14. Smile

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ANDREA'S POV

"Grazie, Andrea"

Spengo il telefono e vado a darmi una rinfrescata in bagno. Mi sono svegliato con il messaggio di Beatrice e non potrei esserne più felice. Ha bisogno di vedermi; ha bisogno di vedere me, e non mio fratello. E anche se avesse chiamato Nicola, lui non avrebbe risposto questa notte; troppo occupato con la sua nuova conquista: Ilary. La luce rossa del primo sole comincia a sovrastare l'intera camera e scendo sotto in cucina per preparare il caffè. Fortunatamente i nostri genitori affidatari sono sempre via per lavoro, così evitiamo di averli tra i piedi. Ricontrollo il mio vestiario: jeans scuri, maglietta azzurra e scarpe della nike.

Accendo il gas e preparo due tazzine. Mi appoggio al ripiano e cerco di capire il problema di Bea: forse ha visto Nico con Ilary e verrà a farsi consolare dal santo fratellino. Stringo i pugni. Non riesco a sopportare il fatto di essere il secondo, lo scarto. Il suono del campanello mi risveglia dai miei pensieri e vado ad aprire.

È peggio di quanto pensassi.

I suoi capelli sono ancora arruffati e le sue guance sono bagnate. Indossa soltanto un maglione bordeaux e un paio di jeans leggeri. Ha lo sguardo abbassato ed evita qualsiasi contatto con i miei occhi. La invito ad entrare e lei finalmente mi guarda. I suoi occhi verdi sono gonfi e rossi e si asciuga con una mano le guance zuppe. Entrata in casa, chiudo la porta e quando mi volto verso di lei, si avvicina e sprofonda fra le mie braccia. Comincia a singhiozzare sulla mia maglietta e io la cingo con un braccio. Il calore del suo corpo contro il mio mi mozza il fiato, ma cerco di darmi un contegno. Le liscio i capelli biondi che sanno di shampo alla fragola e appoggio il mio mento sulla sua testa. Le sue mani mi circondano la vita e respira irregolarmente. Quando smette di piangere, si allontana senza guardarmi e si siede sul divano. Ancora confuso, torno in cucina a versare il caffè nelle tazzine e le porto entrambe in salotto. Non abbiamo ancora fiatato, eppure mi trovo bene in questo silenzio. Mi trovo bene qui con lei.

-Ti ho svegliato?- mi domanda, prima di bere un sorso di caffè.

Sorrido in imbarazzo -È stato un bel risveglio- ammetto.

Incrocia i miei occhi e mi perdo in quel verde speranza. Chiude le palpebre per qualche secondo e intravedo la stanchezza dovuta al sonno. Gli occhi rossi cominciano a sbiadirsi e le sue mani tremano nel tenere la tazzina. Quando finiamo il caffè, lei poggia la tazzina sul tavolo e tira su le gambe per abbracciarle con le sue braccia. Chissà cosa avrebbero detto i miei genitori per le scarpe sul divano. Mi avvicino a lei e le asciugo una lacrima sullo zigomo. Pochi centimetri distanziano il suo viso dal mio e il suo sguardo sembra tutt'altro che attento. Pare vuota, spenta, ed io voglio sapere che cos'è che la turba.

Ammorbidisco le labbra secche. -Che succede?- dico tutto d'un fiato. Non voglio forzarla, perciò aspetto qualche minuto prima che lei parli.

Comincia a raccontarmi della sua infanzia, del suo passato. Non la interrompo per tutto il discorso, eppure sorgono molte domande nella mia testa. Mi racconta del parco, dei gatti neri, di Thomas. Ogni tanto singhiozza, ma vuole assolutamente continuare senza perdere il filo. Mi dice anche di non essersi mai confidata con nessuno, nemmeno con i suoi; da quando successe l'incidente i genitori non le rivolgevano molto la parola. La madre era obbligata, visto che aveva la custodia piena dopo il divorzio, ma non erano discorsi da "madre". Si limitavano a monosillabi, frasette di cortesie con gli ospiti, tanti odiati da Beatrice, e quel "buon appetito" così forzato. La mia mano raggiunge la sua, ancora bagnata dalle lacrime, e gliela stringo. Voglio che abbia qualcuno col quale confidarsi, qualcuno che io non ho mai potuto avere. Io e mio fratello abbiamo trascorso anni prima di ricominciare ad aver un rapporto. Eppure ora lei ha me, e non la abbandonerò nel dolore. Non la lascierò affogare in quel mare di ricordi, che anni prima mi annegò. Continua a descrivermi suo fratello, il suo carattere, la sua personalità. E a volte ride, persa in quei ricordi divertenti e familiari. Mi mordo il labbro, frenando il desiderio di baciarla.
Non ora, stupido.

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