Capitolo Undici

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Shawn sentiva meno dolore se erano le mani di Camila a guarirlo. Aveva preso diversi pugni in vita sua, ma solo uno con una spranga di ferro, ed era stata la sera prima, o la mattina prima... Nessuno dei due sapeva bene distinguere il tempo o scandire gli eventi. Il giorno era ancora buio anche quando erano tornati, perciò forse lo si poteva considerare ancora notte. Era facile mischiare la luce e il buio, ma era impossibile confondere un istinto. E non erano le ore il suo pensiero fisso, ma una corsa che aveva annunciato la sua libertà più di qualunque momento prima di allora.

«Se non stai fermo ti farò male.» Più di così, tanto. Quelli erano i momenti in cui era contenta che Shawn non avesse ambito ad una carriera cinematografica, non voleva sapere quanto angosciante sarebbe potuto essere rattoppare una mascella d'oro.

«Tranquilla, mi stai già facendo male.» Sorrise, ma non riusciva a guardarla senza distogliere lo sguardo.

Ormai era chiaro che la domanda aleggiava nell'aria più zampillante del taglio, che continuava a riaprirsi. Evidentemente Camila non era brava con le suture, era più portata per creare ferite che ricucirle.

«Non sapevo che tu e Lauren foste amiche.» Alla fine non aveva avuto neanche il coraggio di prendere le redini della tensione. Voleva farlo, ma aveva comunque aspettato troppo.

«Non lo siamo.» Giusto? «Ero molto stanca, e anche preoccupata. Ho abbracciato anche Lucy!» E mi è costato caro, quindi spero almeno te lo ricordi.

«L'hai abbracciata dopo, Camila.» Quel pestare sulla parola seguito dallo sguardo eloquente non ammisero fraintendimenti.

Il sospiro della cubana era solo un modo come un altro per temporeggiare, ma Shawn questo, forse per la botta in testa, non lo intuiva. «Che male ci sarebbe se anche fossimo amiche?» Ti prego dammi un buon motivo almeno tu!

«Quella ragazza non mi piace, Mila. Dovunque ci sia lei ci sono dei guai in arrivo.» Non sapeva se concentrarsi sulle labbra o sul taglio tremante, entrambi arginavano un fiume in piena, solo che uno si poteva fermare, nell'altro solo annegare.

«Shawn,» si alzò dal pavimento dove erano seduti, si guardò in giro nella stanza in cerca di una risposta che le sue incertezze non sapevano darle. Le pareti bianche e spoglie, però, non avevano mai rappresentato meglio il suo stato d'animo. «Lauren passa tanto tempo in questa casa, credo sia meglio esserle amica che nemica. Mio padre si fida ciecamente di lei, perché non puoi farlo anche tu?»

«Ecco, esatto!» Le vertigini non parvero scuoterlo mentre guizzava in piedi, rincorrendo le iridi evasive della cubana. «È cieco tuo padre. Non diventarlo anche tu.» Allora perché sento di aver aperto gli occhi solo ora? Se solo il suo sorriso avesse potuto parlare, forse quella carezza non sarebbe sembrata così dolce.

«Va bene,» non era mai stata così grata dell'andazzo tumultuoso. «Mi sa che anche i tuoi amici hanno bisogno di una mano con la sutura.»

«Mi sa che potrai aiutarli poco.» Il dissapore era già un brutto ricordo contro le labbra di Camila, ma lo sarebbe rimasto per poco. La cubana scese dalle punte e lasciò prima il bacio di quanto pensasse. La sua mano era già sulla maniglia e quando l'uscio si aprì Shawn parve aver dimenticato la morbidezza candida della cubana e aver ritrovato rapidamente la durezza irriducibile del volto.

Camila intravide Lauren con la coda dell'occhio e, prima che i passi del ragazzo si trasformassero in una minaccia, poggiò le mani sulle sue spalle, ma invece della sua bocca stavolta gli spettava solo un'occhiata ammonitrice. Shawn strinse i denti, dimentico anche della ferita, e in un sospiro greve represse tutto, portandoselo via in lunghi passi tonanti. Camila si occupò di alcuni ragazzi con lesioni lievi, quali graffi sulla schiena, lividi sulle ginocchia o sulle spalle, tagli sugli avambracci o sulle labbra, e doveva dire che quando non si trattava di guadare negli occhi i suoi sensi di colpa svolgeva un lavoro più o meno efficiente. 

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