Capitolo 11. Ripartire da zero

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Il trillo del campanello segnalò la sua presenza agli altri studenti davanti al cancello principale. La bicicletta bianca sfrecciò tra sagome di ragazzi e ragazze pronti ad affrontare un nuovo anno scolastico. Un paio di voci urlarono un saluto e il suo nome. Kira ricambiò alzando un braccio per far capire loro di aver sentito.
«Vai più piano con quella bici!» gridò qualcuno altro.
«Scusate!»
Andare in bici era un po’ come pattinare. Non poteva fare a meno delle sensazioni di libertà, velocità e leggerezza riunite in una sola volta. 
Con un’agilità che la contraddistingueva da sempre, inclinò il mezzo per fermarsi grattando l'asfalto con le gomme, saltando direttamente giù dal sellino senza usare i freni. Sistemò la bici accanto alle altre in una delle rastrelliere, agganciando la catena alla ruota anteriore. Da quella posizione accucciata poté notare una scrostatura nel disegno a fiori lilla dipinto sul telaio. Necessitava di un ritocco. Sarebbe passata al negozio di Gary non appena gli allenamenti glielo avessero permesso.
Era stato un inverno di allenamenti intensivi per il team di pattinaggio artistico. Kira si era distinta durante il torneo interscolastico, eseguendo un programma corto perfetto. Purtroppo, a un passo dalla terza posizione, l’opportunità di salire sul podio era sfumata per una caduta su un doppio lutz (1) nel programma libero, caduta che aveva abbassato il suo punteggio collocandola al quinto posto. Non aveva pianto sulla propria sconfitta ad imitazione di altre pattinatrici, al contrario: questa esperienza l’aveva aiutata ad accrescere la sicurezza in sé stessa, sia come persona che come atleta. A fine torneo non si era riposata, continuando ad allenarsi in pista e in palestra, risoluta a salire ancora più in alto sulla scala che portava alla realizzazione del suo sogno. Confrontandosi con pattinatrici di altre scuole, Kira aveva capito di non poter più pattinare come alle elementari. Nei suoi programmi doveva inserire elementi più difficili, saltare più in alto. Non aveva più dieci anni, ne aveva quasi quattordici. Era ora di cambiare, di diventare un’atleta più matura.
«Ehi, stai più attenta, potevi investire qualcuno!» disse una voce sconosciuta. In realtà non proprio, perché l’aveva udita solo poco prima urlarle quasi la stessa frase.
Kira si voltò. Un ragazzo alto e snello, con una frangia ben curata pettinata sul lato destro della fronte, stava raccogliendo alcuni libri cadutigli di mano al suo passaggio.
Un flash back balenò nella mente della ragazza, sfolgorante come il sole.
Un anno addietro era accaduta la stessa cosa: lei che tagliava la strada a un ragazzo con la bici, lui che imprecava e…
«Sto parlando con te» le disse il ragazzo.
Kira trasalì lievemente. «Cos..? Scusami, ti ho colpito?»
«C’è mancato poco, ma sto bene». Il ragazzo controllò che i libri fossero a posto. Il volume di scienze era quello messo peggio. Nella caduta, la rilegatura aveva ceduto, separando un grosso blocco di pagine dal resto del libro.
«Mi dispiace» si scusò Kira, aiutandolo a recuperare le sue cose.
«Non importa, tanto era questione di tempo prima che si rompesse». Il ragazzo infilò il libro nella cartella già zeppa di quaderni e altri volumi. «Era il libro di mio fratello, ed è piuttosto malmesso. Comunque… non dovresti correre in quel modo. Potresti farti male oltre che farne agli altri»
Kira arrossì leggermente di vergogna. Gli era sfrecciata accanto e aveva addirittura parcheggiato senza rendersi conto di nulla.
«Hai ragione, starò più attenta. Ecco, tieni». Gli porse un raccoglitore e il diario. «Ma quanta roba hai messo in cartella? È solo il primo giorno»
Il ragazzo le rivolse uno sguardo imbarazzato. «Non sono proprio affari tuoi» disse, cercando di non suonare sgarbato.
«Ehm, scusa». Non ci riusciva proprio a stare zitta. «Bè, buon anno scolastico», salutò poi, affrettandosi per la cerimonia di inizio anno.
Non doveva pensare a Mark Lenders, si disse. Era acqua passata, roba vecchia. Quel tipo era stato meglio perderlo che trovarlo, proprio come diceva il proverbio.
«Kira! Kira, siamo qui!» Jem Edogawa sventolò una mano in aria, alzandosi sulle punte dei piedi per sovrastare la folla di studenti ammassati nel cortile. Milly Benson le era accanto. «Sei da sola?»
