L'ultima settimana di giugno per gli studenti della Toho voleva dire tre cose: esami di fine trimestre, conto alla rovescia per le vacanze estive(1) e festa dello sport.
Regno incontrastato degli atleti della scuola, delle sfide lasciate in sospeso, dei pareggiamenti di conti tra rivali storici e nuovi, diventava una specie di mini olimpiade tra sezioni oltre che una giornata dedicata alle famiglie. Cadeva di proposito in un giorno festivo, così da permettere a genitori, fratelli e altri visitatori di venire ad assistere alle competizioni più disparate.
Il comitato organizzativo, capeggiato da Darren Grant, aveva assegnato ad ogni singolo studente un compito specifico: tutta la scuola doveva partecipare agli allestimenti. In soli sette giorni la Toho si riempì di festoni, cartelli con scritte colorate, palloncini e ghirlande.
A una settimana dalla manifestazione, il coach Kanagawa annunciò un cambiamento dell'ultim'ora nella coreografia, mandando leggermente nel panico tutto il team di pattinaggio. Milly si rifiutava di collaborare con Kira e aveva chiesto che le fosse affiancata un'altra compagna. Ferita e umiliata ma a testa ben alta e con voce limpida, Kira aveva risposto che andava bene ugualmente far coppia con qualcun altro.
I coach si erano stupiti di questa ribellione ingiustificata da parte della Benson, dal momento che lei e Brighton erano sempre andate molto d'accordo. Kanagawa era assolutamente contrario a modificare le mosse proprio agli sgoccioli della festa dello sport, ma la Fukushima trovò la soluzione...
«Kira, vieni un momento, per favore»
Al cenno dell'allenatrice, la ragazza le si era avvicinata sulla pista.
«L'anno scorso sei stata assente dal programma e non voglio che quest'anno si ripeta la stessa cosa» le ricordò l'allenatrice, una punta di riprensione nella voce.
«Ehm...già». Kira fece un sorrisino colpevole. «Ho combinato qualche guaio lo scorso anno, vero?
«Sì, e mi è dispiaciuto molto doverti escludere dal team per cattiva condotta» continuò la Fukushima.
Kira credeva di sapere cosa voleva dirle e l'anticipò. «Mi dispiace che lei e il signor Kanagawa abbiate di nuovo dei problemi a causa mia. Vede, io e Milly...»
La Fukushima scosse la testa, benevola. «Non ti ho chiamata per questo. Milly eseguirà quel passaggio con Ethan invece che con te. La faccenda è risolta».
Kira sbatté le palpebre, smarrita. Se Ethan prendeva il suo posto accanto a Milly, lei dove sarebbe stata collocata?
«Ho sempre puntato su di te, non lo nascondo» proseguì l'allenatrice. «Ecco perché quest'anno vorrei che aprissi la manifestazione. Da sola».
La ragazza sgranò gli occhi. Da sola, valeva a dire in singolo. Non era bello ostentare il proprio orgoglio ma non poté evitare di sfoggiare un sorriso che enorme era dire poco. «Sarebbe magnifico! Ma come faccio? Non ho neanche mezzo programma pronto. La festa dello sport è tra due settimane!»
«Calma, calma». La Fukushima trattenne il vulcano prima che esplodesse di gioia e ansia al contempo. «Abbiamo un margine ristrettissimo per esercitarci, lo so, ecco perché pensavo sarebbe una buona idea se riproponessi il programma che hai portato alle gare scolastiche della scorsa stagione; con qualche piccola modifica, magari»
«Sì...giusto». Kira fremette di felicità. Quasi non riusciva a contenersi. Avrebbe voluto girarsi per correre ad annunciarlo alle sue amiche, ricordando improvvisamente che Milly non le parlava più e Jem...anche con Jem negli ultimi tempi non aveva parlato granché.
Dal giorno in cui l'amicizia tra lei e Milly era finita, la Edogawa si era trovata tra due fuochi, cercando dividere il proprio tempo tra le due amiche ma senza riuscirvi. Come Kira aveva amaramente previsto, Jem si era pian piano allontanata da lei, forse a causa della scarsa resistenza con cui sapeva gestire certe scomode situazioni, o forse per sostenere Milly in un momento di estrema fragilità. Questo faceva soffrire enormemente Kira e ancor più si doleva per il fatto che J-chan non facesse nulla per impedire alla Benson di continuare a comportarsi da martire incompresa. Non ci voleva molto sforzo a indovinare ciò in cui quest'ultima si stava operando: far sentire in colpa lei, Kira, per averle rovinato la piazza con Mark, privandola delle amicizie e spingerla all'isolamento.
«Esci un momento dalla pista, Kira» riprese la Fukushima. «Devo farti un discorso molto serio». Kira obbedì, raggiungendo insieme a lei lo sportello d'uscita. Afferrò un paio di paralame di gomma da un cesto di plastica posato sopra una panca, li infilò e seguì l'allenatrice su un'altra panchetta appena sotto la prima fila di tribune. Incrociò le gambe, lo sguardo attento e tutta orecchi.
«È da molto tempo che proponiamo lo stesso numero di danza collettivo per l'apertura della festa dello sport» proseguì la Fukushima. «Per questa stagione, io e Hiro – voglio dire, Kanagawa – avevamo pensato a qualcosa di diverso ma non siamo riusciti a realizzarlo come speravamo, perciò abbiamo optato nuovamente per l'esibizione di gruppo. Però è anche vero che alcuni di voi non riescono a dare il meglio di sé in una prova comune. Non siete tutti danzatori». (3)
No, convenne Kira. A dire il vero i danzatori del gruppo – ed attualmente gli unici – erano Erika e Neil. Il resto del team comprendeva cinque pattinatori singoli, ovvero lei, Jem, Milly, il senpai Yusuke e Ethan, più le due coppie di artistico formate dalla senpai Fuyumi e Takeiko, e dal senpai Shin e la senpai Reika.
La Fukushima puntò le mani nella sua direzione. «Ti ho seguita molto durante l'ultimo anno, Kira. Sei una ragazza competitiva, una giovane atleta che potrebbe già aspirare di andare oltre i campionati scolastici. Ho avuto più volte prova della dedizione e della passione che hai per questa disciplina, oltre che delle tue eccellenti doti fisiche e tecniche. Per questo credo sia giusto darti un'ulteriore opportunità».
Kira sentì la pelle d'oca sulle braccia. Cosa poteva esserci di più che aprire la manifestazione scolastica da sola, come una vera pattinatrice?
L'allenatrice proseguì con tutta la calma del mondo. «Ci abbiamo riflettuto a lungo io e Kanagawa: ti consideriamo la più qualificata, insieme a Yusuke, per tentare l'iscrizione ai prossimi campionati nazionali di pattinaggio di figura nella categoria juniores»
I successivi trenta secondi furono per Kira una specie di buco nero di cui non in seguito non ebbe memoria. Entrò in una specie di trans onirico e poté giurare di aver intravisto il Nirvana.
Aveva capito bene? Campionati nazionali juniores?
Emise un verso strozzato con la gola, immagazzinando aria come se volesse gridare. «N-n-non sta scherzando, vero coach?»
«No, non sto scherzando» rispose la Fukushima con un sorriso aperto. «Avrai senz'altro sentito parlare di Amber Grant dai tuoi senpai»
Kira annuì vigorosamente.
