Il preside della Toho convocò Mark e Kira nel suo ufficio seduta stante. Fece un paio di telefonate, avvisando le madri dei due ragazzi di venire a scuola per una questione piuttosto urgente.
Il preside era un uomo alto e pienotto sulla cinquantina, i capelli già bianchi e l’aria benevola. Invece di punire i due studenti senza neanche interpellarli, preferì ascoltare la loro versione.
Mark e Kira non avrebbero saputo dire se avesse creduto o no alle loro voci. Lo misero al corrente dell’ultima gara a baseball, fingendo si fosse trattato di una semplice partitella nata così per caso, tanto per fare due tiri. Non erano intenzionati a spiattellargli la verità sulle altre mille sfide.
Per la prima volta si sostennero l’un con l’altra senza battibeccare. Incredibile come venne facile ad entrambi trovarsi in accordo in una situazione critica.
La signora Brighton e la signora Lenders - l’una con la chiara intenzione di strangolare la figlia, l’altra solo molto preoccupata che fosse successo qualcosa al suo ragazzo - vennero accolte dalle facce colpevoli dei figli.
La professoressa Amada completava il quadretto. In quanto presidentessa del consiglio di classe e rappresentante dei genitori, le fu concesso di assistere alla piccola riunione. Superava appena i trent’anni, ma quell’aria da cornacchia la invecchiava incredibilmente. Definiva quanto avvenuto 'un atto di vandalismo deliberato'.
Ma il preside non fu della stessa opinione. Ad essere danneggiata era stata solo la finestra del suo ufficio. E pur comprendendo che non era mai stata intenzione dei due ragazzi far del male a nessuno, un richiamo era doveroso.
«Ci sospenderà?» chiese Kira con il cuore in gola.
Risa Brighton le assestò una pacca sulla spalla per intimarle il silenzio. «Non essere impertinente» sibilò.
«No, no, nessuna espulsione» rassicurò il preside. «Tuttavia, dovremo pensare a qualcosa»
La Amada fece un passo avanti. «Signor preside, io penso che dovrebbe esser loro impedito di partecipare ai rispettivi club scolastici, per un certo periodo»
Mark sarebbe saltato dalla sedia se sua madre non gli avesse stretto forte un braccio.
Le partite, il campionato, la sfida con Holly… non potevano togliergli tutto questo, non adesso che era appena all’inizio.
Soffiando la rabbia dal naso, il ragazzo si impose la calma.
Il preside si grattò il mento, pensieroso. Non sembrava convinto. Poi guardò proprio Mark, il nuovo capitano della squadra di calcio delle medie. Da troppo tempo la Toho School non si aggiudicava la coppa dei campionati di medie e superiori. Come gli ripeteva all’infinito la signorina Daisy, la squadra universitaria era l’unica a superare il girone d’andata. Non poteva mettere il ragazzo in condizione di non giocare. Lui, Daisy e il mister Kitazume contavano molto su Mark Lenders.
Quanto a Kira, sembrava sul punto di piangere e il buon cuore del preside si addolcì a quella vista.
«Su, su, Brighton, non c’è bisogno di far così. Non vi impediremo di partecipare alle vostre attività sportive. Piuttosto, sarebbe maggiormente utile impiegarvi in qualche lavoretto tra queste mura. Per l’esattezza, riparerete ciò che avete danneggiato»
Il preside mosse una mano verso il vetro della finestra: il buco provocato dalla pallina era stato coperto da un semplice foglio di giornale fermato ai lati con dello scotch.
Per un istante, gli occhi dei due ragazzi e del preside si incrociarono, e Kira e Mark seppero che lui sapeva. Come, fu loro ignoto, ma intuirono che non si stava riferendo unicamente a quel danno. Il preside sapeva tutto, ma proprio tutto.
«Signore, devo dissentire» intervenne subito la Amada. «Lenders e Brighton hanno usato l’attrezzatura scolastica senza permesso, introducendosi senza il consenso di un insegnante dentro spogliatoi che non appartengono ai loro club»
«Signorina Amada… lei è signorina, vero?»
La professoressa arrossì. «S-sì. Non ho marito» ammise, aggiustandosi nervosamente gli occhiali sul naso.
E chi se la sposa quella, pensò Mark dalla sua poltroncina.
«Non mi pare giusto impedire ai ragazzi di partecipare ai club in un momento così delicato» continuò il preside. «Lenders ha le partite eliminatorie, e Brighton si starà allenando duramente per la prossima stagione. Non è così?»
«S-sì, è vero». annuì Kira. In verità era più concentrata sulla festa dello sport, la stagione del pattinaggio terminava in marzo e fino al prossimo settembre non sarebbe ricominciata. Ma non era questo il momento di informare il preside dei piani dei suoi coach.
«Preside, hanno danneggiato l’edificio scolastico, benché in minima parte. Devono capire che in questa scuola la disciplina è tutto» si infervorò la Amada, che dalla prima volta in cui aveva messo Mark in punizione sognava di testare la sua arroganza innata. Se ne andava sempre in giro con l'aria tracotante e la divisa in disordine. Quel ragazzo andava corretto.
La professoressa insisté che la punizione doveva essere più severa, ma il preside ebbe l’ultima parola: una nota di demerito sulla pagella per la condotta, qualche lavoretto a scuola dopo le ore dei club, e il resto a discrezione delle madri.
«Penso che la punizione peggiore potrete dargliela voi, signore»
Mark e Kira si scambiarono uno sguardo silente. Era andata fin troppo bene con lui, ma il peggio veniva adesso: le mamme!