«Purtroppo sì» annuì Kira, dopo aver salutato le amiche con un abbraccio. «Mia madre non è potuta venire. Sapete, il lavoro». Ci fu amarezza nella sua voce. Per lei era importante dividere con Risa momenti speciali e significativi della sua vita scolastica. Non che la cerimonia d’apertura fosse chissà quale grande evento, però…
Risa non aveva assistito neanche a una delle sue gare scolastiche, mentre Kei aveva fatto di tutto per non perdersi la finale, abbracciando la figlia con orgoglio nonostante la sconfitta.
Kira e le amiche occuparono il posto a loro assegnato, nelle sedie disposte all’aperto in diversi blocchi divisi per classi. Gli alunni di prima media occupavano la prima fila. Osservavano intimoriti il palco sul quale un docente stava sistemando il microfono, dentro cui il preside, col suo sorriso posato e i piccoli occhi a mandorla, salutò e parlò alla scuola pochi minuti dopo.
Al termine della cerimonia, le tre ragazze corsero verso l’aula magna, dove erano state affisse le liste delle nuove classi.(2)
«Oh, no!» si lamentò Milly, scorrendo in fretta gli elenchi. «Sono finita nella sezione E»
«Io dove sono? Non mi vedo» disse Kira allungando il collo oltre le teste degli studenti davanti alla parete.
«Brighton Kira. Eccoti là in alto. Sei ancora nella A»
«Io sono nella B» disse Jem sconsolata. «Accidenti, ci hanno divise»
La folla scemò lentamente, ognuno diretto nelle proprie aule; chi felice di essere con i vecchi amici, chi preoccupato di doversi approcciare con dei perfetti estranei. Kira era tra questi ultimi.
La prospettiva di trovarsi nuovamente davanti una buona fetta di facce sconosciute non era per nulla allettante. Kira non aveva mai capito perché si dovessero rimescolare le classi tutti gli anni, era una cosa che le metteva ansia.
Salutò Jem e Milly, quest’ultima diretta a un piano più su del loro. Arrivata davanti alla sua vecchia classe la travolse l’insicurezza. La 2°A era già gremita. Diversi gruppetti formati da ragazzi che provenivano dalla stessa classe parlavano esclusivamente tra loro; altri cercavano di fare amicizia con gli sconosciuti per non rischiare di restare isolati. Guardandosi attorno per capire se il suo vecchio banco fosse già stato occupato, Kira non vide nessuno che conosceva. Possibile?
Come sarebbe stato senza le sue amiche? Se ne sarebbe fatta delle altre?
«Tutto bene, Brighton?»
Kira si girò in fretta, scorgendo un paio di facce conosciute: Sano e Tadai, due ex compagni di prima media. La loro presenza la rassicurò. Non poteva dire fossero suoi amici, ma almeno non era totalmente sola.
«Sì, grazie, tutto a posto. E voi?»
«Non c’è male» rispose Sano. «Ehi, ehi, hai visto chi abbiamo in classe?»
Il compagno indicò un punto in fondo alla classe. Kira cercò di capire di chi si trattasse, ma la visuale veniva ostruita da alcuni ragazzi fermi in piedi accanto agli ultimi banchi.
«Bè, suppongo lo scoprirò presto» disse poi, affrettandosi a raggiungere la sua posizione prediletta. I posti in fondo erano sempre i più ambiti.
Ma non aveva fatto bene i conti con chi si sarebbe trovata di fronte...
Si fermò davanti al banco che aveva occupato per tutto il primo anno, al quale sedeva niente meno che Mark Lenders.
«Tu che ci fai nella mia classe?»
Lo sguardo rivolto alla finestra, al suono della sua voce Mark si voltò e un sorrisetto sarcastico nacque spontaneo sul suo viso abbronzato. «Chi si rivede. Ciao, svampitella»
Una vena pulsò sulla fronte della ragazza. Detestava quel soprannome. «Quello è il mio posto»
«Non c’è scritto il tuo nome» rispose lui guardandola dritta negli occhi. Tra loro era stata sfida sin dal primo istante e lo era ancora, anche per una sciocchezza simile. «Se vuoi puoi sederti di fianco a me, è libero»
«Non siederei vicino a te nemmeno sotto tortura»
«Fa un po’ tu. I posti sono tutti occupati». Mark evitò il suo sguardo, tornando a guardare fuori.
Kira si prese un momento per fare una panoramica della classe e…dannazione, aveva ragione. Non ebbe altra scelta: posò la cartella sopra il banco accanto a quello di Lenders, sedendo con poca grazia sull’unica sedia ancora a disposizione.
L’imbarazzo si fece strada in lei, accompagnato da una forte consapevolezza: erano più di sette mesi che non si trovava vicino a lui, che non si rivolgevano mezza sillaba neanche per caso. Mark non sembrava provare lo stesso disagio, o magari era solo bravo a nasconderlo.