«Con la partenza di Amber abbiamo perso una grande risorsa per la scuola, anche se per lei è stato indubbiamente meglio lasciarci», continuò l'allenatrice. Nella sua voce c'era del rammarico. «Al nostro team manca un'atleta del suo calibro, ed io e Kanagawa conveniamo tu possa esserne una degna erede. Il nostro presente non è più Amber Grant, sei tu»
«Io non so fare quello che fa la Grant» cercò di contraddirla Kira. Non era ipocrisia, sapeva di essere brava; ciò nondimeno non credeva di potersi paragonare a una campionessa, non ancora.
«Kira, ti ho visto riuscire in salti tripli che un paio delle tue compagne ancora non eseguono nonostante gli sforzi»
«Alle gare scolastiche sono caduta su un triplo se non lo ricorda. E ho perso»
La Fukushima scosse la testa come a voler dire che non aveva importanza. «Sì, hai perso, e con ciò? Pensi che Amber non abbia mai perso una gara? O non sia mai caduta dopo un salto? Kira, hai quattordici anni: a mio avviso hai aspettato fin troppo per tentare con le nazionali»
«Non ho mai pensato di arrivarci così presto» ammise alzando le spalle.
«E io sono qui per fartici arrivare» ribatté l'allenatrice con un sorriso fiero, battendo una mano sulla gamba della ragazza.
La ragazza abbassò un momento il capo. «Lei pensa veramente che io sia pronta per i campionati nazionali?»
«Sinceramente?» L'allenatrice rise. «Penso che tu sia pronta anche per i mondiali, se è per questo, ma sei ancora un po' troppo giovane. Andiamo con calma: per il momento ci concentreremo sulla festa dello sport»
«Sarà una specie di test?» chiese Kira con una punta di perplessità.
«Un test?» ripeté l'allenatrice. «Più o meno. È altamente probabile, anche se non certo, che un membro della federazione giapponese di pattinaggio venga ad assistere alla vostra esibizione. Gli abbiamo parlato di te»
Kira ce la mise tutta per rimanere seduta e non schizzare in piedi per darsi alla fuga. Doveva essere sbiancata, perché la Fukushima le picchiettò su una guancia.
«Sta tranquilla, non è un esame. Non è nemmeno sicuro che verrà, perciò non ci pensare troppo così non rimarrai delusa»
«O-okay». Sì, però, ora che glielo aveva detto come faceva a non pensarci?
«Tira un respiro e torna in pista, adesso. Domani ci metteremo al lavoro sul tuo programma» furono le ultime parole della Fukushima.
«...Così, se farò bella impressione e realizzerò un programma perfetto, i miei coach parleranno con questo tipo della federazione di pattinaggio giapponese e il prossimo settembre potrei seriamente partecipare alle gare nazionali!»
Kira saltellò sul posto, il contenuto della sua cartella sbatacchiò da tutte le parti e Mark ebbe l'impressione che, se avesse continuato a percuoterla in quel modo prima o dopo si sarebbe aperta sparando penne e quaderni sulla strada. Stavano tornando a casa passeggiando come al solito sulla riva del fiume e lei non aveva fatto altro che parlare delle sue future possibilità. Ascoltandola, un sorriso soddisfatto si era disegnato sul viso di Lenders, mentre lei gesticolava per mostrargli e fargli capire la propria euforia. Mark la comprendeva perfettamente. Si era sentito più o meno allo stesso modo quando la Muppet era stata convocata per partecipare ai suoi primissimi campionati nazionali. In realtà non bastava raccogliere elogi dai membri di commissioni e giurie per essere ammessi, ma questo lo tenne per sé. Kira era troppo felice, non se la sentì di riportarla subito sulla terra; era giusto che per qualche ora ancora credesse di aver già la qualificazione in pugno e la medaglia d'oro al collo. Non era un'illusa né tantomeno stupida, si sarebbe resa conto molto presto che la strada da percorrere era ancora lunga. Ma Mark sapeva che gli ostacoli a cui sarebbe andata incontro non avrebbero fatto altro che accrescere la sua determinazione. Non era tipo da intimidirsi di fronte alle sfide. Non Kira.
«Io però sono arrabbiata con te»
Mark le rivolse uno sguardo interrogativo, sollevando le mani in segno d'innocenza. «Non ho ancora fatto niente, oggi!»
Lei sporse le labbra in un broncio insoddisfatto. «Non sei mai venuto a vedermi pattinare, nemmeno una volta»
«Oh, per quello...»
Purtroppo aveva ragione: in prima media, nei mesi in cui era stata impegnata nel campionato scolastico, Mark ce l'aveva ancora a morte con lei e si era rifiutato di assistere ad una gara che fosse una.
«Vorrà dire che mi rifarò delle mie mancanze» promise.
Lei gli fece un enorme sorriso, appagata e felice. «Promettiamo di sostenerci a vicenda». Sporse una mano, chiudendo le dita tranne il mignolo.
Mark lo fissò con aria contrariata. «Io non le faccio queste cose da ragazzine»
«Dai, per favore!»
«No»
Kira sbuffò sonoramente, afferrandogli la mano a tradimento. Lottarono per pochi secondi finché lei riuscì a fargli allungare il dito desiderato incastrandolo col proprio.
«Ecco! Non ci vuole niente. Ora promettiamo»
Mark borbottò qualcosa con disappunto, mentre lei rideva del suo imbarazzo. «Hai finito?»
«Sì» disse lei, soddisfatta, un'altra domanda già pronta sulle labbra. «Tua madre riuscirà a venire alla festa dello sport?»
«Dovrebbe farcela» rispose il capitano. Sua madre, insieme al più piccolo dei figli che frequentava ancora l'asilo, avrebbe raggiunto la Toho nel pomeriggio dopo aver passato la mattina alla scuola di Teddy e Nathalie. In questo modo avrebbe accontentato tutti.
A Mark venne naturale porre a Kira la stessa domanda. «Tua madre ci sarà?»
La ragazza abbassò la testa, emettendo un suono che sapeva d'incertezza. «Dubito fortemente. Ha l'inventario di metà stagione, le commesse avranno bisogno di lei»
«Proprio quel giorno?»
«Non fa differenza. Mia madre lavora sempre»
«Cavolo, Kira, ma è festa!»
«Lo so, ma che ci posso fare? Non è che ci sperassi molto, mi aveva avvertita per tempo. Può anche darsi che riesca a liberarsi nel pomeriggio e riesca a passare...non so».
Mark la osservò attentamente per capire il suo reale stato d'animo. Non era triste, solo delusa. Per sua sfortuna, doveva essere abituata alle mancate presenze di sua mare. Era abbastanza assurdo pensare che Risa Birghton non potesse impegnarsi almeno un po' per avere almeno due ore libere da dedicare all'unica figlia che aveva, mentre Judith Lenders, che di figli ne aveva quattro, trovava il tempo per accontentarli tutti.
All'improvviso, però, Kira si rianimò tutta. «Oh, ma non ti ho ancora detto la novità più bella di tutte!»
Mark fece un'espressione meravigliata. «Più bella che l'essere ammessi alle nazionali?»
«Mmm...forse. Beh, sta a sentire: mio padre torna stasera dal medio oriente per la sua licenza estiva! Verrà lui al posto di mamma! Non vedo l'ora di fartelo conoscere! Sono certa che ti piacerà!»
Le si illuminò il viso e per un istante Mark si aspetto di vederla nuovamente saltare letteralmente di gioia. Kira aveva una vera a propria adorazione per il genitore. Mark non aveva idea di quanto lunghi fossero effettivamente i tempi di lavoro su una piattaforma petrolifera ma dovevano esserne trascorsi almeno tre dall'ultima volta che Kira e suo padre si erano parlati di persona; sospettava ne trascorressero anche molti di più.