A fine colloquio, le due donne obbligarono i figli a esibirsi in una serie di inchini che – i ragazzi ne erano sicuri – non li avrebbero costretti a sfoggiare nemmeno se si fossero trovati al cospetto dell’Imperatore in persona.
Una volta fuori in cortile, Judith Lenders(1) ripeté una serie di riverenze simili davanti a Risa.
«Signora Brighton, non so dirle quanto sono desolata per averle arrecato tanto disturbo»
«Le credo, signora Lenders. Lei mi sembra una brava persona»
«Oh, ma Mark non è un cattivo ragazzo! Lui…» Judith si passò una mano sul viso. «Vede, il suo atteggiamento aggressivo è dovuto alla mancanza del padre. È sempre stato un bambino caparbio ma, dopo la morte del mio John, Mark ha sofferto moltissimo e da quel momento…»
Risa non la trovava una giustificazione appropriata, ma annuì ugualmente. «Capisco, e me ne dispiace. Tuttavia, non significa che possa sovvertire al regolamento scolastico quando ne ha voglia per una qualche sciocca battaglia sportiva, per lo più coinvolgendo mia figlia»
La signora Lenders non seppe cosa dire. Non aveva ancora avuto il tempo per capire le dinamiche della questione. Il preside aveva solo spiegato loro che i due ragazzi avevano rotto il vetro con una palla da baseball, improvvisando una partita fuori dell’orario permesso. Cosa poi ci facesse suo figlio su un campo da baseball era una cosa che ancora le sfuggiva, e soprattutto non capiva in che modo era stata coinvolta la ragazza.
«Ovviamente, riconosco che la colpa non è tutta di Mark» continuò la signora Brighton, «Kira ha fatto senza dubbio la sua parte. Tuttavia le rammento che è stata coinvolta in un incidente di cui anche suo figlio è responsabile, distruggendo una bicicletta che mi è costata parecchio»
«Se c’è qualcosa che posso fare per sdebitarmi…»
«No, nulla, suppongo» rispose Risa, squadrando brevemente la signora Lenders con aria compassionevole.
La signora Brighton era fasciata in un tailleur elegante, le scarpe col tacco, gli orecchini di brillanti e i capelli a caschetto perfettamente in ordine come fosse appena uscita dal parrucchiere; la signora Lenders, che aveva solo qualche anno più di Risa, appariva sfortunatamente più vecchia. I suoi capelli mossi erano tirati sul capo in una comoda crocchia, indossava una gonna di cotone e una camicetta senza fronzoli, un paio di sandali ai piedi e nessun accessorio.
A vederle insieme, le due madri non potevano essere più diverse. Diverse fuori ma soprattutto dentro.
Lì stava la vera differenza. Quando la scuola aveva chiamato, la priorità di Judith Lenders era stata quella di sapere se Mark stava bene; Risa Brighton aveva invece anteposto la reputazione di Kira, augurandosi che non avesse combinato guai irreparabili a discapito di essa.
«Non posso certo chiederle un risarcimento, dal momento che mia figlia non guardava dove stava andando» disse ancora Risa, controllando il suo sottile orologio da polso. «Ora mi scusi, ma devo tornare al lavoro»
Le due donne si congedarono con un inchino. Anche Kira si inchinò alla signora Lenders, prima di seguire sua madre verso il parcheggio delle auto.
Mark restò un momento a guardare la sua rivale allontanarsi, a studiarne l’atteggiamento remissivo. Non sembrava la stessa ragazza dalla lingua lunga e lo sguardo impertinente con cui aveva a che fare a scuola.
«Mark» lo chiamò sua madre.
Lui distolse lo sguardo dalle sagome di Kira e della signora Brighton. «Sì?»
La signora Lenders puntò i pungi sui fianchi. «Vuoi aiutarmi a capire cosa diavolo hai combinato?»
Risa non fu per nulla comprensiva, ma Kira era preparata, come sempre. Fin da quando era entrata nell’ufficio del preside e visto i suoi occhi lampeggiare, la ragazzina aveva capito che una volta a casa sarebbero state urla. La disciplina era il sale per Risa, la quale si aspettava lo stesso atteggiamento dalla figlia.
Ma Kira non era come sua madre. Non era mai stata come sua madre.
«Ti sei presa fin troppa libertà fin ora. Anzi, te ne ho data fin troppa! Ma da oggi le cose gireranno diversamente!». Risa misurava a gran passi il tappeto del salotto, passando davanti al divano dove Kira stava seduta con la schiena dritta e lo sguardo basso, la fronte aggrottata. «Un mese di scuola e hai già un richiamo in presidenza! Non era mai successo che la scuola mi chiamasse!»
«Certo che è successo, non ti ricordi le elementari?» disse Kira. Era stata la volta in cui Risa aveva dovuto spiegare alle maestre che il colore dei capelli e degli occhi di sua figlia erano naturali, e che la bambina non cercava di mettersi in mostra.
La signora Brighton ricordava, ma liquidò la risposta con un gesto della mano. «Non stiamo parlando di questo. Quella volta non eri nel torto, ma oggi lo sei. Perché ti sei fatta coinvolgere da quel ragazzo?»
«Non è proprio così» rispose Kira. In effetti era stata lei a proporre per prima la sfida di calcio… però ero stato Mark a fomentare l'odio.
«Non sarai diventata amica di quel tipo, spero!»
«Non direi che siamo amici»
Risa emise un sospiro. «Questo mi toglie un pensiero. Desidererei che ti facessi degli amici un po’ più vicini a te, Kira»
«In che senso?»
«Persone di un certo ceto»
Kira emise l’inizio di una risata. «Mamma, non siamo nel medioevo»
«Tu sei figlia mia e i Brighton non frequentano quella gente»
«Quella gente?»