Provò a studiarlo un istante, accorgendosi immediatamente di alcuni cambiamenti. Benché fosse seduto dava l'impressione di aver acquistato centimetri, le spalle erano più larghe e il petto più ampio. Non aveva mai sbagliato ad affermare che poteva passare per un senpai di terza. I neri capelli ribelli, invece, erano sempre gli stessi, così come l’espressione del viso corrucciata, in qualche modo distaccata da ciò che lo circondava e non considerava degno della sua attenzione. Probabilmente nemmeno lei veniva considerata, ma questo non l’aveva mai fermata.
«Insomma…» esordì incerta. «Come…come stai?»
Lui sollevò lo sguardo, nascondendo la sorpresa. «Bene»
La sua risposta fredda la fece irrigidire da capo a piedi. Kira annuì piano.  «Comunque» riprese risoluta, «il posto vicino alla finestra è sempre stato mio»
Evitando di guardarla Mark scosse il capo, dondolandosi con le gambe posteriori della sedia. «Sembri una bambina piccola»
«Se ti piace guardar fuori ci sono altre due finestre da cui poterlo fare»
«Non mi piace sedermi nei posti davanti. E poi da qui si vede meglio»
«Che cosa?»
«Il campo da calcio»
Kira non credette alle sue orecchie. «Vuoi vedere il campo? Scherzi? Lo vedi tutti i giorni!»
Non poteva essere per quel motivo. Di sicuro, lui aveva voluto il banco accanto alla finestra nell’ultima fila per pensare indisturbato ai fatti suoi, così che gli insegnanti non si accorgessero di nulla.
«Per tua informazione, da qui non si vede solo il campo dove ci alleniamo noi, ma anche quello del liceo». Mark indicò con il pollice la finestra alla sua sinistra. «Potrebbe tornarmi utile per imparare qualcosa in più»
«Ah, giusto». Kira spostò la sua attenzione sul paesaggio esterno: tre rettangoli verdi si stendevano uno accanto all'altro da sinistra a destra.
Aveva una sua logica: la squadra del liceo si allenava a orari leggermente diversi rispetto alle medie, ma non era chiaro come lui avrebbe potuto scorgere i giocatori da lassù.
«Hai capito, ora?»
«Sì, più o meno»
Mark sospirò, facendo vagare gli occhi su di lei. «Non sei diventata più sveglia, vedo. E non ti sono nemmeno cresciute le tette»
Le narici di Kira fremettero e poco mancò che ne uscisse del fumo. Le dolsero i muscoli del collo per la velocità con cui si voltò per fulminarlo. «Io invece vedo che non hanno ancora inventato la cura per far crescere il cervello!».
Lo schiaffo di Kira lo colpì in piena nuca, facendogli male. Mark smise di dondolarsi con la sedia, che tornò al suo posto con un tonfo. Alzò le mani per proteggersi da un secondo attacco…che non arrivò.
Kira incrociò le braccia sul costato in modo che la ‘parte interessata’ non fosse vivibile. «Sei il solito deficiente»
«Ci sei abituata»
«Mio malgrado»
«Tu cercavi di fare conversazione…» si giustificò lui.
«Taci che è meglio». Kira grugnì indispettita, iniziando a tirare fuori cose a caso dalla cartella «E poi io con te non ci parlo»
«Come vuoi».
Scambiandosi uno sguardo in tralice, per un attimo sembrò loro di essere tornati al punto di partenza. Era malinconia quella che sentivano solleticargli lo stomaco? O che altro?
Erano stati a un passo dal costruire un’amicizia - un po’ precaria in verità, ma la volontà c’era stata, soprattutto da parte di Kira. Poi, lei aveva pronunciato parole che su Mark avevano avuto l’effetto di una pugnalata, piombandogli addosso più dolorosamente di quanto avrebbe potuto immaginare. Ad oggi non c’era stata occasione per capire se quelle parole fossero state il riflesso dei reali pensieri di lei, o se la ragazza avesse voluto punirlo per aver ferito una sua amica. Mark avrebbe potuto chiederglielo adesso, ma sarebbe servito a qualcosa dopo tutto quel tempo? Sarebbe servito cercare di risanare la rottura? Non erano nemmeno sicuri di volerlo.
Quando il professor Holland, l'insegnante di matematica, entrò in classe, entrambi assunsero l’atteggiamento più distaccato possibile, ignorandosi per il resto della mattinata.
 
 
Il primo giorno di scuola si svolgevano i provini per esaminare potenziali nuovi membri dei vari club sportivi. In quanto capitano, Mark dovette restare a bordo campo con il mister Kitazume ad osservare i nuovi arrivi.
Negli sguardi impauriti di quei ragazzini di prima non c’era né la determinazione né il sentimento di un vero futuro campione; erano venuti lì solo per divertirsi, non per vera passione.
Kitazume se ne rese conto quanto Mark, perciò, alla fine dei provini, senza troppi giri di parole ma con tatto, annunciò che nessun nuovo giocatore si sarebbe aggiunto alla sua squadra.
«Poverini, un po’ mi dispiace» disse Ed mentre tornavano negli spogliatoi.
