Beccata

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Il resto della settimana era trascorsa senza che, per grazia divina, avessi dovuto rimettere piede in casa Sodini.

Quel sabato mi sarei presa tutta la giornata per me stessa, merito di una meravigliosa circolare del giorno prima per la quale non sarei dovuta andare a scuola.

Avevo bisogno di recuperare le energie dopo soli tre giorni di lavoro.

Avrei sfidato chiunque ad avere a che fare con Tom Riddle.

Quante baby sitter aveva già fatto scappare per esaurimento nervoso?

Immaginavo che la lista fosse molto lunga, ma non avrei permesso a quel piccolo topo di fogna di spuntare anche il mio nome.

Finii di sistemare l'ultimo cuscino sul letto e mi soffermai a controllare che tutto, nella mia stanza, fosse in ordine.

Avevo scelto dei colori rilassanti per arredarla. Al settanta percento era tutto bianco: le pareti, la scrivania, l'armadio, la testiera in ecopelle del letto e vari accessori come le lucine a forma di rosa che avevo attaccato alla parete contro cui era poggiato il letto.

Così la notte, quando avevo bisogno di un po' di luce, mi bastava accedere quelle per percepire tutto il calore del mio angolo di pace.

Per il resto imperavano il rosa e l'oro.

Il morbido tappeto che campeggiava al centro della stanza era rosa, così come la sedia girevole della scrivania e la poltroncina pelosa nell'angolo. Qualche oggetto qua e là sulle mensole, poi, riprendeva tutti e tre i colori.

Adoravo la mia cameretta, ed avevo speso tanto tempo per riuscire a realizzarla, almeno due anni.

Quando ritenni che fosse tutto pulito e in ordine, raggiunsi mia mamma in cucina.

Lei si voltò a guardarmi sorpresa. << Ti sei già alzata? Potevi stare ancora a letto, sono solo le otto e mezzo. >>

Assomigliavo molto a mia mamma. Avevamo gli stessi occhi castani e lo stesso colore di capelli, solo che i suoi erano lisci e corti, mentre i miei mossi e lunghi.

Eravamo alte più o meno uguali, la superavo solo di qualche centimetro.

Corrucciai le labbra. << Non avevo più sonno >> dissi mentre mi allungavo per afferrare la mia tazza di Frozen.

A diciotto anni avevo la tazza di un cartone animato, mi toccava ammetterlo. Ma era troppo carina, perciò non avevo resistito all'impulso di portarla come me fino alla cassa. E poi, come per magia, i miei soldi nel portafoglio erano spariti e lei era finita nel sacchetto.

<< Io tra poco esco, lavoro anche oggi >> mi fece presente lei con un breve sospiro. << Tu che fai di bello? >>

La guardai dispiaciuta. << Avevo pensato di stare con te. >>

Mia mamma faceva le pulizie nei condomini e nelle case. Lavorava sodo ogni giorno per permetterci di avere uno stile di vita modesto e dignitoso.

Era stato proprio quello, il suo costante sacrificio, a spingermi a cercare un impiego che al tempo stesso mi consentisse di dedicarmi alla scuola.

Volevo aiutarla con le spese e alleggerirle il carico, così prima o poi avrebbe potuto concedersi di rifiutare una giornata di lavoro per riposarsi e dedicarsi a sé stessa. 

Il mio più grande motivo di gioia era vederla felice.

Avrei fatto di tutto per lei, così come aveva sempre fatto lei per me.

Mi fece una carezza sulla schiena e mi scoccò un bacio sulla guancia. << Domani non lavoro, oggi però esci con le tue amiche. Non voglio che tu stia a casa tutto il giorno. >>

Trouble-sitterDove le storie prendono vita. Scoprilo ora