Risa non l'aveva punita. C'erano volte in cui le sue parole bastavano a far sentire Kira in colpa e ad autoinfliggersi un giudizio negativo su di sé. La tiritera era sempre la stessa: «Quando crescerai, Kira? ... Non pensi mai prima di agire... Sei un disastro come tuo padre»
Povero papà! Come riuscisse a sopportare il dispotismo di mamma da tanti anni era ancora un mistero per lei.
D'altro canto, Risa non aveva torto: era impulsiva, insolente e immatura. Riusciva sempre a rovinare tutto e a far star male gli altri.
Kira aveva accettato il rimprovero a testa bassa, simbolo di sottomissione, per poi ritirarsi nella sua stanza senza neanche cenare. Jem le aveva telefonato per sapere cosa fosse successo, ma nessuna delle due ebbe molta voglia di parlare del pomeriggio appena trascorso.
Passò la notte insonne nel tentativo di comprendere cosa l'avesse spinta a fare a Mark una scenata del genere, ma come risultato ottenne solo un paio di occhiaie e nessuna risposta.
Non poteva tornare a scuola il lunedì mattina come se nulla fosse. Per iniziare, sarebbe stato giusto scusarsi con tutti gli altri. Così li riunì in un angolo del cortile prima dell'inizio delle lezioni, piegandosi arrendevole in un profondo inchino che si protrasse per molti secondi.
«Mi dispiace. Mi sono comportata male ieri, non ho scusanti. Perdonatemi, per favore».
Li lasciò di stucco. Nessuno parlò. Kira rimase in quella posizione, i capelli a coprirle il volto, le palpebre serrate, finché Jem mormorò il suo nome.
«Kira-chan...non c'è bisogno»
«Nessuno è arrabbiato con te» le fece eco Warner. «Vero, capitano?»
Kira ebbe un lieve sussulto. Sollevò la testa e raddrizzò la schiena, osservando gli altri e Mark sopra tutti. Le mani infilate in tasca, lui la fissava ostile.
«Io invece sono arrabbiata!» esclamò Milly con una vocetta acuta. «Ci hai mollati lì come fossimo degli estranei. Non ti sei comportata bene, Kira-chan, per niente!»
«Mi dispiace»
«Se ti dispiaceva avresti dovuto pensarci prima di andartene! Ma come al solito pensi solo a te stessa. Sei una grande egoista!»
«Micchan!» fece Jem, tentennando tra il difendere Kira o evitare una crisi di pianto a Milly.
«Non difenderla! Lo sai anche tu com'è fatta: non si cura dei sentimenti degli altri». La voce di Milly si incrinò leggermente. «Avevi promesso che saresti rimasta!»
«Non lo avevo promesso» si ribellò Kira. «Avevo solo detto che sarei venuta»
«Milly-san, non fare così» disse Darren in tono pacato. «Forse Brighton non si è comportata al meglio ma non devi darle contro in quel modo. Avrà sicuramente avuto le sue ragioni»
Kira non poteva credere alle sue orecchie: Darren Grant la stava difendendo e Mark...Mark no. Lui se ne stava immobile e muto a guardare la scena, magari dando pure ragione a Milly. Doveva sapere cos'era successo dopo che aveva lasciato Harajuku...
«Ci è dispiaciuto che tu sia andata via prima» riprese Jem. «Cosa ti è successo? Non sei stata bene?»
«Io...ecco...sì», mentì Kira. Tentò nuovamente di incrociare lo sguardo di Mark: lui aveva riconosciuto quel balbettio per la bugia che era. Ma non poteva ammettere davanti agli altri di essersi defilata a causa di un improvviso attacco di gelosia. Dopotutto nessuno aveva ascoltato la lite tra lei e il capitano della Toho in riva al lago. Solo Ed sembrava essersi accorto di qualcosa dentro al negozio; ma Ed era dotato di discrezione e ne faceva buon uso. Anche se avesse compreso cosa stava succedendo, non si sarebbe impicciato in faccende che non lo riguardavano. Kira lo ringraziò intimamente per essere una persona con molto tatto.
«Potevi dircelo, ti avremmo accompagnata a casa» proseguì Darren facendo un passo verso di lei.
Kira mosse le mani confusamente, quasi per non permettergli di avvicinarsi. «Non c'era bisogno. Non è stato nulla di preoccupante».
«Ora stai bene?»
«Sì, sì»
Darren le sorrise. «Ottimo, allora è tutto chiarito».
«N-non è affatto tutto chiarito!» si accese Milly.
«Certo che lo è» intervenne Ed in tono risoluto. «Non è colpa di Brighton se la giornata è andata male per tutti. Scommetto, anzi, che alcuni di noi sapevano già come sarebbe andata ancor prima di mettere piede ad Harajuku».
Milly si morse le labbra dalla rabbia, scoppiando in un pianto nervoso per poi correre via di corsa verso l'entrata della scuola.
Kira non tentò di fermarla.
La prima campana suonò in quel momento. Avevano ancora una decina di minuti prima che iniziassero le lezioni. Darren fu il primo a muoversi frettolosamente verso la scuola.
«Dobbiamo andare anche noi» disse Ed rivolto a Jem. In quanto capoclasse era suo dovere tenere l'assemblea del mattino prima dell'arrivo dell'insegnante.