Risa mosse di nuovo la mano nell’aria. «Sì, gente… come quei Lenders. Santo cielo, la madre sembrava una povera mendicante»
«Mamma!». Kira schizzò in piedi. «Come puoi dire certe cose? A me la madre di Mark è sembrata una signora molto gentile»
Risa alzò un sopracciglio. «Tutto ciò che voglio è che non ricerchi la compagnia di certe persone. E voglio, anzi esigo, che inizi a rigare dritto. Io e tuo padre non abbiamo mai dato tanti problemi ai nostri genitori, e non sarai tu a cominciare!»
«A fare cosa?» chiese Kira con voce annoiata, alzando gli occhi al cielo senza potersi trattenere.
Risa si fermò, parandosi di fronte alla figlia. Destava le interruzioni, peggio ancora se la ragazza dava segno di disubbidienza.
«Cominciare a fare la ribelle, Kira. Nessuno mai in questa famiglia…»
«Non vedi la tua famiglia da quando ti sei sposata, che ne sai di cosa fanno i figli degli altri!»
«KIRA!» Le narici di Risa Brighton fremettero dall’indignazione. Diventò rossa in viso, stringendo le labbra in una riga sottile.
«Scusa mamma»
Risa alzava spesso la voce, ma mai come quando si accennava alla sua famiglia. Era un argomento che rasentava il tabù.
I parenti di Kira vivevano nel Kyushu e non si vedevano da… praticamente mai. La ragazza conosceva a malapena i loro nomi, il loro aspetto solo tramite le fotografie dell’album di famiglia che mamma teneva ben chiuso nell’armadio. Kira non conosceva esattamente le dinamiche dei fatti passati, nessuno le aveva mai raccontato niente nel dettaglio. Probabilmente i suoi non la ritenevano abbastanza grande e matura per comprende. Sapeva solo che mamma aveva litigato duramente con il nonno e dopo il matrimonio si era trasferita a Tokyo. La ragazza sospettava che la causa della rottura andasse ricollegata a quell’unione: Kei non doveva essere stato il partner che il padre di Risa avevano pensato per lei, e il fatto che avesse deciso di dare il proprio cognome al marito (2) poteva essere stata interpretata come una provocazione.
L’unica parente con cui la mamma aveva mantenuto i contatti era la nonna, anche lei residente nella capitale.
Nonno e nonna non erano divorziati – in una famiglia come la loro, strettamente legata alle tradizioni, il divorzio era inconcepibile così come molte altre cose – ma non vivevano più insieme da diversi anni.
Risa si passò una mano tra i capelli neri. «Sei ancora una bambina, non parlare di cose di cui non hai la minima idea. Sai quanto mi irrita»
«Non volevo dire niente di male» si scusò Kira, fissandosi i piedi.
Risa prese grandi respiri, facendo ancora un paio di volte avanti e indietro sul tappeto. «Va bene…va bene. Tornando a noi, ho deciso che se il preside si accontenta di farvi fare dei lavori manuali, io ti toglierò la possibilità di partecipare alla festa dello sport»
Kira rialzò il capo, gli occhi spalancati. «Cosa?! NO!»
«Puoi continuare ad allentarti, questo te lo concedo, ma non insieme ai tuoi compagni di club. Per quello che mi riguarda, tu col pattinaggio per questo trimestre hai chiuso»
«Ma mamma, la mia coach…»
«Parerò personalmente con la tua coach. Le dirò di escluderti dal programma»
Quella punizione fu per Kira una doccia ghiacciata. Sentì pizzicare gli occhi, le lacrime che facevano capolino. Con la scusa di togliere le lenti a contatto, si precipitò su per le scale proprio nel momento in cui suonò il campanello. Non le importò sapere chi fosse, voleva solo chiudersi in camera sua e piangere tutta la sua rabbia.
Mentre tornavano a casa in treno, la signora Lenders fissò suo figlio così insistentemente che il ragazzo non ebbe altra scelta se non confessare tutto dal principio alla fine.
La donna ascoltò tutto il racconto con pazienza, da com’era nata la rivalità con Kira Brighton a com’erano finite tutte le loro sfide.
«Lei è fastidiosa come nessuno, te lo giuro. Ha improvvisato questa cosa della sfida solo per riavere la bici, e io mi ci sono fatto tirare dentro. È stato stupido da parte mia, lo so mamma, però non ho potuto dargliela vinta. Proprio no»
Judith aveva già capito che non era mai stata intenzione di Mark far del male alla ragazza, tanto meno creare disagio e imbarazzo alla scuola. Le parole di lui ne furono la conferma. Suo figlio non era un teppista, era solo molto, molto competitivo e orgoglioso. Troppo.
«Quindi anche le ammaccature dei giorni scorsi non erano dovute soltanto agli infortuni in campo»
«Ehm… no»
«E con l’incidente della bicicletta come la mettiamo?»
«Non le ho rotto io la bici! Ha fatto tutto da sola» scattò subito Mark.
«Sì, ma tu eri presente. Perché non me lo hai detto?»
«Non volevo farti preoccupare» tagliò corto lui. «E nessuno si è fatto male»
«La signora Brighton sembrava pensarla diversamente»
«Non ho idea di cosa abbia raccontato quella a sua madre e non me ne frega. Sta di fatto che non l’ho spinta io nel fiume, la colpa è stata di Kira. Punto»
«Ah, Mark…». Se poteva evitarlo, la signora Lenders non alzava mai troppo la voce con i suoi ragazzi. Un rimprovero fermo e deciso era molto meglio di una sfuriata. «Io e tuo padre non ti abbiamo insegnato a venir meno ai tuoi doveri. Chi rompe paga, caro mio»
Mark cincischiò con la spallina della cartella posata tra i suoi piedi, senza più parlare. Quando la mamma lo riprendeva non aveva il coraggio di guardarla in viso. Era abituato a camminare con le sue gambe, per certi versi si sentiva più grande del tredicenne che era. Ma se da una parte i rimproveri della mamma lo mortificavano, dall’altra comprendeva che era giusto e che aveva ancora bisogno di lei per comprendere molte cose.
