Capitolo Trentadue

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«Vorrei essere migliore di così.» Aveva come il presentimento che pentirsi era l'unica soluzione che le restava di ogni sua decisione.

«Sei stata molto brava, invece.» Lucy ridacchiò, gattonando fino al promontorio delle sue spalle per baciarle.

«Lucy, per favore.» Si girò parzialmente, ma bastò per allontanarla.

La ragazza sospirò seccata, affondando la schinea nel cuscino dove fino a poco prima immergeva la nuca sudata. «Non capisco perché fai così.»

«Non avremmo dovuto farlo, e lo sai.» Voleva incolparla perché era stata lei a sedurla, era stata lei a confortarla, era stata lei a farla sentire ancora leggermente voluta dopo tutti i rifiuti che doveva ancora metabolizzare. Ma erano state le sue mani a toglierle la maglietta per prima.

«Lauren, io non sono più innamorata di te. Se vuoi andartene, puoi farlo. Ti ho solo aiutata a sentirti meglio.» Lucy aveva capito che non era standole col fiato sul collo che avrebbe ottenuto ciò che le aveva dato quella notte. Solo dandole ciò che voleva, l'indifferenza, si sarebbe avvicinata più spesso, e forse solo così l'avrebbe finalmente guardata con occhi diversi.

«Io mi sento solo una merda.» Ma invece la corvina si alzò dalla sponda del materasso e raccolse la t-shirt, coprendo l'addome tonico proprio come ogni altra volta.

«Siamo amiche, Lauren. È questo che fanno le amiche quando si trovano in difficoltà. Si aiutano.» Espirò un ricciolo di fumo, lasciando scoperto di proposito il seno mentre la corvina la guardava contrariata per ciò che aveva appena detto.

«Io non credo che le amiche facciano questo le une per le altre.» Ma nonostante stesse scuotendo la testa, Lucy continuava a sorridere.

Inforcò la sigaretta fra le dita, si avvicinò alla corvina e risolse il suo broncio infilandole il mozzicone fra le labbra e le braccia attorno alla nuca. «Ma io e te non siamo mai state solo amiche.» Quando Lauren ebbe inalato, Lucy le tolse la sigaretta dall'angolo della bocca. Si aspettò almeno l'ombra di un sorriso, ma la corvina persisteva a fissarla come se provasse solo rimorso per lei. Non voleva ferirla, ma alla fine riusciva a fare solo quello. Ci teneva a lei, in un modo diverso però dal sesso, ma Lucy era sempre lì quando ne aveva più bisogno e le sue carezze la consolavano sempre. Era l'unica capace di amarla nonostante tutte le cicatrici che le aveva lasciato, e questo talvolta le offuscava la vista, specialmente se era già annebbiata dalle lacrime. E lei aveva bisogno di essere amata più di quanto ammettesse.

«Devo andare da Alejandro.» Abbassò gli occhi per non registrare il secondo sguardo deluso nel giro di ventiquattro ore.

«Tra poco sarà tutto finito. Avremo i soldi e scompariremo. Non vedo l'ora.» Le poggiò una mano sulla guancia, riassumendo tutti i desideri che forse i suoi gemiti non riuscivano a trasmettere.

«Si, certo.» Si allontanò dalla stanza sapendo bene che non esistevano mete in grado di cancellare ciò che avrebbe lasciato indietro. 

Varcare la soglia della villa era ogni mattina più rischioso, e lo sapeva bene. Aveva spostato la fondina della pistola da un passante all'altro, trovando il più comodo in caso l'agilità fosse stata l'unica alternativa in grado di salvarla. Si rendeva conto che era un po' come combattere le bombe con i guanti, perché lei e la sua squadra avrebbero dovuto fronteggiare una potenza di fuoco nettamente superiore alla loro. Eppure non emetteva un sospiro più greve quando calpestava il pavimento su cui avrebbe potuto morire, semplicemente svolgeva il suo lavoro, aspettando il fatidico giorno. Chris e gli altri erano pronti, ma Alejandro stava ancora ridefinendo i dettagli. C'era sempre qualcosa che non lo convinceva, un particolare da rivisitare. La paranoia riempiva il bicchiere che trangugiava sotto forma di whisky. La sua reputazione era appesa ad un filo.

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