Jem si avvicinò a Kira prendendole una mano. «Magari oggi pranziamo insieme, così parliamo un po'. Va bene?»
Kira annuì, ringraziandola. Fece un sorriso debole a Ed, il quale le posò affettuosamente una mano sulla testa passandole accanto, salutando poi Mark con una pacca sulla spalla.
Lei ci mise qualche secondo per voltarsi verso il capitano della Toho, che per tutta risposta le indirizzò uno sguardo di sufficienza. Subito dopo iniziò ad incamminarsi, ignorandola completamente.
«Mark, aspettami», lo chiamò, ma lui proseguì senza voltarsi. «Mark?» Kira lo raggiunse. Dovette accelerare leggermente per tenere il passo con le sue lunghe falcate. Lo trattenne per un braccio con entrambe le mani, cercando di arrestare la sua camminata. Ci riuscì. «Mark, parlami»
«Io?» Lui finalmente le rivolse la parola, gli occhi lampeggianti. «Io non ho niente da dirti. Sei tu che devi»
Kira rimase immobile.
«Cos'era la scenata di ieri?». Mark la fissò con le sopracciglia aggrottate, la mascella contratta.
«Ero...» cominciò lei, ma si interruppe. Cosa? Era cosa? Stufa di vederlo insieme a Milly? Stanca di Darren Grant che le faceva la corte? Delusa e arrabbiata per qualcosa che...? «Non avevo più voglia di continuare quella farsa». Non era la completa verità, ma ne rispecchiava una parte. «Ho già chiesto scusa. Non ignorarmi»
Mark scosse la testa velocemente. «Hai fatto le scuse agli altri. Non a me».
Lei capì cosa intendeva dire. Voleva una spiegazione e un confronto faccia a faccia senza nessuno in mezzo. Una scusa non bastava.
La campanella suonò annunciando l'inizio delle lezioni. I suoni della scuola si spensero, gli alunni dovevano essere entrati tutti quanti in classe. Gli unici ad essere fuori posto erano loro.
«Dovremmo proprio sbrigarci» suggerì Kira.
Mark ficcò le mani ancora più a fondo nelle tasche dei calzoni, riprendendo a muoversi. Lei lo seguì a testa bassa. Solo dopo qualche minuto si rese conto che lui stava prendendo la strada opposta a quella per andare in classe.
«Dove stiamo andando?»
Ancora mutismo.
«Mark, la campanella è suonata»
«Vai tu»
L'implicito rifiuto la sorprese. Lui stava pensando di... «Non vorrai saltare la prima ora?»
Il ragazzo alzò le spalle come a dire che non gli importava.
«Abbiamo la Amada, e se arriviamo tardi, ci sgozza»
«Si fotta quella megera» bofonchiò Mark con insolenza.
Kira trattene un sorriso. L'avversione che Lenders nutriva per la professoressa di giapponese era storia. «Forse ho voglia anch'io di saltare una lezione».
Mark le rivolse un'occhiata veloce come a dirle che poteva fare ciò che voleva. Kira non chiese, lo seguì e basta, finché non giunsero sulla terrazza dell'edificio. Lui lasciò la porta aperta dietro di sé: un invito per lei a raggiungerlo. Kira dubitava che potesse salire qualcuno – chi mai lo avrebbe fatto nel pieno svolgimento delle lezioni? – ma si premurò in ogni caso di sbarrarla con il chiavistello una volta che l'ebbe oltrepassata.
Come nascondiglio, la terrazza della scuola era perfetta, e lo era egualmente per poter parlare indisturbati.
Si appoggiarono alla ringhiera, fianco a fianco, vagando con lo sguardo sul cortile deserto sotto di loro, sul paesaggio intorno – una piccola porzione della grande e caotica Tokyo con i suoi alti palazzi e i grattacieli di metallo e vetro – ma senza afferrarne i particolari. Il vento fischiava nelle orecchie portando via il resto dei rumori; persino il traffico non si udiva da lassù.
«Tu sei strana», esordì Mark dopo diverso tempo.
Kira alzò il viso verso di lui, le sopracciglia aggrottate.
«Dopo le mille raccomandazioni – trattala bene, Mark. Sii gentile, Mark – mi fai una scenata del cavolo e mi pianti in asso»
Kira stropicciò un piede a terra. «Ero...»
«Gelosa. L'ho capito. Ma voglio capirne il motivo»
«Non ero proprio gelosa, solo...», disse lei, maledicendosi per la vergogna che inaspettatamente l'attanagliò alla gola. Santo cielo, cosa avrebbe pensato Mark se avesse ammesso che aveva ragione? Nemmeno a sé stessa era in grado di dare una spiegazione degna di questo nome, figuriamoci a lui. Ciò nonostante, per quanto si almanaccava su quell'aspetto, non c'era un'altra parola che giustificasse il suo comportamento.
Si arrese. «E va bene. Hai ragione. Ero gelosa»
Mark sussultò. Solo lei poteva rimangiarsi così velocemente quel che aveva appena affermato senza scomporsi.
«Perché?» chiese, incredulo.