Dopo che Kira gli aveva parlato di lui, Mark aveva provato diverse volte ad immaginarselo e doveva ammettere di essere piuttosto curioso di incontrarlo.
La mattina dell'ultimo giorno del trimestre e giorno della festa dello sport, gli studenti accompagnati dai parenti si ritrovarono nello spiazzo anteriore del cortile. C'era un gran chiacchiericcio, gli adulti si salutavano garbatamente con inchini e sorrisi cordiali, mentre i ragazzi facevano chiasso scherzando tra loro, intimidendosi scherzosamente, o magari per davvero. Quel giorno, gli amici delle diverse sezioni erano i nemici da sconfiggere nell'imminente gara in cui, alla fine, l'importante era divertirsi. Ragazzi e ragazze portavano la stessa maglietta bianca con lo stemma della scuola, abbinata a un paio di pantaloncini rossi o neri. I tre colori della Toho.
Kira, Mark e Ed arrivarono ognuno con i propri genitori e fratelli. Ed presentò i suoi familiari a Kira, che non aveva mai avuto occasione d'incontrarli. Lei adocchiò con interesse il fratello maggiore del portiere, prendendosi una botta nel fianco da Mark che grugnì il suo disappunto.
Erik Warner somigliava molto al fratello, e se non avesse tenuto i capelli corti li si sarebbe scambiati quasi per gemelli. Aveva diciannove anni e frequentava il primo anno alla Todai, la più prestigiosa università di Tokyo. Inutile aggiungere quanto alti fossero i suoi voti. Tentava di conciliare le sue aspirazioni accademiche con il karate studiando economia aziendale, indirizzo che lo avrebbe preparato un giorno nella gestione del dojo di famiglia, com'era desiderio del padre. Un po' più basso di Ed, robusto e scattante, Erik era un karateka eccellente. Gli mancava un grado per diventare cintura nera.
Kira, invece, presentò per prima la nonna agli amici e poi, orgogliosa ed emozionata, suo padre.
Kei Brighton non era esattamente come Mark se lo era immaginato. In base a ciò che gli aveva detto Kira aveva elaborato due possibili versioni: da una parte si era figurato un uomo sì gioviale, ma contenuto, forse persino distinto visto il lavoro importante che svolgeva. Mark non ne sapeva molto sull'ingegneria meccanica ma era questo che faceva il padre di Kira: l'ingegnere su una piattaforma petrolifera. Doveva essere un impiego richiedente pazienza, autocontrollo, capacità di sopportare lo stress e anche una certa dose di coraggio tenendo conto dei possibili incidenti. Dall'altra parte, la variante dell'otaku appassionato di videogame cozzava con l'immagine del lavoratore instancabile, che forse alla loro età era stato un ragazzino insicuro e un po' asociale. Ora, Mark poté constatare che il vero Kei si avvicinava più alla seconda versione che alla prima, anche se la miglior tesi finale sarebbe stato un mix tra le due.
Mark si ritrovò davanti un uomo che somigliava più al fratello maggiore di Kira piuttosto che a suo padre. Kei Brighton portava un paio di occhiali scuri appoggiati su un ciuffo di capelli pettinati all'indietro(4), di una sfumatura più chiara del normale, più scuri rispetto a quelli di Kira ma similmente atipici nella massa di teste scure. Nei suoi blue jeans e maglietta, la giacca appoggiata alle spalle, portava cucito addosso l'aspetto del più puro anticonformista; un ragazzo che a scuola non doveva aver avuto molti amici a causa delle sue particolarità, un teppistello circondato da pochi eletti e sul quale nessuno avrebbe scommesso uno yen, ma la cui intelligenza e caparbietà avevano superato le aspettative di professori, compagni e genitori. Laureato, sposato, con un ottimo lavoro, una volta adulto aveva imparato a socializzare con il prossimo, mettendo la testa a posto senza comunque soffocare la libertà del proprio spirito. Libertà che, a sentire la signora Brighton, aveva trasmesso anche alla figlia.
«Sono felice di conoscervi» disse a Mark e Ed, svolgendo le braccia della figlia dal proprio collo. «Kira mi ha scritto di voi nelle ultime lettere»
«Le ha parlato di noi?» chiese Ed in tono realmente stupito. Né lui né Mark se lo sarebbero aspettato.
«Certamente» affermò il signor Brighton. «Lunghe, tediose lettere dove la mia scimmietta si lamenta di sua madre, occupa almeno tre fogli a parlare di pattinaggio artistico e, quando ha tempo, mi dice come va la scuola»
«Non sono così noiose!»
«Terribilmente, cara... No, sto scherzando!» rise forte suo padre, facendo ridere anche lei.
«Più tardi ti presento anche Jem. Dev'essere qui da qualche parte» riprese Kira, guardandosi intorno per vedere se fosse nei paraggi.
«Ah, allora c'è anche una ragazza tra i tuoi amici» sospirò Kei con sollievo. «Iniziavo a preoccuparmi che fossi circondata solamente da bei ragazzi».
Fu il turno di Ed e Mark di mettersi a ridere.
Parlare con il signor Brighton era facile come approcciarsi a un coetaneo. Ora Mark capiva cosa intendeva la madre di Kira: col passare del tempo, Risa era certamente divenuta una donna matura e responsabile , mentre Kei era rimasto il ragazzino di un tempo. Non parlava di scuola e di voti ma di sport e di musica, di videogame – che aveva scoperto in età adulta, poiché «Ahimè, quando avevo la vostra età non li avevano ancora inventati» (4) – argomento nel quale tenne impegnati lui e Ed per parecchi minuti. Mark non era un grande appassionato di videogiochi a dire il vero, tuttavia li trovava divertenti e aveva trascorso lunghi pomeriggi in sala giochi insieme a Warner e Mellow.
Kira era così felice di averle lì suo padre da non riuscire a contenere l'euforia, abbracciandolo ogni dieci secondi come se non sopportasse di separarsi da lui. Mark provò una fitta di nostalgia guardandoli scherzare e ridere come i migliori degli amici. Forse, in un'altra vita, anche lui e John avrebbero parlato di videogiochi, di calcio, di un mucchio di cose sciocche o importanti che fossero.
Alle otto e trenta in punto, dopo una sfilata lungo il cortile di tutti i team sportivi accompagnata da una musica suonata dalla band della scuola, la folla di adulti e ragazzi si spostò dentro il palaghiaccio: duemila posti a sedere, una pista di quattrocentocinquanta metri quadri, era la struttura più grande dell'intero complesso. Gli atleti si allinearono all'interno della pista di pattinaggio, dov'erano state posizionate delle passatoie antiscivolo. Esattamente come si usava per la cerimonia d'inizio e fine anno, il preside salì su un podio per una breve introduzione. Si intonò l'inno nazionale e poi vi fu un discorsetto dove il direttore illustrò il programma della giornata e incoraggiando tutti a partecipare alle attività e divertirsi.
«E adesso, come da tradizione, il nostro club di pattinaggio ci introdurrà a questa giornata con un'esibizione incantevole. Prego, ragazzi!». Il preside scese dal podio tra gli applausi, mentre le squadre prendevano posto sugli spalti.