«Non è un gioco. Meglio che lo capiscano subito»
«Non essere severo, Mark»
«Sono il capitano» tagliò corto Lenders, come se questo bastasse. In realtà bastava eccome. Guidare la squadra era qualcosa che non aveva mai preso alla leggera. Spesso riprendeva i compagni più duramente di quanto facesse il mister. «Giocare non deve mai essere solo ‘giocare’» terminò, aprendo la porta dello spogliatoio.
«Mi sembra di sentir parlare Kira Brighton» disse Ed. Il paragone fu istintivo.
Mark raggiunse il suo armadietto con le labbra ostinatamente serrate e la faccia scura, aprendolo con un gesto nervoso. Sapeva che Warner frequentava ancora il negozio di biciclette di tanto in tanto, dove Kira andava a trovare Gary e soprattutto Danny, col quale aveva legato parecchio.
«Ci dovrai passare vicino tutto l’intero anno» disse Ed in tono spiccio. «Fattene una ragione»
«Sarà un incubo» rimbeccò Mark togliendosi la maglietta e gettandola nell’armadietto. «Le lezioni non erano ancora cominciate e già lei rompeva le scatole»
«Cerca di vedere il lato buono: potrebbe essere l’occasione per chiarivi»
«Non abbiamo più niente da dirci da un pezzo»
«Mark, tu hai un sacco di cose da dirle» disse Ed con voce stanca.
Il portiere credeva fosse più una questione di vergogna che altro. Mark fingeva che lei fosse ormai un’estranea ma, ogni volta che il nome di Kira saltava fuori per qualche motivo, iniziava a fissare con ostinazione il pavimento e un leggero turbamento accelerava il suo respiro. Quel comportamento tutto lasciava intendere tranne che indifferenza.
«Sai come la penso». Ed sedette su una delle panchette dello spogliatoio, cominciando a togliersi gli scarpini sporchi di terra. «È stata una cretinata, un malinteso. Dovresti ricominciare a parlarci»
«Dovrò parlarle per forza, ma non ho nessuna intenzione di tornare ad essere…». Mark si interruppe, non sapendo come continuare.
Cosa? Essere cosa? Lui per primo aveva sempre sostenuto di non esserle amico. «Non le ho parlato per un anno e mi è andata benissimo così»
«Lei ti manca» affermò serenamente Ed.
«Non mi manca affatto». La sua sentita affermazione risuonò per lo spogliatoio semi vuoto. Tutti gli altri ragazzi erano già a fare la doccia. Mark rimase in piedi di fronte all'armadietto aperto, riflettendo.
Lei non avrebbe dovuto rappresentare una parte importante delle sue giornate, ma c’erano stati giorni difficili, stressanti – a casa, a scuola, agli allenamenti – in cui avrebbe dato qualsiasi cosa pur di sentire la voce di Kira distrarlo con qualche sciocchezza. Gli mancava vederla spuntare all’improvviso, combinare qualche casino come al solito o bisticciare.
Detestò l’idea di dover dare ragione a Ed. D’altra parte, avere un migliore amico comprendeva il rischio di non riuscire più tenersi i propri segreti e rielaborare problemi da una nuova prospettiva.
«Non riesco a capire perché tu ci tenga tanto, Ed»
Il portiere si passò una mano sul viso stanco. Avevano fatto quel discorso centinaia di volte.
«Per me non farebbe differenza se sapessi che davvero non ti importa; ma ti importa, è inutile che continui a negare. Ti piaceva stare con lei come non ti è mai piaciuto stare con nessun’altra ragazza. Era evidente»
«Ti prego, risparmiami la tirata sui sentimenti»
«No, non hai capito» Ed si mosse nervosamente sulla panca. «Non sto insinuando nulla. Semplicemente c’era qualcosa che vi legava e tu rivuoi quel qualcosa. Ho torto?»
Mark finì di levarsi la divisa da calcio, afferrando dall’armadietto la busta con l’occorrente per la doccia e l’asciugamano, rigirandoseli per qualche secondo tra le dita, la fronte aggrottata.
Kira non gli era simpatica, ma nemmeno antipatica. Non avrebbe saputo dire cosa fosse per lui; tutto ciò che sapeva era che la voleva nella sua vita.
Le esatte parole con cui formulò il pensiero non furono propriamente queste ma, in concreto, era ciò che il suo animo solitario chiedeva. Affermare di desiderare una persona nella propria vita era qualcosa di ancora troppo profondo, di cui Mark avrebbe compreso il significato e il valore solo molti anni dopo.
«Sì, bè…non ha più molta importanza, no?»
«Non lo so. Ne ha?» Ed fissò il suo capitano nel silenzio dello spogliatoio. L’unico suono era quello delle voci ovattate dei compagni di squadra al di là della parete del bagno, e il cervello di Mark che lavorava frenetico.