Kira lo guardò più intensamente di quanto avesse mai fatto. «Perché ho avuto paura di perderti». Si morse l'interno della guancia riflettendo sulle parole appena pronunciate. Esprimevano solo verità. «Quando ho visto quanto sei stato gentile con Milly, ho avuto paura» riprese. «Grant aveva insinuato che se vi foste messi insieme si sarebbe risolto tutto. Potrei essere amica di entrambi – mi sono detta – senza più problemi di sorta. Però, se tu ti fossi innamorato di Milly avresti finito per stare più tempo con lei che con me, e in quel momento mi sono sentita abbandonata. Tu sei...il mio migliore amico».
Era la prima volta in tutta la vita che lui si sentiva così importante per qualcuno. Aveva sempre pensato di essere un elemento essenziale per la sua famiglia e per la squadra, ma mai per una singola persona.
Mark provò a mettersi nei suoi panni; nei panni di qualcuno che riesce ad instaurare un'amicizia speciale, la quale d'improvviso subisce l'intrusione di un elemento indesiderato.
«Hai altri amici oltre me, Kira»
La pattinatrice fece spallucce. «Se per 'amici' intendi i ragazzi del club di pattinaggio...sì, ci vado d'accordo, ma con loro non parlerei mai come sto facendo con te adesso. Con te riesco ad aprirmi, ad essere me stessa, a dire quello che penso veramente. Con Milly e Jem non sono mai riuscita ad esprimermi completamente, nonostante voglia ad entrambe un gran bene, soprattutto a J-chan».
Lui le lanciò un'occhiata in tralice. «Credevo che tu e la Edogawa foste molto legate»
Kira annuì. «Lo siamo. ma alcune volte mi rendo conto che con lei non c'è quella completa sintonia che due amiche dovrebbero avere. Jem è una ragazza pacata che cerca sempre un modo per essere utile al prossimo, mentre io sono egoista e spesso penso solo a me. Io non ho paura di esternare ciò che gli altri temono di sentire, invece lei trova normale assecondare gli atteggiamenti altrui per non incorrere in un giudizio negativo. A me non importa di essere antipatica: se qualcuno mi offende attacco e graffio; Jem si ritira nel suo guscio e aspetta che passi la tempesta. Sono davvero affezionata a lei ma siamo così diverse... Non credo troverò mai un'amica in grado di sopportarmi e comprendermi pienamente. Per questo qualche volta mi sento un po' isolata».
Era stato un breve, bizzarro e confuso monologo, ma in qualche modo Mark riuscì a capirlo. C'era più di una semplice incomprensione tra amiche sotto le parole di Kira, e lo racchiuse nell'unico termine plausibile: solitudine. Benché non fosse una ragazza scostante, si sentiva sola.
Spesso anche lui, in mezzo a mille persone e pur con la compagnia degli amici più fidati, si sentiva estraniato, come se tutto il globo parlasse una lingua sconosciuta.
«Non potrei abbandonarti». Mark sollevò un braccio e le circondo le spalle in una presa salda, portandola contro il fianco. «Sei troppo svampita per cavartela da sola. Combini sempre un mare di guai»
Kira si appoggiò a lui, guardando quel viso marcato dal solito cipiglio. «Davvero non lo faresti?»
Mark abbassò lo sguardo su di lei. «Non lascerei mai da parte i miei amici per una donna»
Il tono del capitano tradì un velo di insofferenza che la divertì. «Lo dici come se la cosa ti svilisse. Guarda che sarebbe normale essere molto presi dalla propria ragazza. Sono io che baglio atteggiamento, lo so»
Mark sbuffò. «È un problema che per ora non mi pongo. Non ho tempo e nemmeno voglia di averne una»
Kira rimase appoggiata al suo fianco, circondandogli il busto con le braccia. «Prima o poi succederà»
«Molto più poi che prima. E comunque, sono stato gentile con la Benson esclusivamente perché me lo hai chiesto tu» ribadì il calciatore in tono quasi stanco.
Lei sporse le labbra in un piccolo broncio. «Però sembrava sul serio che tu stessi per baciarla»
Mark ringhiò sommessamente, già pronto per l'ennesimo battibecco. «Non farmi questo, Kira»
Lei mosse la testa a metà. «Cosa?»
«Hai rotto per mesi con la storia della bicicletta; adesso non impuntarti su un bacio che non esiste!»
«Voglio solo sapere la verità!»
«La sai già!» Mark si staccò da lei, rivolgendole uno sguardo accusatore. «Ma continuando a tirare da sola le tue conclusioni senza mai stare a sentire gli altri, finisci per capire tutto il contrario di quello che è!»
Lei si sporse verso di lui. «Come posso capire se tu non mi spieghi?»
«Perché non me ne dai il tempo! Se per una volta tenessi la bocca chiusa, potrei parlare un po' io!»
Riluttante, Kira serrò le labbra tra loro con forza.
Mark la guardò con incertezza. Non era sicuro che lei potesse resistere tanto. Comunque, tentò.
«Quando te ne sei andata, me ne sono andato anch'io»
Kira non si trattenne. «Ma... e Milly?»
Mark la fulminò con un'occhiata contrariata. La pattinatrice mimò il gesto di chiudersi la bocca con un lucchetto e gettar via la chiave.
Lui riprese a spiegare.