Alcuni ragazzi addetti all'allestimento arrotolarono le passatoie, scoprendo la superficie di ghiaccio tanto brillante e immacolato da far quasi male agli occhi. Mark, a metà delle tribune insieme ai compagni, dovette strizzarli per un secondo a causa del riverbero. Poi un faro si accese illuminandola con forza, scatenando qualche urletto da parte degli spettatori. Le note di un violino risuonarono acute e leggere. Dopo alcuni secondi, una figura solitaria scivolò sul ghiaccio, leggera come se avesse le ali ai piedi.
Kira.
Indossava un abito di un blu violetto che sfumava in un lilla tenue sulle maniche lunghe, intrecciato sulla schiena e tempestato di piccoli strass sfavillanti. I capelli erano raccolti in uno chignon elegante, la corta gonna di veli a più strati le svolazzava attorno alle gambe ad ogni più piccolo movimento.
Lei era aria, impalpabile leggerezza sulla superficie che scalfiva con le lame. Non produceva quasi un suono, veloce e sicura, una mossa dopo l'altra, un saltello che fu l'interludio di una trottola. Ogni movimento era studiato nel dettaglio. Si fermò, allargò le braccia come per spiccare il volo. E poi volò quasi per davvero. Una rincorsa all'indietro accompagnata da movimenti leggiadri, preludio di un salto, un altro subito dopo e a Mark si mozzò il fiato per la paura di vederla cadere. Poteva essere tanto stupido? Lei sapeva cosa stava facendo e sapeva di poterlo fare. Si ritrovò incantato, con gli occhi ben aperti e un brivido lungo la schiena mentre Kira, l'espressione rapita dalla musica che l'accompagnava, si perdeva invece nella dimensione onirica in cui si era rinchiusa. Come una farfalla dentro la crisalide aspettando che le spuntassero le ali. Ali invisibili che parve aver preso in prestito da una divinità del vento. Eseguì un terzo salto. Il pubblicò apprezzò in maggior misura dei precedenti. Mark ignorava la differenza tra di essi, si era disinteressato per troppo tempo allo sport di Kira e in quel momento se ne pentì. Durante la prima media nessuno dei due aveva prestato molta attenzione allo sport dell'altro, contando anche che per diversi mesi non si erano minimamente parlati; Kira si era poi ripromessa di assistere a quante più partite possibili ma Mark pensava che non fosse un obbligo appassionarsi l'uno allo sport dell'altra, non importava. Prima o poi gli sarebbe capitato di vederla pattinare; a ben pensarci l'aveva già vista, solo che questa era la prima volta in assoluto che la vedeva da sola sulla pista. Era stato un vero stupido si disse. Se non fosse stato così concentrato solo su di sé, l'avrebbe vista prima in quelle vesti. Quasi non sembrava lei. No, era lei, ma era come se all'improvviso Mark avesse realizzato chi fosse veramente Kira. In quell'istante gli parve di averla finalmente conosciuta.
L'ultima nota prolungata del violino venne accompagnata da una splendida trottola sul finale dell'esibizione. Una gamba sollevata sopra la testa tenuta ferma da entrambe le mani, il corpo ruotava su sé stesso a una velocità quasi impossibile. Infine, con una facilità estrema, Kira si fermò e il suono scemò con il suo respiro.
Tutto il palaghiaccio applaudì e Mark non si rese conto di farlo più forte degli altri. Non vide nemmeno lo sguardo stranito che Ed gli rivolse misto a un sorriso consapevole. Pochi secondi dopo partì un'altra musica e il resto dei pattinatori si riversò sulla pista. Ma nessuno, nessuno era uguale a lei.
Il team di pattinaggio eseguì una bellissima coreografia alla quale seguirono altri consensi dagli spettatori. All'unisono, Kira e i suoi compagni terminarono l'esibizione in una breve strisciata in ginocchio sul ghiaccio, braccia aperte sollevate verso l'alto e un trionfale sorriso.
Il breve spettacolo era durato non più di cinque minuti ma sembravano molti di più.
«Capitano, dobbiamo andare» disse Ed battendogli su una spalla.
Mark sbatté le palpebre e tornò alla realtà. «Eh? Sì...»
«Ti eri incantato?».
Effettivamente sì. Probabilmente, Ed pensava fosse un completo idiota, seduto lì immobile come un allocco ad aspettare il nulla.
Invece, Ed sorrise. «I pattinatori sono laggiù». Indicò un punto sotto di loro, davanti alla prima fila. «Dai, scendiamo, così puoi dirle quanto ti è piaciuta»
Mark non commentò l'ultima frase di Ed, anzi, glissò sopra ogni sillaba facendo orecchie da mercante. Sì alzò in fretta, scendendo dalle tribune seguito dal portiere. Lei corse loro incontro appena li vide.
«Ehi!»
«Complimenti, Kira-san» disse subito Ed, facendo uno sforzo per non voltarsi verso Jem che li stava fissando.
«Grazie mille, Warner. So che non dovrei dirlo, ma sono orgogliosa di me stessa»
«Fai bene, invece. Non c'è nulla di male»
Bastò un'altra occhiata e Kira notò dove lo sguardo di Ed desiderava posarsi. Di certo non su di lei. «Avete più parlato dal giorno ad Harajuku?» sibilò, una mano a lato della bocca.
Il portiere sobbalzò, fissandola. «N-no, noi non...»
Kira parve delusa. «Perché non le parli adesso?»
«Smettila, impicciona» mormorò Mark a bassa voce.
«Uffa, ma perché?»
Ed esitò. «Credo sia meglio di no, Kira-san. Ci sono le altre ragazze, adesso, rischierei di metterla in imbarazzo»
«Oh... okay».
Ed si scusò, allontanandosi verso i genitori che richiamavano la sua presenza. Passò di fronte al punto in cui Jem e le altre pattinatrici stavano chiacchierando. Le rivolse un saluto e un sorriso leggero al quale lei rispose, suscitando qualche risatina da parte delle compagne.
«Chissà come andrà a finire tra quei due?» disse Kira con un sospiro.
Mark la guardò, sentendosi a disagio. Andandosene, Ed lo aveva lasciato solo con lei e all'improvviso, senza capire da dove provenisse tutto quel nervosismo, gli parve di avere la gola secca, arida come un deserto. Dovette deglutire un paio di volte, e si sentì un emerito imbecille.
Il problema si pose maggiormente quando percepì qualcosa di anomalo muoversi dentro il suo stomaco agitarsi follemente quando lei gli sorrise, in quel modo così... splendente. Quel sorriso che non vedeva da un po' e che lui stesso aveva cercato di restituirle dopo le disavventure vissute a causa di Milly Benson. Da quando era iniziata la seconda media, Mark aveva visto Kira rattristarsi più e più volte, ma quella mattina... quella mattina era arrivata a scuola a testa alta e la vecchia scintilla fiera negli occhi. Mark era stato lì lì per chiederle dove avesse lasciato la maschera. Niente più musi lunghi, né sguardo meditativo, né sospiri sconsolati. Quella mattina c'era Kira. Nemmeno si ricordava sorridesse così bene e... era sempre stata così carina?
«Sai...ehm, sai se poi quel tipo della federazione di pattinaggio è venuto?» domandò per togliersi d'impiccio.
Kira fece un saltello sul posto. «Sì! Kanagawa me lo ha appena detto! Solo che non ho idea di che impressione possa avergli fatto». Rise, euforica, raggiante. «Ma dimmi, ti è piaciuta la mia esibizione?»
«Sì. Sei stata bravissima».
