Prologo

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La fine della Seconda Guerra Magica era stata, per Draco Lucius Malfoy, al tempo stesso una liberazione e una condanna.

Aveva dovuto lottare con le unghie e con i denti per la sua famiglia e per il suo nome. Non che gliene importasse molto, del nome, non dopo la guerra, ma dei soldi e del patrimonio dei Malfoy sì: era ancora abbastanza ingente, anche dopo i pagamenti e le confische dovute alla guerra. Ciò grazie all'aiuto insperato del Bambino Sopravvissuto, che durante i processi magici aveva testimoniato in favore suo e di sua madre. Entrambi erano riusciti a non essere rinchiusi ad Azkaban, cosa invece impossibile per Lucius Malfoy.

Draco sentì che il vento gelido di Dublino gli stava sferzando il bavero del lungo cappotto di sartoria. Vestiva di nero, perché quel colore lo faceva sentire invisibile, come un'ombra in grado di mimetizzarsi, ma in realtà la sua figura magra e altezzosa girava per quel quartiere babbano come un drago in un recinto magico. Come in un flash rivide l'Ungaro Spinato che Potter aveva affrontato durante la prima prova al torneo Tremaghi.

Questo raro tipo di drago è nominato così a causa delle lunghe spine che ricoprono gran parte del suo corpo. Notoriamente aggressivo, è dotato di una testa pesante, con enormi fauci contornate da una chiostra di denti lunghi e affilati come rasoi, e può sputare fuoco fino a quindici metri di distanza. Lungo fino a otto metri e mezzo negli esemplari più grandi, e pesante da due a tre tonnellate, l'Ungaro sfrutta la lunga e possente coda come timone. Ha squame nere, occhi gialli, corna bronzee, e le sue uova sono di color cemento e particolarmente dure. Si nutre di pecore, capre e, quando possibile, umani. Un animale selvaggio, possente e pericoloso.

Così voleva sentirsi Draco, come non si sentiva più dal suo sesto anno ad Hogwarts. Era approdato a Dublino, capitale della Repubblica d'Irlanda, sulla costa orientale, alla foce del fiume Liffey, dopo la tormentata estate del 1999, durante la quale aveva deciso che la comunità magica inglese non faceva per lui. In quei suoi primi giorni da turista aveva scoperto che gli edifici storici più importanti della città erano il castello di Dublino, risalente al tredicesimo secolo, e l'imponente Cattedrale di San Patrizio, fondata nel 1191.

Inoltre Dublino era piena di parchi, che comprendevano anche il paesaggistico St. Stephens Green e l'enorme Phoenix Park, all'interno del quale si trovava lo Zoo di Dublino. Infine c'era il Museo nazionale d'Irlanda, che documentava il patrimonio culturale del Paese. Non che Draco avesse passato il tempo in quel museo... o forse sì, ma di tempo ne aveva anche troppo e, in attesa che una impresa di ristrutturazione in parte babbana sistemasse il vecchio loft dei suoi nonni paterni, in uno dei pochi quartieri al confine della Dublino magica, aveva dovuto necessariamente fare qualcosa. Passeggiare e visitare quella città dove aveva deciso di vivere gli era sembrata una buona idea.

Certo, andarsene dalla Londra magica era stata una decisione sofferta e tormentata; farlo tagliando di fatto i ponti con tutti lo era stato altrettanto, ma Draco aveva capito che era giunto il momento. Blaise, Theodore e Pansy avevano pensato a lui, gestito le sue crisi e i suoi scleri per un anno intero, preso insulti per lui e reagito a chiunque lo avesse infastidito. Draco era grato ai suoi amici, ma ormai era tempo di cambiare. Di evolversi. Aveva preso in mano le redini delle proprietà dei Malfoy e aveva scoperto di poterle gestire tramite un Magiavvocato, che in passato aveva aiutato pure suo padre; e poi a fare le veci del capofamiglia restava sempre sua madre. Aveva infine rotto il suo contratto prematrimoniale con i Greengrass, anche forte del fatto che né Dafne né Astoria volevano sposarsi così presto, e aveva deciso di vivere lontano dalla comunità magica.

Potendo scegliere, si era rifugiato nel mondo che per tanti anni aveva disprezzato. L'unica cosa che gli rimaneva da fare era coprire il Marchio Nero, perché, da quando era stato segnato, il suo braccio era come un ferro rovente. Draco non riusciva proprio a darsi pace, e non soltanto per il dolore provato.

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