Quando Milly era scoppiata a piangere sul suo petto, Mark l'aveva allontanata con fermezza ma gentilmente. Lei aveva spalancato gli occhi, consapevole che quel gesto significava che non l'avrebbe consolata come sperava.
«Oh, perdonami! I-io...»
«Perché non ti siedi?» le aveva suggerito Mark, invitandola a prendere posto sulla poltroncina all'interno di uno dei camerini vuoti.
Lasciata aperta la tenda per far passare aria, una delle commesse del negozio aveva portato alla ragazza un bicchiere di acqua fresca.
Mark aveva pensato che non fosse il caso di buttarla in tragedia, ma probabilmente non era in grado di decifrare il reale stato d'animo della Benson. Stava avendo una mezza crisi di panico, quasi certamente per essere caduta in acqua senza saper nuotare. Jem, Ed e Darren si erano riuniti intorno a lei sulla soglia del camerino per vedere come stava, ed era stato allora che Mark si era accorto dell'assenza di Kira. Fino a pochi istanti prima era lì con loro, ne era sicuro, l'aveva vista entrare in uno degli stanzini in fondo.
«È tornata a casa» lo aveva informato Ed a bassa voce, mentre Jem e Darren parlavano con Milly.
«Ti ha detto perché?»
Ed aveva scosso il capo. «Però ne ho una mezza idea: credo sia per via di voi due»
Warner aveva indicato la Benson con un gesto del capo.
«Kira non può pensare veramente che io e lei...»
«Evidentemente lo ha pensato, capitano. E se mi permetti, poco fa l'ho sospettato anch'io»
Mark si era rabbuiato. «Cosa, esattamente?»
«Che la Benson stia iniziando a piacerti»
«Fammi il favore, Ed! Non ci prendiamo nemmeno! E se Kira non lo ha capito, tanto peggio per lei. Io ho cercato di spiegarglielo»
«Per cui non la seguirai?» aveva chiesto un perplesso Ed. Sembrava si aspettasse che Mark facesse proprio questo.
Il capitano della Toho aveva guardato il suo portiere come se avesse detto la barzelletta del secolo. Non sarebbe corso dietro a quella ragazzetta arrogante.
Mark era tornato verso i camerini, incontrando il viso corrucciato di Milly. Non gli ci volle molto per comprendere cosa aveva guastato il suo buonumore; e non era la sola...
Avrebbe voluto chiedere a Ed cosa fosse andato storto con la Edogawa, ma in quello stesso momento Milly aveva annunciato di stare meglio e così erano usciti dal negozio per iniziare un lungo giro di Harajuku, con l'impossibilità di conversare liberamente.
Ma le coppie, ormai, si erano disgiunte.
Mark aveva passato alcuni istanti ad osservare il cipiglio di Grant con una cera soddisfazione, nel contempo disprezzando l'atteggiamento accomodante della Edogawa che, invece di difendere Kira, preferiva anteporre le frivole esigenze di Milly. Forse Jem lo faceva in modo da evitare ulteriori crisi di pianto, ma Mark non condivideva ugualmente la sua scarsa presa di posizione.
«Kira si comporta come una bambina piccola» stava lamentandosi Milly. «È una tale egoista! Non lo pensi anche tu, Lenders?»
Anche tu lo sei , avrebbe voluto dirle Mark. «Benson, ti devo parlare un secondo»
Lei si era fermata accanto a uno stand di vestiti esposto fuori da una boutique. «Dimmi»
«Credo che possiamo terminare qui»
Milly aveva sbattuto gli occhi senza capire.
«Non è il caso di continuare questo appuntamento»
«Non ti sei divertito?»
«Non molto a dire la verità. Sono venuto solo perché me lo ha chiesto Kira».
La mano di Milly si era stretta a pugno sulla stoffa di un abito. «Non...n-non ti andrebbe di riprovarci?»
«Mi dispiace. No».
«Perché?» aveva insistito debolmente lei.
Mark aveva preso il respiro più lungo della sua vita. «Perché non penso che noi due siamo compatibili. E poi non voglio avere una ragazza in questo momento». Spiegazione stiracchiata ma sostanzialmente vera. C'erano molteplici motivazioni, ma non era molto sicuro di possedere la pazienza per elencarle tutte. A Milly piaceva ammirarlo perché era un campione; lui la trovava carina; ma al di fuori di ciò non c'era altro. Era convinto che anche lei lo percepisse: quando lui rimaneva in silenzio, Milly attaccava con un discorso qualunque, come se non parlare fosse segno che qualcosa tra loro non andava per il verso giusto. Difatti era così.
Milly gli aveva sorriso stentatamente, trattenendo altre lacrime di delusione. «Capisco. Beh, non importa. Magari ripensaci, va bene?»
«Non credo. Mi spiace». Infine, Mark si era voltato e aveva imboccato la via per la stazione senza rimpianto alcuno.