Penoso. Bravissima. Era un complimento che tutti le avrebbero potuto rivolgere ed era piatto, vuoto, banalissimo. Non era stata solo brava. Era una delle cose più belle che lui avesse mai visto: lei e il ghiaccio come una cosa sola, uno spirito appassionato che plasmava l'infinito attraverso movimenti che...
Ma lui sapeva di fare schifo nel dire le cose, per cui non perse tempo a metterle insieme le parole.
«C'era una piccola sbavatura nell'atterraggio dell'ultimo salto» disse Kira, un sorrisetto imbarazzato.
Sbavatura? Lui non l'aveva vista. «Sei stata perfetta. Eri...». Mark alzò le mani, mosse le dita, scosse una volta la testa.
Kira rise brevemente. «Grazie. Per me vuol dire tanto che tu mi abbia vista, sai?»
Veramente? Lei davvero lo considerava tanto importante? Avvertì sul viso un leggero calore quando lei gli prese le mani in segno di gratitudine.
«Ma sei arrossito?» commentò la ragazza con un'altra risatina leggera e un poco impacciata.
Mark sbuffò, allontanando lo sguardo. «Tutte queste smancerie inutili...»
Lei gli lasciò le mani senza smettere di sorridere. «Mi aspetti? Devo andare a cambiarmi»
Lui le rivolse un'occhiatina. Annuì.
In quel momento non avrebbe potuto negarle nemmeno la più piccola richiesta.
Durante il mattino, le sei sezioni della Toho si scontarono nelle gare di corsa dei cento metri, corsa nei sacchi, tiro alla fune – nella quale il signor Brighton fu un aiuto provvidenziale per fare arrivare la sezione della figlia in testa alla classifica provvisoria – e infine la gara di nuoto.
Sebbene fossero compagni di squadra, in quell'atmosfera competitiva Kira e Mark non riuscirono proprio a contenersi e la vecchia voglia di rivaleggiare sorse spontanea. Non bastò loro perseguire il punteggio che avesse permesso alla loro squadra di vincere, dovettero ingaggiare una segreta sfida personale, nella quale però nessuno dei due riuscì a emergere sull'altro. Era destino.
Verso le dodici si fermarono per la pausa pranzo. Studenti e famiglie mangiarono il bento seduti sull'erba e sugli spalti dei campi sportivi, panchine e muretti. Nessuno volle prendere posto nelle classi o nella mensa in una giornata ventilata come quella, dove il sole non picchiava.
La signora Lenders, insieme al piccolo Matt, arrivò in tempo per mangiare con Mark e i suoi amici, salutando con confidenza i signori Warner e il fratello di Ed che già conosceva, e facendosi presentare il padre e la nonna di Kira.
Verso le due del pomeriggio si riprese con un breve riepilogo del punteggio ottenuto dalle sezioni. La A era prima seguita dalla E, poi veniva la B, D e F a pari merito e C all'ultimo posto.
Durante la gara di dribbling sul campo da calcio – che a Mark ricordò molto la sfida che lui e Kira avevano disputato sulla pista da ghiaccio – la sezione D recuperò punti e passò al terzo posto. Inutile specificare chi dei ragazzi primeggiò in quel gioco...
Fu divertente per Kira vedere Lenders e Warner rivali per la prima volta. Nel secondo turno di gara si trovarono faccia a faccia. Ed fece schioccare le dita, Mark gli rivolse un sorriso sghembo e poi partirono alla velocità della luce in palleggi scattanti attorno ai coni di plastica disseminati lungo tutto il campo da calcio. Giunsero alla fine del percorso quasi contemporaneamente e i giudici ci misero qualche minuto per decidere chi avesse effettivamente toccato la riga del traguardo per primo. Alla fine vinse Mark.
In seguito ci si spostò nuovamente sulla pista di atletica.
Nella corsa a tre gambe, Ed si ritrovò a far coppia con Jem. Lui le fece un sorriso al quale lei rispose con titubanza. Da quando aveva esternato i propri sentimenti, lei era divenuta molto più fredda con lui. Ed non capiva il motivo di tanta scontrosità. Non l'aveva accusata di nulla, non era insistente nei suoi confronti sebbene non avesse alcuna intenzione di rinunciare. Forse, Jem, in fondo sospettava una nuova mossa da parte sua e proprio per questo cercava di scoraggiarlo assumendo un atteggiamento distaccato. Peccato che dietro il carattere apparentemente tranquillo del portiere si nascondesse un ragazzo dall'animo caparbio quasi quanto il suo capitano. Warner non rinunciava facilmente a ciò che desiderava.
A metà del percorso, Jem mise un piede in fallo e cadde in avanti in malo modo. Ed, la caviglia destra legata a quella sinistra di lei, si sbilanciò a sua volta frenando la caduta con le mani.
«Ahia...»
«Edogawa, stai seduta» le disse, armeggiando velocemente con il nodo della corda. Quand'ebbe liberato entrambi le si inginocchiò davanti. Gli altri corridori li avevano ormai superati. Le prese delicatamente la caviglia tra le mani, facendola roteare lentamente. «Se faccio così ti fa male?»
«Un pochino» rispose lei, arrossendo vistosamente.
«Okay». Il portiere le sorrise, rassicurante. «Non è rotta. Forse hai preso una piccola storta. Niente di grave»
Lei sospirò di sollievo, tentando di rimettersi in piedi. Lui le fu accanto e il suo braccio si mosse automaticamente per sorreggerla.
«Non c'è bisogno che mi aiuti. Faccio da sola»
Trafitto dal rifiuto, Ed abbassò le mani lungo i fianchi. «Dovresti metterci qualcosa sopra. Vai da Koike-san»
Jem annuì e saltellò sul posto fino a reggersi in equilibrio. Vide che il piede la sosteneva, Ed aveva detto il vero: nessuna frattura, solo una lieve distorsione. Zoppicò fino al prato, il ragazzo sempre dietro di lei.
«Warner, ti ho già detto...»
«Lo so. Ma lascia almeno che ti accompagni»
Jem non parlò. Pregò tutti i kami del cielo per evitare uno di quei silenzi tremendamente imbarazzanti e fu ascoltata. Kira arrivò di corsa insieme a Mark dagli spalti sui quali stavano riprendendo fiato dopo la loro ultima gara. Non avevano partecipato alla corsa a tre gambe.
«J-chan, stai bene?»
«Niente di rotto, tranquilla». Jem si appoggiò a lei ignorando il portiere. «Mi accompagni allo stand dell'infermeria?»
Kira non rispose. Forse avrebbe dovuto comportarsi da amica, togliere Jem da quella situazione imbarazzante e scomoda accompagnandola dall'infermiera come l'era stata chiesto. Ma proprio non riuscì ad ignorare il povero Ed, immobile alle loro spalle a guardarle con occhi pieni di delusione.
«Warner, l'accompagni tu, per favore?»
Il portiere trasalì. «Certamente». Un secondo dopo, Ed si sostituì a lei.
«Kira-chan?!»
«Scusa, Jem, ma io e Mark dobbiamo andare a prepararci per la staffetta»
«Ma la staffetta è l'ultima gara» replicò Jem con sospetto. «Prima di quella c'è ancora la corsa degli ostacoli».
«Ahm, sì ma dobbiamo scaldarci. Vero, Mark?»
Lui cadde dalle nuvole. «Sì, noi dobbiamo, ehm, riscaldarci»
«Vedi? Ci vogliono in squadra a tutti i costi, dobbiamo essere ben preparati». Kira rivolse a Jem un sorriso di scuse. Lei non le credette, lo capì dalla sua espressione, eppure non aveva detto una frottola. Certo, avrebbe avuto tutto il tempo per accompagnare l'amica da Koike-san e rimanere con lei, ma perché privare Ed del piacere di essere utile a Jem?