Il discorso fu interrotto brevemente, e ripreso subito dopo esser scesi a Saitama. Si incamminarono verso casa, Mark che palleggiava pigramente col pallone, il rumore ritmico dei sandali di mamma sul selciato.
Benché comprendesse l’innocuità dell’antagonismo con la compagna di scuola, Judith Lenders non evitò al figlio la punizione meritata.
«Telefonerò alla signora Brighton e le dirò che ripagherai la bicicletta a sua figlia»
Lui fermò il pallone e lo prese in mano. Distolse lo sguardo dal suo viso, notando la stoffa della gonna incresparsi sotto le dita di lei.
«Mamma non… possiamo». Gli costò uno sforzo ammettere la realtà.
«Questo lo so. Non la ripagherai con il denaro» rispose la signora Lenders, la voce tranquilla. «Ci ho pensato su mentre venivamo a casa. Credo che il modo migliore per concludere la faccenda sia aiutare quella ragazza a rimettere in sesto la sua bicicletta»
Mark si fermò davanti alla porta di casa. «Per rimetterla in sesto vuoi dire aiutarla a ripararla»
«Sapevo che avresti capito subito»
«Mamma, io non ho la più pallida idea di come si ripari una bici. Non l’ho mai fatto prima». Si era prodigato in diversi lavori: sapeva dipingere casa, riparare i buchi nel tetto, i tubi del lavandino, ma una bici… E se poi sbagliava a mettere insieme i pezzi? La sentivi la Brighton, con quel suo modo di fare così…
«Sinceramente, mi sembra una pessima idea»
«Lascia che prima ne parli con la madre della ragazza» ripeté Judith, infilando le chiavi nella serratura. «Cercherò di rintracciarla stasera e vedere cosa si può fare. Adesso devo tornare di corsa al lavoro. Tu va a prendere i tuoi fratelli alla fermata dall’autobus e fa merenda con loro, poi fila a fare i compiti»
Judith scese i gradini dell’ingresso, lasciando la porta aperta per lasciarlo entrare. «Chiuditi dentro, mi raccomando»
«Aspetta» Mark la fermò, incredulo. «Tutto qui? Voglio dire, non mi rinchiudi in camera ma per un mese, non mi impedisci di partecipare alle partite… niente?»
«Oh, Mark, potrei mai impedirti di giocare proprio in un momento così importante?»
Il ragazzo arrossì di fronte agli occhi fieri di sua madre.
Questa si incamminò per la strada, ma d’un tratto si volse indietro. «Un’altra cosa, Mark»
«Sì?»
«Non so come stiano le cose tra voi, ma ringrazia la tua amica per averti spalleggiato oggi, nell’ufficio del preside»
«Eh?»
Mark ci pensò solo in quell'istante. Era vero: Kira avrebbe potuto raccontare qualche scusa per scaricare la colpa su di lui. Furba com’era, sarebbe potuta venirne fuori indenne, eppure…
«Non l’avrebbe fatto» disse con sicurezza. Conoscendola, aveva capito che, nonostante la scaltrezza, era onesta.
«Oggi hai rischiato seriamente di buttare all’aria il tuo futuro» aggiunse Judith. «La signora Brighton avrebbe potuto chiedere la tua espulsione se avesse visto in te un pericolo per la carriera scolastica di sua figlia. Non è successo per merito della tua amica: perché non ha detto a sua madre nulla che potesse metterti nei guai per davvero. Ricordati di questo, Mark»
«Lei non è mia…» … amica.
Mark guardò sua madre allontanarsi lungo la strada, iniziando a prendere mentalmente nota di quali parole avrebbe dovuto usare per ringraziare Kira l’indomani a scuola.
In quel momento detestò sua madre come nessun altro al mondo, la detestò ancor più di Mark Lenders.
Kira sbatté con forza la porta sui cardini, chiuse a chiave e si gettò sul letto in lacrime.
La mamma non aveva sogni, lei viveva solo di lavoro, lavoro, lavoro. Non aveva mai capito cosa significasse avere un obiettivo, quanta dedizione e fatica erano necessari per raggiungerlo. Per lei i sogni erano soltanto giochi.
Qualcuno bussò alla porta un paio di volte. Kira alzò di poco la testa dal cuscino.
«Lasciami in pace!» esclamò contro la stoffa a cuoricini verdi. L’ultima cosa che desiderava fare ora era parlare di nuovo con sua madre.
«Kira, apri, sono la nonna»
La ragazzina comprese chi aveva suonato il campanello poco prima. Quanto amava quella voce un po’ roca e gentile! Andò subito ad aprire, cercando di trattenere le lacrime.
I capelli grigi raccolti in una crocchia alla vecchia maniera, gli abiti semplici ma raffinati, Kaori Brighton aveva superato i sessant’anni ma non li dimostrava affatto. Era la madre di Risa ma questa non aveva preso nulla da lei. Evidentemente, l’ereditarietà di carattere non era il punto forte della famiglia.
La nonna guardò preoccupata il viso rigato della nipote, gli occhi rossi e gonfi. Era arrivata proprio nel momento in cui la ragazza era sfrecciata di sopra piangendo.
«Posso entrare?»