Kira piegò le labbra in un sorriso amaro. «Sono un vero disastro. Tutto quello che volevo era rendere felice Micchan, ma ho finito di nuovo per far stare male lei e anche te»
Si erano spostati di nuovo vicino alla porta del terrazzo per cercare la frescura di un punto in ombra, lasciandosi scivolare a sedere lungo il muro.
Mark aggrottò le sopracciglia. «Io non sto male. Mi arrabbio perché ti comporti come una pazza»
Kira rimase in silenzio a riflettere. Si rese conto di aver sfruttato la gentilezza di Mark per assecondare il capriccio di Milly, e lui l'aveva assecondata a sua volta con una pazienza che aveva superato la media dei suoi standard.
«Scusami per averti coinvolto. Ho sbagliato proprio tutto».
Lui la fissò attentamente. «Non hai pensato nemmeno per un momento che anch'io mi sia sentito come te, vero?»
Lei sollevò rapidamente lo sguardo sul suo viso, gli occhi leggermente più grandi. «Eri geloso di Grant?»
«Non geloso. Infastidito». Mark grugnì. Sempre troppo diretta, accidenti a lei.
«Per quale motivo?»
«Grant è falso, subdolo. Vuole qualcosa da te ma non ho ancora capito cosa». Il calciatore non aggiunse che aveva trovato insopportabile pensare a lei che rideva, si divertiva e stringeva amicizia con quel tipo ambiguo. Era con lui, Mark, che Kira doveva ridere e divertirsi, non con un altro.
«Io non penso volesse qualcosa, a parte conoscermi» minimizzò lei, piegando le gambe sotto il corpo per cercare una posizione più comoda. «Dopotutto il suo scopo era solamente farsi notare e, ora che ci è riuscito, dovrebbe desistere dal seguirmi»
«Ne sei proprio sicura?»
«No, ma se continuerà lo farò smettere. Sai, credo che Darren Grant sia quel tipo di persona bisognosa di qualcuno che gli presti continuamente attenzione. Io non sono stata molto collaborativa in questo».
Mark studiò la situazione per qualche secondo: niente più damerino tra i piedi? Decisamente un buon cambiamento. Forse era stato avventato pensando che Kira potesse farsi ingannare da un tipo privo di spina dorsale.
«Per cui, non vi rivedrete?»
«No, non credo» dichiarò la ragazza con decisione. «E tu e Micchan?»
«Oddio, no». Mark riversò la testa all'indietro. «L'avrei apprezzata maggiormente se fosse stata più genuina nel porsi. Ma era così concentrata ad apparire educata e dolce che ho percepito falsità a chilometri di distanza. A Milly Benson non piaccio davvero, le piace la confezione ma dubito che il regalo sia quello che si aspetta».
Già, anche Kira non lo credeva. Milly non conosceva il carattere di Mark: ingestibile, irruento, indipendente. Micchan aveva bisogno di un ragazzo pacato che sapesse riempirla di attenzioni ad ogni ora del giorno. Mark non poteva essere questo per lei, né per nessuna ragazza avvenire. Chiunque si fosse fidanzata con il capitano della Toho in futuro, avrebbe dovuto mettere in conto che Lenders era un cavallo brado a cui redini fatte di regole e prevaricazioni stavano troppo strette.
«Oggi la dovrò affrontare» sospirò Kira alludendo a Milly. Si prospettava un confronto difficile tenuto conto della facilità con cui poteva sconvolgeva.
«Ti serve una mano?»
«Oh, no, per carità!» esclamò Kira battendosi sulla fronte. «Era già in pieno dramma questa mattina; meglio che non ci facciamo vedere insieme, oggi»
Seduta accanto a lui sulla pavimentazione di pietra del terrazzo, Mark la guardò stiracchiarsi. Sembrava più serena di poco prima. Forse dipendeva dal fatto che avevano chiarito l'incomprensione. Non c'era quasi stato bisogno di litigare. Era un record.
Avrebbe voluto raccomandarle di nuovo di badare a Grant, ma non era un tipo a cui piaceva ripetersi.
«Che scusa ci inventiamo per aver saltato la prima ora?» gli domandò poi Kira.
«Possiamo dire che sei stata male» suggerì lui.
Lei non fu d'accordo. «Perché io? Dì che sei stato male tu»
«Io non mi ammalo quasi mai. Non sarebbe credibile. E poi gli altri già credono tu sia sentita poco bene ieri. Potresti aver avuto una ricaduta»
Kira ci pensò su una manciata di secondi. «E va bene. Allora dovremmo andare in infermeria, non credi?»
«Qui però si sta bene» replicò Mark. Non era necessario andarci subito.
«Sì, è vero». Kira sbadigliò. «Mi è venuto sonno».
Il capitano le afferrò il polso sul quale portava l'orologio. «Kira, sono le nove e un quarto del mattino»
«Lo so, ma stanotte ho dormito malissimo per colpa tua».
«Colpa mia?» Certo che non aveva ritegno ad affermare certe sciocchezze. Si faceva venire una sincope per un bacio inesistente visto da una prospettiva sbagliata e dava la colpa a lui! Pazzesco...
«Fammi da cuscino» bofonchiò la pattinatrice, poggiando la guancia sulla sua spalla.
Mark sussultò. «Non vorrai dormire sul serio?»
Lei annuì, gli occhi già serrati. Li riaprì, guardandolo incerta. «Ti dispiace?»
Mark capì a cosa alludeva. «Ehm...no». La guardò richiudere le palpebre e sospirare in un sorriso.
Fu veramente felice di vederla più rilassata, e ancor più di sapere che era lui a farle quell'effetto.
Era strano. Era piacevole. Sentirla vicina non risvegliò il fastidio provato quando Milly Benson gli si era avvinghiata al braccio. Con Kira era tutto diverso.
Piegò la testa, strofinando la guancia sul capo di lei, sui capelli morbidi.
«Cosa stai facendo?»
La voce della ragazza lo riscosse dall'attimo di accidentale tenerezza. «Niente». Sollevò la testa.
Kira gli rivolse un sorriso lento. «Puoi appoggiarti se vuoi». Richiuse le palpebre.
Mark sospirò pianissimo. Non credeva l'avrebbe rifatto. Piuttosto le avvolse di nuovo un braccio sulle spalle. Quello gli veniva naturale anche con gli amici e non se ne vergognava.
Una leggera brezza calda soffiò sulla pelle. Tutto era silenzioso. Lui percepiva la sensazione del corpo caldo di Kira contro il suo, il respiro regolare dentro il sonno. Il suo braccio rilassato pesava nel contatto sulla spalla di lei. L'impasse iniziale svanì, non c'era imbarazzo adesso.
Poi, Mark ebbe la sensazione di cadere nel vuoto e sollevò di scatto la testa, riaprendo gli occhi. Forse si era appisolato anche lui. Girò lo sguardo sull'orologio di Kira: le dieci meno dieci. Sì, aveva dormito, e avevano pochissimo tempo per sgattaiolare in infermeria senza essere visti. Tra poco i corridoi si sarebbero riempiti di studenti che sgranchivano le gambe e insegnanti che veleggiavano attraverso le aule.
Mark ritirò il braccio da lei, spostandosi di poco per svegliarla meno bruscamente possibile. Non ci fu bisogno di chiamarla: Kira si mosse prima che potesse sfiorarla.
«Dobbiamo scendere» le disse.
Lei annuì, strofinandosi gli occhi.
«Che succede?» Mark la vide stringere lo sguardo come per mettere a fuoco la vista.
«Mh? Niente, tutto a posto» rispose lei, evasiva. «Andiamo?»
«Di corsa».