«Kira, questa me la paghi» sibilò quest'ultima separandosi tornando tra le braccia del portiere.
«Perché, cosa ho fatto?». Kira esibì un sorrisetto furbo, osservando con soddisfazione Jem arrossire mentre Warner posava una mano attorno al suo fianco. Li guardò allontanarsi, lui voltarsi un attimo per farle un sorriso. Ricambiò con un occhiolino.
Jem aveva ogni senso all'erta. Sedette sul prato accanto al chiosco allestito per le emergenze di pronto soccorso. Koike-san venne da lei con una borsa del ghiaccio da mettere sulla caviglia.
«Caro, aiutala a sedersi in un luogo più comodo» disse a Ed.
«No, va bene qui» disse Jem, tentando di frenare di nuovo il tentativo di lui di toccarla. Le dava sensazioni che la confondevano.
«Ci hai già provato una volta a sbarazzarti di me» le disse Ed sedendole accanto, rivolgendosi poi all'infermiera. «Stia tranquilla Koike-san, resto io con lei»
La donnona picchiettò sulla spalla della ragazza. «Allora sei in buone mani». Si sollevò da terra con un mezzo gemito. «Se il ghiaccio si scioglie venite a dirmelo»
Jem si strinse nelle spalle, sollevano la gamba sana circondandola con le braccia, come se volesse proteggersi da qualcosa.
«È da qualche giorno che cerco di parlarti» riprese Ed, «ma sembra impossibile riuscire a trovarti da sola»
«Perché dovresti parlarmi mentre sono sola? Se mi vuoi dire qualcosa puoi farlo davanti alle mie amiche»
Lui sorrise, puntellandosi sull'erba con le mani, le gambe stese.«Vorrei ringraziarti per quello che hai facendo per me» Lei non capì subito.
«Le mansioni di capoclasse»
«Oh. Prego» balbettò Jem. «Lo avevamo praticamente già deciso, ricordi? Non è un peso sostituirti, si è trattato solo di un mese, da domani saremo in vacanza. Quando torneremo a scuola potrai tornare a ricoprire il tuo ruolo»
Il volto di lui si contrasse leggermente in un serio cipiglio. «Ricordi quando ti dissi che non ero sicuro di essere tagliato per fare il capoclasse di classe?»
Jem spostò lo sguardo dalla pista al viso di lui. «Ti dimetterai?»
«Ancora non lo so»
«Sarebbe un peccato»
«Perché sono bravo o perché ti dispiacerebbe non passare più del tempo con me come facciamo ora?»
Jem lo guardò con occhi sgranati e un po' di sospetto. La stava incastrando. «Entrambe, direi» ammise. E comunque non è che passassero insieme così tanto tempo. S'incontravano ogni mattina prima delle lezioni per discutere sulle varie iniziative scolastiche o su un appunto lasciato dagli insegnati, e qualche volta si fermavano a scuola dopo l'orario dei club per aggiornare il registro di classe. Ma a parte quello... possibile che per Warner quei brevi momenti quotidiani fossero realmente preziosi? Possibile che lei gli piacesse veramente così tanto?
«Mi dispiace» disse, senza il coraggio di sostenere ancora il suo sguardo.
«Anche a me». Ed si mosse per controllare la sacca con il ghiaccio. Sollevò il viso all'improvviso, cercando quello di lei nascosto sotto il caschetto nero. «E non solo per i piccoli momenti a cui rinuncerò»
«Se ti dispiace allora non rinunciare»
«Non ho mai detto che avrei rinunciato a te»
Il cuore le balzò in gola. «Io non...ma...Accidenti, non è leale!»
Ed rise. «Il calcio mi prende troppo tempo e poi ho scoperto di non essere tagliato per fare il capoclasse. Ho accettato per gentilezza verso i nostri compagni che mi hanno votato». Afferrò la sacca e si alzò. «Sarà meglio andare da Koike-san a far aggiungere un po' di ghiaccio. Torno subito».
La corsa a tre gambe terminò con la rimonta della sezione E. Aveva spodestato la sezione A ed ora era prima in classifica. La B aveva perso punti a causa dell'impossibilità dei suoi concorrenti – Ed e Jem – di proseguire la gara, finendo al quarto posto. La F aveva superato la D, scesa in ultima posizione, mentre la C recuperava alla grande dopo le ultime gare fino a toccare il terzo posto.
«Se vi serve una mano nelle prossime gare, ragazzi, io sono disponibile!» esclamò Kei Brighton con entusiasmo dalle tribune.
«Papà, non esagerare» lo redarguì Kira con apprensione. «Non hai più l'età per fare certe cose»
«Come osi parlare così a tuo padre?! E poi sono nel fiore degli anni!»
«Ma io mi preoccupo! Potrebbe capitare una disgrazia!»
«Pensa per te, Kira»
Il signor Brighton ignorò la figlia, profondendosi in qualche breve flessione, gonfiò i muscoli e sorrise mostrando una fila di denti splendenti, suscitando apprezzamenti dalle donne sedute in prima fila.
Kira avrebbe voluto sprofondare. «Andiamocene» mormorò a Mark, nascondendo il volto in una mano.
Raggiunsero un angolo del prato dove i compagni di sezione stavano decidendo i concorrenti per la prossima gara. Il capo squadra era un ragazzo di terza, il quale esonerò Brighton e Lenders dalle successive competizioni per sfoggiarli come arma segreta durante la staffetta. Mark e Kira si ritirarono allora in fondo al perimetro della pista di atletica, appoggiandosi al muro appena dietro le tribune.
«Perché ci siamo nascosti qui dietro?» domandò il ragazzo, incrociando le braccia al petto quasi ne fosse seccato.
«Ho detto a Jem che dovevamo allenarci. Se ci vede fermi là davanti con gli altri capirà che ho fatto apposta a lasciarla sola con Warner»
«Kira, guarda che lo ha già capito...»
Lei ridacchiò. «Sì, però quando si inventa una bugia è meglio fare le cose per bene».
Un fischio risuonò nell'aria e le tribune esplosero in applausi. La gara corsa a tre gambe era terminata.
«I nostri non hanno fatto una buona prova, questa volta» commentò la pattinatrice, sbirciando il tabellone elettronico attraverso i sedili che le ostruivano la visuale. Così facendo si sporse di lato verso Mark, finendogli praticamente addosso.
Lui tossicchiò, improvvisamente nervoso. Di nuovo. Perché quel giorno diventava nervoso stando accanto a lei?
Quando Kira si spostò prese un respiro.
«Qualcosa non va?» chiese lei.
«Mh? No, niente. Stavo pensando che tuo padre è una forza» disse il capitano della Toho in tono divertito.
Lei si grattò distrattamente una guancia. «Qualche volta capisco mia madre. Papà possiede un lato esibizionista che può diventare imbarazzante»
«Ecco da chi hai preso».