Bastava un sì, ma Warner non si aspettava un’ammissione tanto presto. Il portiere rilasciò un sospiro, abbassando il capo. «Va bene, ci arriverai»
«Non le devo nulla» disse Mark, ancora in cerca di una risposta per Ed. «Non le chiederò scusa per qualcosa che non ho fatto. Non stavolta. È lei che… ah, lascia perdere». Mark richiuse l’armadietto con forza, marciando poi verso la porta e spalancandola con un gesto brusco.
Ed lo guardò sparire, scuotendo il capo.
Adesso che erano compagni di classe non sarebbe stato facile ignorarsi. Probabilmente avrebbero ripreso a litigare se si fossero parlati di nuovo; tuttavia, Ed credeva fosse meglio così piuttosto che continuare a recitare quell’insulsa tragedia greca.
 
 
 
«Ancora non posso credere che tu sia finita in classe con Mark Lenders» rise Jem durante l'ultimo giro di pista prima della fine degli allenamenti. I coach lasciavano loro sempre un quarto d’ora per divertirsi e pattinare liberamente.
«Fai poco la spiritosa, Jem. Sbaglio o qualcuno mi ha detto che tu sei in classe con Warner?»
Jem smise subito di ridere. «Te l’ha detto Milly, vero?»
«No, il senpai Yusuke, che ha sentito te mentre lo dicevi a Milly»
«Ah, quell’impiccione di Yusuke» Jem sbuffò. Non sembrava granché contenta.
«Ed-san è a posto» la tranquillizzò Kira. «Io lo conosco abbastanza»
«Chi va con lo zoppo impara a zoppicare» ribatté Jem. «È pur sempre il migliore amico di Lenders»
«Lenders è un tipo complicato» disse Kira rabbuiandosi, prendendo a fissandosi la punta dei pattini che si muovevano lenti sulla pista. «Ma non sono cattivi, te lo posso assicurare»
Jem non era mai riuscita ad apprezzarli e vedere oltre l'apparenza. Li aveva fin troppo idealizzati, considerandoli come delle sottospecie di teppisti solo perché Ed portava i capelli lunghi e Mark esibiva quell’aria strafottente... Kira detestava i luoghi comuni, dei quali Jem pareva essere un’accanita sostenitrice.
«Come ti senti a stare vicino a lui?»
La domanda dell'amica lasciò Kira molto confusa. Era stata troppo diretta, come un boomerang lanciato a tutta velocità.
«Strana» rispose abbassando ancora il capo. Una ciocca di capelli le ricadde sul viso. «Ho pensato di chiedere a un insegnante di cambiarmi posto»
«E perché non lo hai fatto?»
Kira mosse le spalle come a dire che non lo sapeva. «Va bene anche così»
Una parte di lei sussurrava al suo orecchio che non le dispiaceva poi molto dividere il banco con lui. Quella vocina interiore scavava attraverso l’ostinazione più dura, bisbigliando verità che si sforzava di respingere.
Tu non sei dispiaciuta di averlo in classe…
Non è vero, la sua presenza mi infastidisce.
Solo perché ti ignora. Ma tu sai perché lo fa…
Perché è un cretino?
No, perché con lui sei stata perfida…
Oh, va bene, gli ho detto una cattiveria. È stato un errore, lo ammetto, ma lui…
«Kira-chan, mi ascolti?» la chiamò Jem.
«Eh? Sì, scusa»
«Sai che metà delle ragazze delle medie vorrebbe essere al tuo posto, vero?»
Kira sbatté le palpebre. Come c’erano arrivate a quella parte? Doveva essersi persa un lungo ragionamento mentre vagava tra i propri pensieri.
«Che…che cosa intendi?»
«Bè, dobbiamo essere oneste» sospirò Jem. «Mark Lenders è diventato uno degli eroi della scuola dopo il secondo posto al campionato. La sua bravura è indiscutibile, mi sono ricreduta persino io. E sai come vanno certe cose, no?»
«Avanti, Jem, arriva al sodo. Cosa stai cercando di dirmi?»
«Che sarai oggetto di chiacchiere, mia cara. Tu dividerai il banco con uno dei ragazzi più popolari della Toho». Jem fu tradita da una breve smorfia. «Io non riesco a comprendere come un centinaio di ragazze si siano innamorate di un tipo che due giorni prima nemmeno consideravano, ma suppongo sia l’effetto della fama»
«Pensi che potrei suscitare la gelosia delle sue fans? Oh, per favore…»
«Io ti ho avvertito» concluse Jem alzando le mani, come a dire che da quel momento in avanti non sarebbe stata responsabile di nulla.
Le due ragazze erano rimaste le uniche ancora in pista, tutti gli altri se n’erano già andati verso gli spogliatoi. Erano le quattro meno un quarto quando uscirono dal palazzetto. Dalla seconda media in avanti, gli allenamenti si prolungavano di mezz’ora per tre giorni la settimana.
Kira raggiunse le rastrelliere dove aveva lasciato la sua bici quel mattino e salutò Jem, la quale si incamminò verso la stazione più vicina.