***


«Avete saltato la prima ora?» chiese Ed a Mark durante il pranzo, con un sorriso tra l'ammirato e l'incredulo.
«Per forza. Se fossimo entrati in ritardo alla lezione della Amada, quell'avvoltoio impagliato ci avrebbe demolito»
Warner sorrise. «In effetti hai ragione. E che scusa avete inventato per Kioke-san?»
«Il solito: Kira ha finto di star male. E comunque, Koike-san non fa mai troppe domante».
Per la fortuna di ogni studente, la signora Koike era un'infermiera efficiente e sempre dalla parte dei ragazzi. Per tutti rappresentava una specie di mamma premurosa con l'animo eternamente giovane. Quello che succedeva dentro le mura dell'istituto non sfuggiva al suo occhio vigile e al suo intuito sopraffino, ma non una parola usciva dalla sua bocca, né tanto meno raggiungeva le orecchie degli insegnati. Quando Mark e Kira si erano presentati in infermeria e la pattinatrice aveva raccontato di aver avuto un capogiro improvviso appena arrivata a scuola, Koike non aveva chiesto come mai ci avesse messo un'ora per venire da lei. Non aveva domandato nemmeno perché Mark se ne stesse sulla porta a braccia conserte ad aspettare invece di tornare in classe. Forse stava male anche lui? Poi la donnona aveva fatto stendere Kira su uno dei lettini e, canticchiando, le aveva misurato la pressione. Dopo una diagnosi incoraggiante, i due ragazzi erano entrati in classe con una giustificazione firmata dall'infermiera. Alla faccia della Amada...
«Quindi avete passato tutta l'ora in infermeria? Noioso» disse Ed, che avrebbe saputo come impiegare un tempo tanto prezioso in compagnia di una ragazza carina come Kira.
«No, siamo stati sul terrazzo» rispose Mark con una genuinità che spiazzò il portiere.
Ed fece un sorrisetto malizioso. «E...» si chiarì la gola, «che avete fatto?»
Mark si accigliò. «Nulla di quello che la tua mente malata sta immaginando. Abbiamo solo parlato un po'»
Ed percepì lo sforzo con cui il capitano stava decidendo se proseguire oppure no. Non aveva mai forzato la sua riservatezza, ma andava anche stimolata qualche volta. «Hai capito perché Kira-san ieri se n'è andata all'improvviso?»
«Sì, è tutto a posto», rispose Mark, lapidario. «E a te com'è andata con Edogawa? Non mi hai ancora detto nulla»
Warner abbassò lo sguardo a terra, scurendosi in volto. «Male»
«Così male?»
«A lei piace già un altro. E se ti dicessi chi è non ci crederesti». Ed fece un sorriso amaro, suscitando la curiosità dell'amico. Fece una lunga pausa, appoggiandosi al tronco di un albero. «Il nome Benji ti dice qualcosa?» domandò ironico.
Mark rimase per qualche secondo a fissare un punto lontano. «Price?»
Warner non si aspettava altro che una risposta praticamente immediata. Mark detestava l'ex portiere della New Team tanto quanto lui. Annui lentamente più volte. «Proprio Benji Price»
«Mi prendi in giro?»
Ed rise ma i suoi occhi non ridevano. «No»
«Ma lui è in Germania!» fece Mark in tono sprezzante, come se non concepisse l'inverosimile capacità del Super Great Goal Keeper(1) di fare un affronto a Ed anche trovandosi dall'altra parte del mondo..
Era esattamente quello che aveva pensato il portiere della Toho mentre sedeva sulla barca con Jem ad assimilare quell'assurdo scherzo del destino. Price aveva ancora una volta la meglio su di lui benché non avesse fatto nulla di concreto. Non poteva contrastarlo né accusarlo visto che, tutto considerato, Benji non sapeva affatto quanto Jem fosse ancora legata al suo ricordo.
«Non avevo idea che Edogawa lo conoscesse» proseguì Mark, ancora nello stesso tono sdegnoso.
«Frequentavano entrambi la Saint Francis. Jem si è trasferita a Tokyo durante la sesta elementare»
«Kira non me lo ha mai detto»
«Non credo che Kira-san lo sappia». Ed aveva l'impressione che Jem avesse preferito tenere quel tenero ricordo custodito nel cuore senza condividerlo, come se parlarne avesse potuto infrangere lo scrigno in cui ancora lo conservava gelosamente. «Probabilmente sarebbe andata male comunque con lei. Avevi ragione, capitano: non le piaccio in quel senso».
Mark lo guardò con poca convinzione. «Per cui ti arrenderai?»
«Aspetterò un po' di tempo». Ed gli rimandò un'occhiata calma. Nessun segno di turbamento scalfiva il viso del portiere. Sapeva che Lenders conosceva quello sguardo: non si sarebbe arreso, anche se l'ultima cosa che Warner voleva era correre dietro alla ex ragazza di Benji. Il suo orgoglio ne era uscito ferito; non in quanto calciatore questa volta, ma come persona.
Fingendo di rimproverarlo, Mark disse: «Fossi in te lascerei perdere le ragazze. Sono solo una fonte di stress e guai. Non ti distrarre proprio adesso, Ed: la prossima settimana abbiamo una partita importante contro i gemelli Derrik».
Warner non poté fare a meno di sorridere. Il capitano aveva un modo tutto suo di tirare su il morale alle persone, ma con lui funzionava sempre.