Kira gli fece una piccola linguaccia scherzosa, tornando a concentrarsi su ciò che avveniva in pista. «Secondo te sarebbe il caso di riscaldarci per davvero?». Inclinò la testa di lato per osservare di nuovo il cartellone con il punteggio, sfiorandogli la spalla con il viso. «Tu che ne pensi? Insomma, se nelle prossime gare rimaniamo fermi su questo punteggio, dubito che la nostra sezione vincerà»
«È solo una manifestazione sportiva organizzata dalla scuola, non ti crucciare troppo» tagliò corto lui, muovendosi per allontanarsi da lei. Non rifletté, lo fece e basta. La vicinanza di Kira, il suo viso a poca distanza dal suo, il suo fiato sulla pelle mentre gli parlava...tutto ciò gli aveva contratto i muscoli dello stomaco e...
Intuendo l'indesiderata vicinanza, la ragazza scattò in su con la testa, irrigidendo la schiena. Ci rimase un po' male. «Credevo ti importasse vincere»
«Non è importante» disse lui, secco.
«Oh». Kira lo fissò. L'espressione accigliata, le braccia strette al torace... Aveva fatto qualcosa? Sì.
Mark era allergico alle manifestazioni d'affetto, per lui erano quasi un'invasione alla propria sfera personale. Non cercava quasi mai un contatto per primo, anche se negli ultimi tempi a Kira era parso che con lei facesse un'eccezione. Ma forse non si trattava di quello. Forse, ad infastidirlo era altro.
Gli si accostò di più, quatta quatta. «Mark, ascolta...»
Lui sospirò dal naso. «Uffa, ma non ti stanchi mai di parlare?». La vide mordicchiarsi le labbra, una cosa che non faceva spesso. Era nervosa. «Cosa c'è?»
«Scusami. Come al solito penso solo a me e non ho riflettuto». Gli sfiorò un braccio con dita leggere.
Il capitano restò immobile.
«Sono stata così contenta di avere mio padre con me, oggi, e non ho considerato che tu...».
Kira deglutì, guardandolo con occhi tanto grandi ed espressivi che per un momento il cuore di lui fece un balzo. Poi capì.
«Non è colpa tua se mio padre non è qui, stupida»
La carezza di lei sul braccio divenne una stretta salda. «Non ho pensato che potesse farti soffrire»
«Da quando ti preoccupi di farmi soffrire?»
«Non scherzare, Mark, sono seria»
Il capitano si girò col busto verso di lei. «Se in quella tua testolina matta stai pensando di dover scusare la tua felicità, non farlo».
La osservò trattenere il respiro per un secondo e lasciarlo andare nel più sollevato dei sospiri. Era molto dolce a interessarsi a ciò che provava, alle sue emozioni. Sì, Kira era forse un po' egoista, ma in quel momento gli diede prova di una grande sensibilità. Vedere i compagni di scuola felici insieme ad entrambi i genitori non era mai facile per lui. Il tempo trascorso dalla morte di papà era ancora troppo poco.
«Mi farebbe tanto piacere se poteste conoscervi meglio. Tu e mio padre intendo» confessò Kira con sincerità. «Sono sicura che andreste d'accordo»
Mark le fece uno dei suoi sorrisi sbiechi. In un gesto non pensato le portò una mano sotto il mento, sfiorandoglielo piano con due dita. «Non devi preoccuparti per me»
«Non posso». Kira si ritrovò a fissarlo negli occhi, tutti i sensi concentrati nel calore improvviso di quell'azione inaspettata. La mano di Mark si spostò sul suo collo, giocherellò per qualche istante con sottilissimi fili color rame dorato che le sfuggivano dallo chignon. Era grande la sua mano, se l'avesse posata sul suo viso sarebbe riuscito ad attorniare tutta la lunghezza della guancia e della mascella, solo che... solo che non lo avrebbe fatto. No, vero?
«Scioglili», disse lui ad un tratto. Toccò le forcine che fissavano l'acconciatura sulla nuca, provocandole un brivido.
«Meglio di no, mi darebbero fastidio» ripose lei, perdendo e riprendendo il fiato.
Vicini. Un po' troppo vicini.
«Approfittane, è l'ultimo giorno di scuola. Si fanno strappi alle regole. E poi stai meglio coi capelli sciolti»
«Ah...grazie». Kira si rese conto di avere ancora le dita attorno al braccio di lui. Le ritirò in fretta.
Mark tossicchiò, allontanandosi a sua volte e riacquistando prima di subito il solito cipiglio. Le diede la schiena, senza curarsi di quanto lei potesse trovare strani i suoi sbalzi d'umore. Di sicuro Kira si stava chiedendo che cosa gli fosse saltato in mente di avvicinarsi e toccarla. Anzi, di... accarezzarla. Già, e se lo domandava anche lui.
Tornando verso la pista di atletica, percepì i movimenti di lei al suo fianco e, quando guardò di nuovo nella sua direzione, sobbalzò stupito. Una cascata di capelli lisci che parevano attirare la luce del sole si sciolsero sulla schiena di Kira. Lei infilò le forcine in una tasca dei pantaloncini; srotolò dal polso quello che Mark aveva scambiato per un bracciale nero e che invece si rivelò essere un elastico di emergenza con cui la pattinatrice legò parte dei capelli dietro la nuca in una mezza coda.
Lei intercettò il suo sguardo, sorridendogli timidamente. «Dopotutto hai ragione. Sciolti piacciono di più anche a me».
«I corridori in pista» gracchiò l'altoparlante mentre prendeva il via l'ultima e decisiva gara del giorno: la staffetta.
Quattro gareggianti per sezione si posizionarono lungo il perimetro della pista di atletica. Ogni cento metri ci sarebbe stato lo scambio del testimone. Chi avesse fatto cadere il cilindro veniva squalificato. Vinceva la sezione che avrebbe tagliato per prima il traguardo. La sezione A schierava Mark, Kira, un ragazzo di prima di nome Akito, e Seto, un tipo allampanato del terzo anno che faceva parte della squadra di basket. Sulla schiena era stato loro appuntato un cartellino con la lettera A.
«Parto io per primo» disse Seto. «Poi Akito, Lenders e per ultima Brighton. Ti va bene se sei ultima?»
«Sì, sì, nessun problema» annuì Kira.
I gareggianti si inginocchiarono sulla riga di partenza. A. Il silenzio calò sugli spalti.
«Pronti. Attenti...»
Ognuno dei sei ragazzi e ragazze alzarono il bacino pronti per lo slancio. Uno sparo percorse l'aria e iniziarono a correre. Le grida coprirono la voce del professor Onda che, accompagnato dal vicepreside, cercava di fare una radiocronaca della gara.
Seto percorse velocemente i primi cento metri cedendo il posto ad Akito. Due corsie più in là, la sezione C sbagliava il passaggio del testimone e perdeva un membro della squadra, rimanendo indietro.
Pur non essendo uno sportivo, Akito teneva un buon ritmo. Ma venne quasi raggiunto da uno della sezione B, contendendosi il primato del secondo centinaio di metri.
«Lenders!» Con il fiato corto, passò il testimone a Mark.
Il calciatore scattò in avanti, rapidissimo, tallonato dal ragazzo della B. Se si fosse trattato di Ed avrebbero potuto dare inizio a una bela sfida: Ed era veloce quanto lui, ma non partecipava alla staffetta, sedeva sugli spalti a tifare per la propria sezione dopo una bellissima prova nel salto in lungo.
Sugli ultimi quaranta metri, Mark aumentò la velocità spingendosi più avanti di tutti gli altri.
«Il corridore della sezione A supera gli avversari La sezione A è in testa!» esclamò la voce del professore di ginnastica all'altoparlante. «Ecco che raggiungono i trecento metri!»
Dritto davanti a Mark ora c'era Kira, il braccio teso all'indietro pronta a ricevere il testimone.