Kira la fece passare e una volta richiusa la porta aveva ricominciato a piangere tra le braccia della nonna, che ascoltò il suo racconto tra un singhiozzo e una carezza sui capelli. Dieci minuti più tardi erano sedute al tavolo della cucina, due tazze di tè che aspettavano di essere riempite e il bollitore sul fuoco. Risa era tornata al lavoro lasciandole sole.
«Risa non è mai stata un modello di comprensione» disse Kaori amaramente, riconoscendo i difetti della figlia. «Sviluppò questa attinenza al comando da bambina: le sue sorelle maggiori non riuscivano mai a scamparla con lei. Era incredibile»
«Mh» fece Kira, le guance gonfie di rabbia posate sulle mani, i gomiti sul tavolo. «Perché hanno litigato?»
«Oh, sai, non è una storia piacevole» rispose la nonna con tranquillità.
Kira la fissò con insistenza.
«Vedi cara, tua madre rifiutò la dirigenza dell’azienda di famiglia, preferendo lavorare come truccatrice ed estetista. Tuo nonno non la prese bene»
«Solo per questo?»
«Certamente no. Anche perché scelse di sposare tuo padre»
«Lo sapevo»
La nonna si alzò per spegnere il fuoco, aggiungere le foglie di tè nelle tazze e versarvi l’acqua calda.
«Cos’aveva papà che non andava?»
«Non era l’uomo giusto secondo tuo nonno». La nonna mise davanti a Kira la sua tazza. «Ma non parliamo di questo. Parliamo di te»
La ragazza accettò il tè e un dolcetto di riso. «Non c’è molto da dire»
«Tua madre mi ha chiesto di farti ragionare»
«Ragionare?» Kira addentò rabbiosamente il dolce, parlando con la bocca piena. «Io coo a amma nun ragiono, ii itigo»
«Kira, manda giù»
Kira deglutì sonoramente. «Non c’è niente da fare ormai. Lo sai meglio di me che quando prende una decisione non c’è verso di farle cambiare idea. Dovrò rinunciare alla festa dello sport». Stava per addentare un altro boccone di dolce ma improvvisamente la fame venne meno.
«Cara, lo sai che sono dalla tua parte» disse la nonna, accarezzandole il dorso di una mano. «Proverò a parlare con la mamma»
Kira fissò le foglie sul fondo della tazza attraverso le piccole volute di fumo, giocherellando con un dito sui rilievi delle decorazioni. «Pensi che me lo sia meritata?»
«Non saprei. Forse sì. Danneggiare una finestra della scuola non è una cosa gravissima, però poteva capitare di peggio. Pensa se la pallina avesse colpito in piena fronte proprio il preside»
Kira rise. «O la professoressa Amada»
La nonna si unì alla risata. «C’è niente che posso fare per rivedere questo sorriso?»
Kira arrossì. La nonna era una persona veramente dolce.
La cosa che più desiderava era pattinare sulla pista della Toho davanti a tutta la scuola. Ma dal momento che nemmeno la nonna sarebbe riuscita ad aiutarla su quel fronte...
«Una cosa ci sarebbe: vorrei tanto trovare qualcuno che mi aiuti a riparare la mia bici»
Kaori assunse un’aria pensosa. Sorseggiò il suo tè con calma, poi posò la tazza e sorrise.
«Forse ho la soluzione»
Il volto di Kira si illuminò di pura gioia.
«Conosco un bravo ciclista a Saitama»
«Ma nonna, con tutti quelli che ci sono a Tokyo perché dobbiamo andare a Saitama?»
«Perché è il nipote di una mia amica e le ho promesso di trovargli clienti» confessò Kaori, sorridendo con un certo imbarazzo.
Kira non fu contentissima di trasportare la sua bici sgangherata sul treno fino a Saitama, ma a quanto pareva la nonna aveva a cuore la causa del bravo giovane di cui tessé le lodi durante il tragitto.
Comunque fosse, la nonna era davvero un portento di donna. Conosceva un sacco di gente e aveva sempre la soluzione a tutto.
Un’ora dopo erano al negozio di biciclette.
Si trattava di un’officina meccanica più che un vero e proprio negozio. Sul davanti era esposta la merce nuova – non più di una decina di bicilette – sul retro vi erano una serie di rottami di varie dimensioni e colori. Kira aveva fiducia nella nonna, e se diceva che il proprietario sapeva il fatto suo in quanto alle due ruote, doveva essere così.
Il padrone era un bel ragazzo sulla ventina, gioviale, con le mani sporche di olio e una tuta marrone macchiata in più punti. Salutò Kaori con cordialità e una certa confidenza. Mentre parlavano, Kira si aggirò curiosa per il magazzino, adocchiando cassette degli attrezzi, ruote solitarie, manubri arrugginiti e anche un paio di moto.
«Oh, Kira, mi sono ricordata di dover andare a comprare una cosa. Rimani qui con Gary e aspettami»
«Va bene, nonna»
La ragazza rimase volentieri con Gary. Era simpatico. In più, dopo una dimostrazione pratica della propria abilità, agganciando in un batter d'occhio delle rotelline posteriori a una bici per bambine, Kira iniziò ad avere più fiducia.
«La nonna mi ha detto che oltre a lavorare studi ancora» disse ammirata.
«Già. Le tasse universitarie sono molto alte, così ho pensato di rilevare il negozio di un amico di mio padre per venire incontro ai miei con il denaro. Con le mani ci so fare e le bici mi appassionano» spiegò Gary. «Ma vediamo la tua»
«Non c’è un altro cliente prima di me?»