Lo sguardo di Milly era astio puro. Kira sapeva che prima della fine dell'allenamento sarebbe esplosa una bomba. Iniziò a sentire quella familiare morsa allo stomaco, senso di colpa misto a irritazione. Ma non aveva nulla di cui scusarsi stavolta. Non era colpa sua – non lo era stata nemmeno in precedenza – se Mark l'aveva definitivamente scaricata.
Il coach Kanagawa scandiva il ritmo della coreografia in numeri mente provavano i passi per l'annuale esibizione di gruppo per la festa dello sport. Mancavano due settimane e il team era più euforico che mai. Durante la manifestazione scolastica potevano inventare mosse di loro iniziativa e decidere i passi insieme ai coach; durante le gare era invece la commissione a decidere quali elementi dovevano eseguire gli atleti obbligatoriamente.
Dopo una serie di passi in singolo, i ragazzi si gettarono ai quattro angoli della pista, mentre le ragazze al centro avrebbero dovuto afferrare le mani di una compagna, compiere un paio di giravolte insieme e poi dividersi di nuovo per una serie di elementi singoli. Kira era in coppia con Milly, ma quando allungò le braccia verso l'amica quella si scansò e Kira perse il ritmo.
«Stop!» esclamò Kanagawa soffiando in un fischietto. Gli allievi emisero un mormorio. «Benson, perché ti sei spostata?»
«Brighton ha sbagliato il tempo» rispose Milly.
Non aveva sbagliato affatto! Kira la vide arrossire per la bugia. Kanagawa non se ne avvide.
Il coach le osservò con aria dubbia. «Va bene, riprendiamo».
Il team tornò al lavoro ripetendo la coreografia dall'inizio. Una volta arrivati al punto di prima, Milly scansò di nuovo la compagna.
«Micchan!» esclamò Kira, tra il seccato e l'incredulo. La stava schivando apposta.
«Non sono io, sei tu che sei lenta»
«Ragazzi facciamo una pausa» disse la signorina Fukushima, richiamandoli tutti a bordo pista.
Kira non si mosse. Prima che Milly potesse raggiungere gli altri la trattenne per un braccio e non lasciò la presa quando l'altra tentò di divincolarsi.
«Lasciami!»
«Non finché non parliamo a quattrocchi».
Milly indietreggiò stringendo una mano al petto. Kira capì che temeva quel momento ma era inutile rimandare l'inevitabile.
«Senti, mi di spiace che con Mark sia andata male...»
«Ah, te l'ha già raccontato?». Milly fremette di collera. «Non dovrei stupirmi, vero? Dopotutto siete così uniti che se tu decidi di scaricare i tuoi amici a metà di un appuntamento deve farlo anche lui»
«Oddio, piantala! Sono stanca delle tue paranoie». La voce di Kira echeggiò per il palaghiaccio. Alcuni dei compagni si voltarono verso di loro.
«No, piantala tu!» Milly diede uno strattone e si riprese il proprio braccio.
Kira respirò profondamente. «Senti, non ho chiesto io a Mark di mollarti a metà pomeriggio»
«Non è solo questo!» esclamò Milly già sull'orlo delle lacrime. «Avevi promesso che con Lenders non avresti più avuto nessun tipo di rapporto al di fuori delle lezioni, invece ci sei andata al Luna Park! Non negare, me lo ha detto lui!»
Kira si fissò i pattini per un istante, poi sollevò la testa, risoluta. «Sì, e allora? Non ho mai promesso niente, Milly! Quando lo avrei fatto?»
«Avevi detto...»
Kira la fermò. «Esatto. Detto. Non promesso. E avevo detto che sarei stata più attenta ai tuoi bisogni, non che mi sarei fatta comandare a bacchetta. Ma ho deciso che non ci sto più. Non mi va».
Le labbra di Milly tremarono. Kira sapeva di averla ferita con quella brusca affermazione ma doveva essere sincera. Basta bugie.
«Voglio essere libera di poter vedere Mark quando mi pare»
«Non puoi averlo tutto per te, Kira!». Milly singhiozzò balzando all'indietro, le mani strette al petto. «Non era difficile quello che ti avevo chiesto ma tu ci sei passata sopra e me lo hai tenuto nascosto. Siete usciti insieme: quale idea dovrei farmi secondo te? Sei una bugiarda oltre che un'insensibile egoista!»
Bugiarda, egoista, insensibile. Erano i vocaboli preferiti di Milly da un po' di tempo a questa parte, ed erano sempre, sempre rivolti a lei. Kira era stanca di quelle offese, di farsi dire cosa fare.
Fece un passo avanti sul ghiaccio. Era più alta di Milly e in quel momento di rabbia, davanti alla sua figurina, appariva minacciosa. «Ti ho assecondata fin troppo a lungo ascoltando le tue minacce da bambina di prima elementare. Non vuoi più essere mia amica? Fa come ti pare. Ma sappi che io insieme a Mark posso fare quello che mi pare e andare dove voglio. Posso farmi accompagnare fuori da scuola, andarci al Luna Park, posso anche dormire a casa sua se mi va, e soprattutto posso parlare con lui quanto piace a me senza dover rendertene conto. Non puoi mettere un veto alla mia amicizia con Mark, perché è mia, non tua. Lui nemmeno ti guarda! Anzi lo infastidisci».
Kira prese fiato, il respiro leggermente affannoso. Non avrebbe davvero voluto essere tanto cattiva ma le parole defluivano da lei come un torrente impazzito. Era stanca, stressata, non poteva passare le giornate concentrata su come dovesse parlare a Mark, su cosa fosse bene dirgli o no in base a ciò che Milly approvava. Le era piaciuto quando al Luna Park lui l'aveva abbracciata, e quella mattina sul terrazzo, quando gli aveva confessato quanto fosse importante per lei la sua amicizia. E se voleva ringraziarlo e fare un gesto carino per lui, poteva; se voleva mandarlo a quel paese quando la faceva arrabbiare, poteva pure quello. Non ci sarebbe più stata nessuna Milly a dettare legge.