«Vai!» gridò il calciatore, accorgendosi che lei allungava la sinistra invece della destra. La vide voltare la testa e un sorrisino spuntarle sul viso. In quella che fu una frazione di secondo, Kira piegò il gomito all'indietro e l'avambraccio le toccò la schiena, così a Mark bastò spostare il proprio in diagonale rispetto al busto per effettuare il cambio, anche se con un poco di difficoltà. Il testimone scivolò elegantemente nella mano di Kira, che partì velocissimamente in testa a tutti quanti. Solo in un secondo momento lui si rese conto di chi la stava tallonando.
Lei era concentrata sulla corsa quando si sentì chiamare. Al suo fianco apparve l'ombra e poi la figura intera di Darren Grant.
Né lei né Mark poterono crederci. E accidenti a lui, era pure veloce!
«Come va, Kira?» la beffeggiò Grant, i capelli perfetti anche con il vento in faccia.
«Kira, concentrati sulla gara!» le gridò Mark, fermo sulla riga dei trecento metri.
Lei guardò dritto avanti, un unico pensiero: più veloce, più veloce! Non avrebbe fatto vincere Darren.
«Mancano solo 50 metri! La sezione A è sempre in testa, tallonata dalla E! La B e la D rimangono indietro. La C purtroppo non ce la fa»
«E tu ce la farai, Kira-san?»
La pattinatrice lanciò a Grant un'occhiata rapida e infastidita. Poi schizzò in testa, lesta come una lepre. Superò la linea del traguardo, udendo il fischio della fine.
Darren Grant si fermò dietro di lei, gettando a terra il testimone in un gesto di rabbia per la sconfitta subita. Kira, piegata in avanti con le mani sulle ginocchia, lo guardò con un sorrisetto.
«Mi spiace. È andata così»
Darren si sforzò di sorriderle. Si avvicinò, porgendole la mano. «Non andrà sempre così, Kira-san. Prima o poi avrò quello che desidero»
«Non è detto». Lei ricambiò la stretta. La mano di lui era fredda, affilata come un giunco. Kira la lasciò andare in fretta, guardandolo allontanarsi verso i compagni della E.
Un momento dopo fu raggiunta da Seto e Akito Poi, due braccia forti la sollevarono da terra. Si ritrovò a un metro dal suolo, Mark che la teneva per i fianchi, le sue mani posate sulle spalle di lui per non cadere.
«Siamo grandi!»
«Meno male che era solo una manifestazione scolastica, Lenders», lo prese in giro, ricordando le parole di poco prima.
Mark rise. Kira non ricordò di averlo mai visto ridere così spontaneamente. Quando la fece scendere lei gli circondò il collo con le braccia, rimanendo abbracciata a lui nella contentezza del momento. Dondolarono qualche istante nel mezzo della pista straripante di studenti felici o delusi, i parenti che si riversavano dagli spalti per venire a lodare e consolare.
«Attenzione, prego». La voce del professor Onda risuonò all'altoparlante per annunciare il punteggio dell'ultima gara. «Con il tempo migliore, vince la gara di staffetta la sezione A»
Le parole furono seguite da urla di gioia. Onda continuò ad annunciare la classifica definitiva. Chi aveva tenuto bene il conto del punteggio di tutte le sfide sapeva già quale sarebbe stato il risultato. All'ultimo posto c'era la sezione C, poi la F; la B al quarto posto, superata di pochissimi punti dalla D, al terzo. La E era seconda. La sezione A era la vincitrice delle gare sportive di quell'anno.
Un fragore assordante riempì l'aria circostante.
Trasportata dalla folla, Kira fece un giro su sé stessa senza capire da dove spuntavano braccia e complimenti, chi le dava pacche sulle spalle, chi le scompigliava i capelli, chi la abbracciava. Rimase stretta a Mark per evitare di essere sommersa dalla fiumana di compagni. Si scambiarono un altro sorriso. Poi, le mani di lui salirono ad afferrarle il viso e avvicinarlo al suo, per lasciarle un rapido bacio a stampo. Sulla bocca.
Il tutto durò una manciata di secondi.
Durante il contatto, Kira si ritrovò a chiudere gli occhi, spalancandoli un istante dopo. Mark fece lo stesso, separandosi da lei con un suono assolutamente imbarazzante.
Oh porca miseria...
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Note:
1- Come ho già spiegato una volta, le vacanze estive in Giappone non corrispondono alla fine dell'anno scolastico, ma sono un intermezzo tra il primo e il secondo trimestre.2- Nel pattinaggio artistico esistono quattro categorie: singolo maschile, singolo femminile, pattinaggio di coppia e danza su ghiaccio. Tutte e quattro, durante le gare, presentano due programmi: un corto e un libero. I giudici decidono alcuni elementi obbligatori da far eseguire agli atleti, mentre il resto dei passi viene deciso dal pattinatore, dal suo coach e dal coreografo. Una coppia di danzatori si differenzia da una coppia di pattinatori su base degli elementi tecnici eseguiti. Nella gara a coppie il programma deve essere eseguito all'unisono, e comprende figure quali prese, sollevamenti e salti lanciati che non sono possibili pe un pattinatore singoli. La danza su ghiaccio, invece, è la specialità meno acrobatica, in quanto non sono consentiti né sollevamenti della donna oltre la linea delle spalle dell'uomo, né salti, e danza viene messa maggiormente in risalto la coreografia che la tecnica.
3- In Giappone avere 'il ciuffo', era/è sinonimo di ribellione. Una su tutte è la pettinatura a banana (ispirata a quella di Elvis Presley), e che appare su personaggi di diversi anime e manga, equivale a quella del teppista.
4- Il padre di Kira dice che quando lui era adolescente i videogame non erano ancora stati inventati. Questo perché la storia è ambientata tra la seconda metà degli anni ottanta e novanta, e i primi videogiochi sono usciti in Giappone sulla fine degli anni settanta.
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-Spazio Autrice-Ci sono voluti diciotto capitoli, ma alla fine ci siamo arrivati:Mark e Kira non si sono ancora baciati! Tadaaaaan! Ringraziatemi pe avervi regalato questo primo bacio proprio la sera dell'ultimo dell'anno, hihi. 😆 Non è che sia stato granché, ma devono fare esperienza prima di passare alle cosacce, wahahahah!
Aspetto i vostri commenti a riguardo, su quelle potrebbe essere la reazione di KIRA, e anche sull'evoluzione-non evoluzione del rapporto tra Ed e Jem. Ed non si arrende! 😉
Ho voluto presentare anche il padre di Kira perché tra un po' di tempo gli darò più spazio. E la prossima volta inizieranbo le vacanze estive!
Questa volta ho messo tante notine non solo sul Giappone ma anche sul pattinaggio artistico. Scusate se vi ho annoiato.
Non mi dilungo oltre. Vi ringrazio sempre tutti perché aspettate con pazienza gli aggiornamenti, grazie a chi legge, vota e aggiunge la storia agli elenchi di lettura.
Vi saluto e vi do appuntamento tra due settimane... e speriamo che il 2021 ce la mandi buona.
Buon anno nuovo!
vostra Clara♥
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HARU NO TOKI- Il tempo della primavera
Fanfic⚠️IMPORTANTE!! Il personaggio di Kira è un Oc di MIA INVENZIONE,così come tutto ciò che la riguarda, dal pattinaggio artistico alla sua famiglia. Ogni aneddoto presente in questa storia che non faccia parte dell'opera originale di Captain Tsubasa...