Kira preparò a saltare in sella quando una voce la chiamò. «Ciao, ci si rivede»
Seduta sul sellino, un piede sul pedale e uno ancora a terra, la ragazza si voltò incuriosita. Il tipo alto e snello con la frangetta sulla fronte era fermo alle sue spalle e le sorrideva.
«Ciao» lo salutò con leggera sorpresa.
«Che coincidenza incontrarsi due volte nella stessa giornata e nello stesso posto» disse lui.
«Già. Strano, vero?»
«Si vede che era destino»
«Mh?»
Il ragazzo sorrise. «Niente, niente. Non mi sono presentato: mi chiamo Darren Grant. Piacere»
Allungò la mano verso di lei e Kira non poté fare a meno di osservarla. Una mano bianca e sottile, quasi da ragazza, con unghie ben curate e i polsini di camicia e giacca perfettamente inamidati. Di sicuro, quel tipo non faceva parte di un club sportivo. Doveva essere uno studente modello, impeccabile sia a scuola che in ogni altro aspetto della vita.
«Piacere mio. Mi chiamo Kira Brighton». Decise di presentarsi, se non altro per cortesia.
«Hai una bella bici, Kira Brighton»
«Grazie»
«Torni a casa con quella?»
«Sì, non abito molto lontano»
Lui fece una breve risatina. «Sta attenta a non investire nessuno, mi raccomando»
Kira arrossì davanti all’insinuazione. «Non ho fatto apposta, stamattina»
«Non arrabbiarti. Lo so che non hai fatto apposta». La voce di Darren era calma e leggera, controllata. «Spero di vederti ancora in giro. Ciao»
Lei lo osservò allontanarsi con curiosità. Visto di schiena sembrava ancora più magro. Aveva un’andatura tranquilla ed era un bel ragazzo, anche se per nulla il suo tipo. Ma lei aveva un tipo?
«Stai intralciando il passaggio» disse qualcuno dietro di lei.
A differenza della voce di Darren, questa aveva un tono deciso, forte, stabile.
Kira si voltò con una smorfia rabbiosa sul viso, gli occhi ridotti a due fessure. «Il cancello è spalancato, c’è un sacco di spazio, Lenders»
«Lo dicevo per gli altri, mica per me». Lui le passò accanto colpendola con un pugnetto sulla testa.
«Perché?» chiese lei.
«Perché mi andava. A domani»
Rimase ferma in sella alla bici ancora in momento, guardandolo allontanarsi. Mark camminava con sicurezza, la cartella appoggiata sulle spalle larghe, la giacca slacciata e i capelli al vento.
Jem non capiva, ma Kira credeva di poterlo: comprendere perché lui suscitasse l’interesse femminile di una buona fetta di studentesse. Doveva ammetterlo, in un anno era cresciuto ed era diventato belloccio. E va bene, bello.
Soltanto allora fece vera chiarezza: avrebbe passato un anno accanto a uno dei ragazzi più ammirati della scuola, il ragazzo al quale una delle sue migliori amiche andava dietro; il ragazzo che detestava da quando aveva messo piede su quel terreno; che per intere notti non l’aveva fatta dormire dopo averci litigato, e per il quale provava un sentimento che non poteva definirsi affetto, ma qualcosa di molto più complesso e instabile.
Lo seguì senza volerlo, non stupendosi nel vederlo percorrere la stessa scorciatoia lungo il fiume che prendeva lei. Avrebbe potuto pedalare più veloce e superarlo in un lampo, ma per qualche bizzarra ragione decise di affiancarlo.
Come di consueto, lui si mise a palleggiare per strada, immerso nei suoi pensieri.
«Ti serve qualcosa?» le chiese.
«No»
«Allora perché mi vieni appresso?»
«Sto tornando a casa. Lo sai che passo di qui tutti i giorni nella bella stagione». Kira prendeva il treno solo in inverno, quando iniziava a far troppo freddo e le si paralizzava la faccia intera a contatto con l’aria gelida.
«Lo so. Ti ho notata spesso» disse Mark, maledicendosi per le ultime quattro parole. Per lui fu una debolezza ammettere di averla osservata da lontano. «L’esperienza non ti ha insegnato niente, comunque». Il ragazzo indicò il fiume. «La prima volta che ti ho vista passare di qui in bicicletta ci sei finita dentro»
«Sto sempre attentissima» replicò lei, assumendo una postura perfetta: testa eretta, schiena dritta, sguardo avanti.
«Non distrarti, potresti cadere» la punzecchiò il ragazzo. Fu più forte di lui, non c’era verso.
Kira non rispose e proseguì lentamente la sua pedalata.
Mark iniziò a palleggiarle attorno per indispettirla. Lei sottrasse la propria attenzione dalla strada solo per pochi secondi, guardandolo muoversi – nonostante l’altezza – agile come un gatto.