Gary si voltò nella direzione in cui guardava Kira. Nel negozio c’era solo un altro ragazzino che osservava la merce. «No, Danny è il mio aiutante, non un cliente. Anche lui sta cercando di mettere da parte qualche soldo»
«Capisco…».
Kira e Gary si chinarono sulla bici. Purtroppo, lui non ebbe buone notizie per lei.
«La ruota anteriore è ridotta maluccio. Dovrò tenerla qui per qualche giorno»
Kira sospirò sconsolata.
La porta si aprì tintinnando e un signore entrò nel negozio insieme a un bambino.
«Buon pomeriggio» li salutò Gary.
«Vorremmo comprare una bici»
«Vengo subito. Danny, per favore, vieni qui. Scusa Kira, torno subito».
Gary prese uno straccio e si pulì le mani, raggiungendo i clienti, mentre il ragazzino di nome Danny si avvicinò a Kira.
«Posso aiutarti io. Dimmi, che problema ha la tua bici?» le disse quest’ultimo.
«Sai ripararla?» chiese lei, stupita. Ora che lo vedeva bene da vicino non dimostrava più di undici anni.
Per risposta, Danny annuì con vigore. «Le bici sono la mia seconda passione»
«E la prima qual è?»
«Il calcio!»
Un grande sorriso si aprì sul viso del ragazzino. Kira, al contrario, trasformò la sua espressione curiosa in una smorfia atroce, che spense il sorriso sul viso di Danny.
«Hai qualcosa contro il calcio?» chiese lui, deluso.
«Potremmo metterla così. Diciamo che è colpa di un calciatore se la mia bicicletta è ridotta in questo stato». Ed era colpa di un calciatore per un mucchio di altre cose…
I due ragazzi osservarono il rottame davanti a loro.
Danny si passò una mano sui cortissimi capelli. «Eh sì, è ridotta veramente…»
Kira emise un grugnito e le parole morirono sulla lingua del povero Danny.
«N-no, cioè, volevo dire… la rimetteremo a posto, vedrai» balbettò lui, afferrò la cassetta degli attrezzi e iniziando a trafficare con la ruota.
Per Kira non aveva alcun senso quello che faceva, ma era veramente bravo. Peccato avesse scelto il calcio come prima passione. Negli ultimi tempi non era tra le sue preferenze.
«Hai detto che è stato un calciatore a romperti la bici?» domandò Danny, spezzando il silenzio.
«Esatto»
«E come ha fatto, si può sapere?»
Kira si ritrovò a raccontare di nuovo l’accaduto. Il ricordo le lasciava sempre addosso un certo nervosismo. Ma sfogare il risentimento verso sua madre scaricando la rabbia su Mark Lenders le portò una sorta di calma interiore.
«Ho visto schizzare un siluro a forma di pallone da calcio proprio sulla mia traiettoria. Poi è spuntato lui e io sono rotolata giù dal pendio e la bici è finita nel fiume»
Danny fermò le mani al lavoro, osservando Kira accucciata accanto a lui e scoppiò a ridere.
Kira nascose il viso tra le ginocchia.
«Scusami, non volevo prenderti in giro»
«Non è una cosa di cui ridere, infatti»
«Ma dai… Sono sicuro che non l’ha fatto apposta»
«Forse no, però non mi ha neanche chiesto scusa. E con quale arroganza pretende di avere ancora ragione! Un tipo così è colpevole solo per la sua presunzione»
«È un tuo compagno di scuola?»
Lei storse il naso. «Non proprio. Frequentiamo lo stesso istituto, ma quasi non ci conosciamo»
Mentre l’ascoltava parlare, davanti a Danny prese forma l’immagine di un ragazzo a lui conosciuto, con le stesse caratteristiche descritte da lei. Quel tipo era l’immagine sputata del suo ex capitano…
«Come va, ragazzi?» fece la voce di Gary dopo un po’. Aveva congedato i due clienti; il bambino era uscito dal negozio con la sua nuova bici e un sorriso felice sul viso.
«Così così» rispose Danny. «La ruota ha perso dei raggi, il cerchione è danneggiato e anche la catena. Forse possiamo salvare il mozzo ma non ha molto senso se il resto è andato»
Gary si inginocchiò accanto a loro. Lui e Danny lavorarono insieme mentre lei li osservava senza fare niente.
«Posso darvi una mano? Mi sento abbastanza inutile»
«Certo!» disse Danny con entusiasmo. «È più bello lavorare in gruppo. E poi c’è maggior soddisfazione nel vedere un lavoro finito se sei anche tu a contribuire»
Kira rispose al sorriso del ragazzino, prendendo dalle sue mani una chiave inglese – o almeno credeva che fosse una chiave inglese…
La nonna ricomparve al negozio un’ora e mezza più tardi, con un paio di sacchetti sottobraccio. Era ora di tornare a casa.
«Dovremo aspettare che arrivi la nuova attrezzatura» disse Gary alla fine.
«Quanto ci vorrà?» chiese Kira.
«Due o tre giorni, non di più. Nel frattempo possiamo fare una revisione completa di tutte le altre parti. Se l’è vista proprio brutta questa ragazza». Gary accarezzò il manubrio della bicicletta come fosse un dolce cucciolo indifeso.
Kira sorrise a quel gesto, riconoscendo l’espressione sul suo viso: anche lui aveva un sogno, il sogno di lasciare quel capannone e aprire una vera attività.
«Non preoccuparti, rimetteremo a nuovo la tua bici» aggiunse Danny. «Bisogna impegnarsi per avere il meglio»
Kira fece un profondo inchino. «Grazie davvero!»