Jem uscì dagli spogliatoi per ultima, trovando Kira ancora sulla pista. «Kira-chan, andiamo a casa?»
Kira frenò grattando con le lame sulla superficie immacolata. «Rimango ancora un po' ad allenarmi» rispose tornando indietro verso Jem. «La Fukushima mi ha detto il permesso».
Titubante, Jem picchiettò con le unghie sulla barriera, guardando l'amica fermarsi dall'altra parte di essa. «Negli spogliatoi, Micchan ha detto che non vuole parlarti mai più»
«Non mi interessa». Kira guardò impassibile il viso mortificato dell'altra. «Tu lo sai che Milly ti chiederà di scegliere tra lei e me, vero?»
Milly. Non più Micchan. Non erano più amiche.
«Non potrei scegliere» affermò debolmente Jem.
«Sì, lo so». Kira le sorrise, poi si voltò e tornò ai suoi esercizi. «E non ce l'avrò con te se deciderai di stare dalla sua parte. Mi sono comportata male, lo so, però non ho più voglia di assecondarla».
Kira calcò sul ghiaccio con le lame e si allontanò in fondo alla pista. Quando si voltò, scorse un guizzo della gonna nera di Jem svolazzare oltre la porta del palazzetto.
Non avrebbe mai obbligato J-chan a scegliere, doveva fare ciò che sentiva giusto. Se avesse potuto, nemmeno lei avrebbe cessato di essere amica di Milly, ma la conosceva troppo bene per sperare in una riappacificazione.
Si rifiutava di credere che un viso così dolce e tenero nascondesse un animo prevaricatore...
Senza neanche accorgersene si ritrovò con il sedere sul ghiaccio. Aveva sbagliato un salto, un triplo toe-loop. Magnifico. Di solito le riusciva sempre. Si rialzò per riprovare ma aveva troppi pensieri in testa e non riusciva a concentrarsi.
La verità era che, anche se si era comportata malissimo, era stanca delle angherie di Milly. Se significava perderla... beh, l'aveva sempre saputo che poteva succedere. Doveva smettere di pensarci.
Prese velocità, spinta da una collera incontrollabile verso sé stessa per non aver saputo risolvere la situazione così da aver perduto un'amica, che al momento detestava ma alla quale ancora voleva bene. Collera verso Milly stessa, che l'aveva costretta a scegliere tra lei e Mark. Kira non aveva scelto, il suo cuore lo aveva fatto per lei. Lui poteva avere tutti i difetti del mondo, ma almeno non la costringeva a fare tutto ciò che voleva alla stregua di una schiavetta.
Improvvisamente fu ispirata da un impulso. Era da qualche tempo che le frullava nella testa e quello poteva rivelarsi il momento più giusto per provare.
Un salto quadruplo.
Poche pattinatrici ci riuscivano. I quadrupli erano per i maschi, i quali avevano gambe più muscolose, più robuste, di conseguenza in grado di darsi uno slancio abbastanza forte da compiere quattro giri in aria. Era un'incoscienza provarlo senza la supervisione di un coach. Se fosse caduta avrebbe potuto farsi veramente male. Ma se fosse riuscita a produrre un salto quadruplo, la rabbia si sarebbe dissolta lasciando posto alla soddisfazione di essere riuscita a far qualcosa di buono e giusto per sé stessa.
E saltò. Un quadruplo lutz. I quattro giri in aria riuscirono perfettamente, ma il piede sul quale atterrò cedette sotto il peso del suo corpo. Emise un'esclamazione di dolore quando sbatté sul ghiaccio, una lacrima le rigò una guancia.
Poi, una voce gridò il suo nome.
Kira alzò la testa mentre sedeva sulla fredda pista, osservando con stupore Mark scendere le gradinate del palaghiaccio. Lui non aveva più messo piede lì dentro dalla loro sfida sui pattini.
Mark raggiunse la barriera, camminandovi rasente per trovare un passaggio. «Da dove diavolo si entra?»
«Non puoi entrare senza pattini» lo ammonì Kira mettendosi in piedi.
Lui trovò lo sportello aperto sul lato della barriera e mise piede sulla superficie del ghiaccio. Scivolò all'istante, imprecando a bassa voce.
Kira lo raggiunse, venendo scrutata con aria critica da un paio di occhi neri. «Che fai qui?»
«Ti aspettavo al cancello. Hai tardato e sono venuto a cercarti».
Lei non seppe perché ma i suoi occhi si velarono di pianto.
«Ti sei fatta male?» chiese lui, senza staccare lo sguardo da lei.
«No» Kira abbassò la testa facendo un cenno col capo. «Stavo provando un salto». Si fissò le mani. Sui palmi erano comparse strisce rosse di sangue.
«No?» fece Mark prendendole i polsi, esaminando le piccole ferite sulla sua pelle.
«Succede quando non si indossano i guanti» spiegò lei, tentando di soffocare il groppo che sentiva in gola. «Quando si è troppo sicuri di qualcosa non si prendono le dovute precauzioni e ci si può far male»
Mark stava studiando il suo stato d'animo: aveva capito che non parlava solo dei tagli sulle mani. Kira chinò la testa in avanti, posando la fronte sulla sua spalla nascondendo le proprie emozioni.
«Che cos'hai?» le chiese lui, con un tono gentile che non gli aveva mai sentito.
«Niente. Fammi stare un po' così, per favore».
Sentì il respiro di Mark contro i capelli, le mani grandi posarsi sui fianchi. Il contatto espanse le sue sensazioni che si tramutarono in lacrime lente e copiose. Allo stesso tempo, percepì il suo animo galleggiare di sollievo. Era come se la testa le si fosse improvvisamente svuotata di ogni pensiero e problema, donandole un benessere anche fisico. Kira non seppe se attribuire quella piacevole e amara sensazione al pianto liberatorio oppure alla vicinanza di Mark.
Rimase così, con le braccia lungo i fianchi e quelle di lui che la tenevano vicino. Lo ringraziò silenziosamente per non averle chiesto niente, anche se probabilmente sapeva già tutto.
Con tutta probabilità, aveva perso l'amicizia di Milly per sempre. Ma aveva lui. E quando Mark le stava vicino in quel modo, solo con il suo silenzio, valeva più di tutte le parole del mondo.


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Note:

Super Great Goal Keeper (SGGK), per chi non lo sapesse è il soprannome di Benji Price/Genzo Wakabayashi.

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-Spazio Autrice-

Se qualcuno ha pensato che il titolo di questo capitolo fosse associato alla conclusione della storia, sappia che si è sbagliato. E' invece il punto di rottura tra Kira e Milly. Prima o poi doveva succedere.

Ho mostrato un Mark molto premuroso questa volta, che a mio parere non si discosta dall'IC in quanto tutti sappiamo che grande cuore si nasconde dietro i modi a volte bruschi del nostro protagonista.
Mi è piaciuto un sacco scrivere le scene fluff tra Mark e Kira *^* I miei piccini...hanno ancora così tanta strada da fare <3
Fan di Benji, non detestatemi se lo metterò leggermente in cattiva luce. Lungi da me sia odiare il personaggio di Price, anzi mi piace molto, ma è logico che il nostro Ed Warner pensi a lui come a una specie di maledizione che lo perseguita non solo sul campo ma anche in amore XD
And now, un casino va e un casino viene. Non pensiate che siano finiti i guai! Eh eh... quelli veri devono ancora cominciare!!! Nel frattempo preparatevi ad assistere alla festa dello sport e a una Kira come Mark non l'ha mai vista ;)


Ringrazio tutti voi che leggete e votate, anche se siete in pochi, chi commenta (scusate, certe volte non riesco a rispondervi) e a chi ha inserito Haru tra gli elenchi di lettura.

Se vi va, vi invito a seguirmi anche su Facebook nel gruppo Chronicles of Queen, e su IG alla pagina susanthegentle_efp.

Ci vediamo tra due settimane :)

Claire.

HARU NO TOKI- Il tempo della primaveraDove le storie prendono vita. Scoprilo ora