«Ti stai distraendo, ragazzina»
«Tu lo fai solo per farmi dispetto»
«Kira, se volessi farti un dispetto ti spingerei giù dalla discesa legandoti alla tua dannata bici»
Improvvisamente e senza sapere perché lo trovasse divertente, lei rise. Un accenno improvviso che si spense quasi subito, ma del quale le rimase un’ombra sulle labbra. Avrebbe dovuto arrabbiarsi, e invece l’immagine di una sé stessa urlante che rotolava dalla discesa legata come un salame alla bicicletta, ebbe la meglio sulla sua risolutezza.
«Non ce la faresti ad acchiapparmi»
Mark emise un verso sprezzante. «Cos’è, una nuova sfida?»
«Più o meno»
«Tu sei fissata». Mark si fermò in mezzo alla striscia di asfalto tra il muro del quartiere accanto e il ciglio del declivio erboso. Kira gli rivolse uno sguardo divertito e, incoscientemente, lui diede un calcetto al pallone iniziando a correrle dietro lungo la strada deserta.
Lei lo distanziò, rallentò e sterzò tornando indietro. Voleva giocare con lui, non sfidarlo veramente.
Mark non l’avrebbe mai raggiunta a piedi, ma poteva acchiapparla in un altro modo… Alzò la gamba destra e spedì la palla a pochi metri da Kira con un colpo di media potenza.
Lei emise un urletto spaventato. «Col pallone non vale!»
Approfittando di quel momento di distrazione Mark la raggiunse, afferrando al volo il portapacchi della bici e strattonandolo all’indietro per salirvi.
«Presa»
Kira sentì di perdere il controllo della bicicletta. Gli intimò di scendere ma lui ovviamente non ne volle sapere. Lei mise giù i piedi di scatto per mantenere maggior equilibrio ma il peso del corpo di Mark li spinse sul limitare della breve discesa.
Se la bicicletta avesse potuto parlare avrebbe imprecato a squarcia gola contro quei due disgraziati. Mancò poco che rotolassero giù come sacchi di patate. Mark si staccò al volo e Kira abbandonò il sellino, preferendo lasciarsi cadere con lui sull’erba fresca del pendio. La bici cadde producendo un tonfo e un tintinnio di campanello, scivolando qualche metro più in basso rispetto ai due ragazzi ma senza ribaltarsi e senza danni.
«Tu vuoi proprio male alla mia bici» si lamentò Kira, stesa di schiena sul prato.
Mark rise. «Siamo due deficienti»
Kira scoppiò in una nuova risata. Le loro voci si mescolarono in un suono che echeggiò contro il cielo, rimbalzò sulle acque del fiume e tornò a loro, rendendoli consapevoli di essere di nuovo – e forse per la prima volta davvero – in sintonia.
Ridere. Ridere insieme. Un aspetto tanto semplice quanto meraviglioso. Lo avevano mai fatto, prima?
Rimasero distesi sul terreno per alcuni minuti, placando l’ilarità ma non il sorriso.
«Comunque ti ho presa»
«Solo perché te l’ho permesso»
Mark voltò la testa, ritrovandosi a fissare il profilo di lei da vicino. «Ah sì?»
La guardò annuire, poi voltò di nuovo il capo e rimase sdraiato vicino a lei a fissare il cielo azzurro di aprile.
C’erano molte cose da dire ma nessuno dei due pronunciò una sillaba. Il silenzio che seguì si riempì di quiete, e forse era proprio questa quiete ciò di cui avevano bisogno.
«Mark?»
«Mh?»
«Perché mi chiami per nome?» disse Kira d’un tratto.
«Perché mi va. Ti dà fastidio?»
Kira alzò le spalle. «Non troppo»
«Anche tu mi hai appena chiamato per nome» le fece notare lui.
Fu il turno di Kira di voltarsi e fissare il profilo di Mark, il viso serio e l’espressione impenetrabile. La ragazza si stupì di quanto fosse stato facile e naturale pronunciare il nome di lui. Solo il nome. Forse non avrebbe dovuto.
«Tutti quegli onorifici mi danno a noia» continuò Mark, portando le braccia dietro la nuca. «Perché una persona non può usare il tuo nome e basta?»
«Non hai torto. Ma a me mette un po’ a disagio non usarli. Nessuno mi chiama per nome eccetto i miei genitori»
«Le tue amiche non ti chiamano per nome?»
«Non sempre»
«Ti mette a disagio perché non siamo amici, vero?». Sentendosi osservato, Mark tornò a guardarla. «Se non vuoi non lo farò più»
«No. Non è per quello». Kira si mise a sedere. «Anzi, forse sì. Non lo so. Il fatto è che con te non ci vorrei parlare. Eppure lo faccio»
«Lo so. Non puoi farne a meno». Anche per lui era lo stesso. Era riuscito a evitarlo fino a quel momento, ma quando si trovava con lei c’era qualcosa che…
Ed aveva parlato di un legame.