Era stato divertente lavorare insieme a quei due. Non aveva mai fatto nulla di manuale in vita sua, la mamma non glielo avrebbe permesso. Quelli erano lavori da proletari, diceva, con una mentalità tutta sua che Kira non avrebbe mai capito. Sperò di poter tornare presto al negozio a vedere come procedeva il lavoro. Gary e Danny la invitarono per il giorno seguente.
Faceva un caldo tremendo ed erano appena le otto e mezza del mattino. Se il calendario non avesse segnato il dieci di maggio, Mark avrebbe giurato di essere balzato in avanti nel tempo di almeno due mesi. Fermo sotto il sole del cortile, aspettava di veder comparire la Brighton con la solita amica al fianco.
Dopo l’episodio della presidenza con conseguente punizione – lui e Kira dovevano fare manutenzione alle palestre e lavorare nell’orto della scuola ogni giorno, fino a data da destinarsi – non aveva avuto modo di parlarle da solo. Avrebbe seguito il consiglio della mamma e l’avrebbe ringraziata, ma non davanti a tutti, soprattutto non davanti alle amiche di lei.
Mark strizzò gli occhi alla luce del sole. Una massa di lunghi capelli castani chiaro era appena comparsa in lontananza.
Kira correva come una forsennata per arrivare abbastanza in anticipo da non beccarsi una punizione. Scoprì con sollievo di essere in tempo quando vide un considerevole numero di studenti riuniti nel cortile per le ultime chiacchiere del mattino.
La ragazza si fermò ansimando, piegandosi su sé stessa e appoggiando le mani sulle ginocchia.
«Riprendi fiato, svampitella, o ti scoppierà il cuore»
Kira aprì gli occhi, fissando prima la sua ombra, poi lui. «Lenders». Pronunciò il suo nome come se fosse una maledizione.
«Di corsa, testa dura?»
«Mi sono svegliata tardi, tutti qui»
Si fissarono per alcuni secondi.
Un gruppo di ragazzi passò in quel momento congratulandosi con Mark per il trionfo contro la squadra di Chiba. «Ah, è vero, complimenti per la partita» disse Kira, ricordandosi solo in quel momento. Si vergognò un po’ a dirlo, non seppe perché. Perciò aggiunse subito: «Sono contenta che la Toho sia passata al girone successivo». Ecco, così Mark non poteva fraintendere. I complimenti erano per la squadra, non per lui solo.
«Grazie» rispose il capitano con tutta la freddezza possibile.
La Toho aveva giocato la prima partita di campionato stracciando il Nakagi per sette a zero. «Senti, volevo dirti…» riprese, ma fu interrotto da Jem Edogawa e Milly Benson, una ragazza con i capelli rossicci, anch’ella membro del club di pattinaggio.
«Kira, ma è vero?» gridò Milly preoccupata, correndo verso di loro. «È vero che tua madre ha parlato con i coach e che non parteciperai alla festa dello sport?»
Kira si fece triste triste e abbassò il capo facendo cenno di sì con la testa.
Mark la fissò provando un senso di… dispiacere. Non era abituato a vederla in quel modo, proprio come nell’ufficio del preside: abbattuta, silenziosa, remissiva.
«Perché la stai fissando, Lenders?» sbottò Jem. «La colpa è tua se lei è stata estromessa dal club per oltre un mese»
«Jem…»
«Mia?» fece Mark. «Siete proprio un bel gruppo di amiche, sempre pronte a dare la colpa agli altri»
«Piantatela» disse Kira con voce quasi inespressiva. Non era dell’umore per litigare né per alzare la voce.
Milly guardava la scena senza sapere che fare, e preferì restare in silenzio.
«Lo difendi?» chiese un’incredula Jem. «Da quando?»
Kira scosse la testa. «Non lo sto difendendo. Forse me la sono andata a cercare. Smettila, dai»
«Non ti ha nemmeno ripagato i danni alla bici!»
«La mia bici è in buone mani. Non è più un problema»
Jem la fissò incredula. «Ma… non mi hai detto niente»
«Non ce n’era bisogno. È acqua passata, credimi».
Dopo aver perso l’opportunità di pattinare all’evento scolastico, Kira aveva rivalutato molte cose. La bici non era niente in confronto a quello: alla festa dello sport avrebbe potuto mostrare le sue doti atletiche e invece l’opportunità era sfumata. La colpa non era solo di Mark. C’era stata lei su quel campo a porgergli il guanto di sfida, lei aveva preteso la rivincita, lei aveva lanciato la pallina contro la finestra della presidenza. Anche se tutto era iniziato a causa di lui, Mark c’entrava ben poco. Questa volta non poteva imputargli le proprie sfortune.
Kira congedò le amiche, dicendo loro che doveva discutere con Mark. Jem e Millie entrarono nell’edificio, la prima dopo avergli scoccato un’occhiata penetrante.
«Mi devi dire qualcosa?» domandò lui, curioso.
«Io niente. Mi sembrava fossi tu a dovermi dire qualcosa»
«Ah…sì, io…» Mark si umettò le labbra, fissandosi i piedi per un istante. Poi rialzò la testa. «Insomma, volevo ringraziarti»
Le sue parole la colsero di sorpresa. «Per cosa?»
«Per l’altro giorno, sai, quand’eravamo dal preside» specificò Mark. «Tu non hai detto a tua madre tutto quello che è successo tra di noi, vero? Delle sfide, voglio dire»
Kira scosse il capo. «Le ho detto qualcosa. Non le ho raccontato poi molto. In fin dei conti era una cosa nostra»
Si fissarono ancora.
Una cosa nostra… suonava molto strano, innaturale. Non erano nemmeno veramente amici, come potevano aver condiviso qualcosa?
