Capitolo Dieci

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Quell'assaggio al vetriolo le aveva conciliato il sonno. Shawn aveva dormito in un'altra stanza. Credeva fosse meglio restare separati visto che la mattina avrebbe dovuto conservare tutte le sue forze. Camila non lo contraddisse. Avrebbero impiegato tutto il giorno a ricontrollare il piano, a definire gli ultimi dettagli e poi, con il favore della notte, sarebbero entrati ed usciti senza problemi.

Camila stava pensando al fischio delle pallottole, a quanto le era battuto forte il cuore durante il suo compleanno, e a quanto assurdo fosse che qualcuno fosse disposto a sfidare la sorte di proposito. Come svegliare il can che dorme. Pensò che restando a letto non sarebbe stata sfiorata dalla baraonda di quella giornata, ma i passi frenetici nel corridoio e le voci concitate sgattaiolavano anche sotto lo spiraglio della porta e non avevano pietà dei suoi sogni.

Attese che i rumori dall'altra parte si attenuassero prima di sgusciare in bagno, ma mentre tendeva le orecchie, concentrata, sobbalzò per lo squillo improvviso e altisonante del telefono. Chi altri poteva essere se non Dinah?

«Ehi, come...»

«Perché non mi hai detto che era il tuo compleanno?» Perché è un giorno che detesto, e la mia festa si è trasformata in una sparatoria.

«Perché non sono solita festeggiare.» Non era una bugia in piena regola, considerando gli ultimi diciassette anni. Anzi, forse quelli erano stati anche migliori dell'ultimo.

«Mila, scusa se te lo dico, ma a volte parli come una cinquantenne in menopausa. Una torta non ha mai ucciso nessuno!» Una torta forse no, ma un proiettile glassato...

«Si, hai ragione,» il corridoio era sgombro, perciò poteva attraversare senza essere vista in déshabillé. «È solo che non ho avuto molto tempo, in più c'è l'esame di matemtica a breve...» Il mio ragazzo sta per assaltare un magazzino con un mitra. Chiuse la porta alle sue spalle, riprendendo fiato. Aveva più paura di esser vista col pigiama che di affrontare di nuovo un bossolo.

«Niente scusa. È il primo compleanno che possiamo celebrare assieme, dovresti farlo anche solo per questo.» Si stava giocando quella carta dunque. La regina del vittisimo, il re del contrimento, l'asso dei sensi di colpa. Era sicura avesse una carriera nel mondo del poker. «Stasera ti porto fuori, è deciso.»

«No, stasera no! Non posso perché...» perché sarò troppo in ansia per Lauren. Aspetta, no. Non per questo!

«Perché ho una cena di famiglia.» Per primo piatto serviamo pallottole al forno, come secondo esplosivi al contorno di dinamite, e per dessert un ammazzacaffè ak-47. Il suo subconscio quella mattina era più carico di tutta la squadra messa insieme.

«Va bene, allora facciamo domani.» Ci teneva davvero, e questa per Camila era una novità. Avere un'amica che non si dava per vinta finché non la sradicava dal divano, e temeva che con i suoi rifiuti l'avrebbe offesa irreparabilmente, ma suo padre non le avrebbe mai permesso di spostarsi in città come una normale ragazza della sua età. Così trovò un compromesso.

«Ah, sai cosa? Pensavo... Mi piacerebbe fare qualcosa di diverso per il mio compleanno, sai no?» Sperava di sì, perché lei non aveva idea di dove stesse andando a parare.

«Qualcosa di più adrenalinico che strusciarsi fra i feromoni a tempo di musica?» Descrizione accurata, accento ancora di più.

«Esatto, sì. Vorrei un'attività più di nicchia, ma comunque divertente e quindi ho.. Ho chiesto a, a, uhm, a Lauren di accompagnarci al paintball. Ehm.. Sorpresa.» Ti prego dimmi che non è vero. Spremette gli occhi, mordendosi la lingua. Sperava fosse una punizione esemplare per la prossima volta.

«Ma che figata! E che figa. Si, vengo.» Concordò senza esitazioni.

Dinah si prolungò in chiacchere, ma i suoni monocrde da parte della cubana furono l'unica presenza che riscosse. Camila non era tanto preoccupata per l'attività in sé, quanto per il dover chiedere un favore a Lauren. Si schiarì le idee sotto la doccia, mentre scendeva al piano inferiore era anche convinta del discorso che aveva modellato, ma quando si piantò davanti alla corvina, seduta al bancone della cucina, ritenne le sue parole solo insulse banalità.

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