Kira lo fissò con un misto di confusione e di irritazione. Dando quella risposta, era come se Mark sapesse di essere stato il centro dei suoi pensieri per lunghe settimane. Afferrò una manciata di foglioline dal terreno, lanciandogliele contro.
«Non fare lo sbruffone»
Per proteggersi dall’attacco, Mark rotolò di fianco dandole la schiena. Voltò solo la testa per rivolgerle uno sguardo interrogativo.
Kira alzò il mento, assumendo un’aria strafottente. «Non credere di essermi mancato»
«Chi ha detto niente?» Mark si tirò su a sedere spalla a spalla con lei. «Nemmeno a me sei mancata»
«Per l’appunto»
«Al contrario, sto per rimpiangere i mesi tranquilli trascorsi senza di te. Ma ora che ti avrò accanto ogni giorno sarà un incubo»
Kira giocherellò con i fili d’erba passandovi una mano sopra ripetutamente. «Mi…dispiace per…ciò che ti ho detto quella volta»
Lui non fiatò.
Un piccolo pesce balzò fuori dall’acqua attirando la loro attenzione. Osservarne l’ombra guizzante sotto la superficie limpida fu di comodo per non essere costretti a guardarsi.
«Sono stata perfida» ammise finalmente lei. Non avrebbe voluto essere la prima a scusarsi, ma se avesse atteso ancora a lungo tanto valeva aspettare in eterno. Si disse che doveva fare la persona matura e prendere l’iniziativa. «Ero arrabbiata perché avevi offeso una mia amica. Ma a pensarci bene, la colpa non è stata solo tua. Non pensavo quello che ho detto. Non mi servivi per la bici»
«Sì, ho capito». Mark distolse lo sguardo dall’acqua. Il pesce era scomparso.
Kira era sincera, Lo capì.
«Va bene, dai. Non c’è bisogno». Mark si rimise in piedi in fretta, liquidando le sue parole con un gesto della mano. «Sei stata un po' stronza e dovrei detestarti a morte»
Lei lo guardò dal basso. «Ma non mi detesti»
«Nemmeno tu»
«Già. No». Kira si mise in piedi di fronte a lui. «Ho deciso che non mi va più di fare la sostenuta. So di non avere un bel carattere. So di parlare troppo, a volte; di creare casini e di essere strana. Ma sono fatta così»
«Bè, se è per questo nemmeno io ho un carattere facile, lo riconosco» Mark emise uno sbuffo sprezzante. «Dovremo sopportarci»
Kira non poté credere che proprio lui gliela stesse dando vinta. Pensava avrebbero litigato sul chi avesse ragione o torto, su che lei era una svampita infantile e lui un gorilla senza pelliccia. E invece no.
Lo osservò camminare in direzione della bicicletta, raddrizzarla e appoggiarsi il manubrio quasi l’aspettasse.
«Sembra tutta intera» le disse Mark. «Muoviti, riportala su. Io vado a prendere il pallone»
Kira tentò di non sorridere mentre lo raggiungeva e saltava in sella, aspettando che recuperasse la palla finita da qualche parte in mezzo all’erba.
Risalirono il breve tratto di pendio e lei ricominciò subito a chiacchierare come se nulla fosse mai accaduto.
In quanto a Mark, non ci fu pericolo che sfoderasse un sorriso che fosse uno. Ma dentro di lui una ferita fu sanata.
 

 
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Note:
 
1- Il ‘Lutz’ è uno dei sei salti del pattinaggio artistico, il secondo in ordine di difficoltà. Si esegue pattinando all'indietro sulla gamba sinistra, inclinando il pattino sul filo esterno (piede inclinato in fuori), si compiono due o tre rotazioni in aria e si atterra sempre sul filo esterno ma del piede opposto a quello di partenza. Nella gif un triplo Lutz.

2- Nelle scuole giapponesi si usa rimescolare le classi all’inizio di ogni anno scolastico per permettere maggiore interazione tra gli studenti.
 
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-Spazio Autrice-

Ed eccoci al secondo capitolo promesso 😊 Spero di avervi fatto contente.
Da qui inizia una nuova parte che ci porterà ad approfondire il rapporto tra Mark e Kira in maniera diversa. Crescono, e l’introduzione di nuovi personaggi porterà tanti casini!  Innanzitutto, tenete d’occhio il ragazzo misterioso che si è scontrato con Kira all'inizio del capitolo, e ricordatevi di Milly... Per un anno i ragazzi non hanno più interagito tra loro, dopo il "fattaccio", ma ora... chissà. 😁
 
Ringrazio tutte voi che leggete, votate, commentate e aggiungete la ff ai vostri elenchi di lettura.

Infine, come sempre vi invito sul mio gruppo Fb Chronicles of Queen e sulla mia pagina Instagram susanthegentle_efp.

Un abbraccio e un in bocca al lupo a chi lunedì ricomincia la scuola.

C💖
 

HARU NO TOKI- Il tempo della primaveraDove le storie prendono vita. Scoprilo ora