«Mia mamma sarebbe stata capace di piantare un gran casino, specialmente dopo l’avventura del bernoccolo» disse ancora Kira. A pensarci faceva ancora male. «
Mark fece una faccia divertita al ricordo. «La testolina non ha più dato problemi?»
«Sei proprio antipatico». Lei sbuffò, decisa a non farsi provocare. Di solito non le dico niente di quello che faccio, ma quel giorno in cui sono tornata a casa con la bici fracassata, ho dovuto». Non poté impedirsi di rimandargli una mezza occhiata di rimprovero.
«Immagino tu abbia dato la colpa a me»
«Certo»
«Cretina»
Lei tirò fuori la lingua, ma fu un gesto scherzoso. «Non ringraziarmi, Lenders, sto ancora aspettando il risarcimento che mi spetta»
Mark alzò gli occhi al cielo, al contempo chiedendosi se poteva riferirle l’idea di sua madre a riguardo.
«Bè, è tardi» disse Kira muovendosi verso l’edificio. «Ci si vede in giro, ciao!»
Dopo un attimo di esitazione, Mark la seguì.
«Aspetta, Brighton!» La raggiunse in un paio di falcate. «Ci sarebbe un’altra cosa»
«Dimmi»
«La tua bici…»
«Mh?»
«Ecco, mia madre pensa che dovrei ripagarti il danno aiutandoti ad aggiustarla»
«La biciletta, dici?». Kira incrociò le braccia, chiuse gli occhi e rifletté, muovendo la testa da una parte all’altra come un uccellino. «Va bene, accetto»
Mark sbatté le palpebre. «A-aspetta, non così in fretta!»
«Non dovevo accettare?»
«Presumo di sì» Mark si strofinò la nuca con una mano. Veramente non si era aspettato che accettasse, aveva piuttosto previsto un rifiuto totale con la scusante che lui era un buzzurro e lei non voleva averci niente a che fare.
«So benissimo che non lo fai perché ti sono simpatica» disse Kira, riprendendo a camminare.
«Infatti mi sei antipatica»
«So anche questo» disse lei, entrando nell’atrio della scuola per dirigersi verso le scarpiere. «In realtà ho già trovato un ciclista che fa al caso mio, ma dal momento che sei proprio tu a chiedermelo…»
«Non mi farà piacere passare del tempo con te»
«Chiaro. Nemmeno a me»
«Allora com’è che sei così contenta?»
«Oh, ma sei ottuso!» Kira aprì l’armadietto della scarpiera e vi si appoggiò per togliere quelle che aveva indosso. «Era quello che aspettavo da un mese! Finalmente hai ammesso le tue colpe». Batté le mani una volta e fendette con l’aria il pungo della vittoria. «Che soddisfazione immensa!»
«No, un attimo! Non ho detto… non ti ho… EHI!». Mark cercò di fermarla ma si ritrovò sommerso da un’ondata di studenti ritardatari che si affrettavano su per le scale al suono della campanella.
Kira era già sfrecciata sul primo pianerottolo.
«Buona giornata Lenders! E ricordati che oggi abbiamo l’orto da pulire!»
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Note:1. La madre di Mark non ha un nome, per cui ho pensato di dargliene uno io :)
2. Come nel resto del mondo, anche in Giappone è consuetudine che la molgie prenda il nome del marito dopo il matrimonio. Accade il contrario nell'eccezione in cui in una famiglia di antiche origini nascano sole figlie femmine, e quindi si rischi l'estinzione' del cognome. Allora, di comune accordo, è il marito a prendere il cognome della moglie, e di conseguenza anche i loro figli manterranno il cognome della donna. Qualche volta si usa anche il doppio cognome.
***** ***** ***** ***** *****-Spazio Autrice-
Per la serie "chi non muore si rivede", rieccomi qui!
Premessa: vorrei aggiornare ogni martedì, ma non so se sarà possibile.L’altra volta avevo anticipato due cose: la prima era che sarebbe stata tregua per un po’ tra Mark e Kira, e difatti è così. Non so se avete notato i toni soft della loro conversazione.
La seconda era che sarebbe arrivato un personaggio amato. Ovviamente parlo di Danny Mellow :) Non volevo aspettare la terza media per introdurlo, così ho pensato di inventarmi questa seconda passione per le bici, di modo da intrecciare i personaggi tra di loro. A proposito di bici, non me ne intendo proprio, perciò sono andata a vedere un po’ di cose su vari blog.
Ho voluto introdurre anche il personaggio della nonna di Kira, e l’argomento ‘famiglia’, del quale si tornerà a parlare più avanti. Ci sono dei segretucci…Vi faccio uno spoilerino: tenete d’occhio il personaggio di Milly. Prossimamente potrebbe avere un po’ più di rilievo ;)
Ah, per chi aspetta un po’ di fluff tra Mark e Kira, pazienti che devono crescere ancora un pochino. Vi farò penare, sappiatelo xD Comunque, tra qualche capitolo, farò il salto temporale dalla prima alla seconda media.
Se volte potete seguirmi anche sul mio gruppo Facebook Chronicles of Queen, e sulla mia pagina Instagram @susanthegentle_efp.Ringrazio tutte voi che state seguendo questa storia, avete votato e inserito negli elenchi di lettura. Se poi volete commentare...😁
Alla prossima!
C💖
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HARU NO TOKI- Il tempo della primavera
Fanfic⚠️IMPORTANTE!! Il personaggio di Kira è un Oc di MIA INVENZIONE,così come tutto ciò che la riguarda, dal pattinaggio artistico alla sua famiglia. Ogni aneddoto presente in questa storia che non faccia parte dell'opera originale di Captain Tsubasa...