Mai Una Gioia

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Lunedì pomeriggio, martedì e mercoledì erano stati un incubo.

Il caro, piccolo ed angelico Tommaso me ne aveva combinata una dietro l'altra.

Lunedì, ad esempio, ero stata tanto sciocca da assecondare il gioco partorito dalla sua mente diabolica.

Lui e Irene mi avevano fatta distendere sul divano e, assicurandomi di usare la penna con l'inchiostro simpatico, mi avevano dipinto la faccia.

L'idea di riposarmi un po' su quel comodo divano non mi era apparsa tanto malvagia, così, ingenuamente, avevo acconsentito.

Inoltre avevo espressamente chiesto ai bambini di mostrarmi la loro penna magica, che avevo riconosciuto essere uguale a quella che tenevo sulla mia scrivania.

Mi ero fidata come una polla.

Il marmocchio aveva visto bene di sostituire l'inchiostro invisibile con uno nero.

A fine turno mi ero presentata davanti a Sorcio Sodini con un paio di bellissimi baffi, un appariscente pizzetto, delle lacrime a cascata sotto agli occhi e la dolce scritta befana sulla fronte.

Ignara delle condizioni della mia faccia mi ero persino risentita quando il sopracitato era rimasto a fissarmi per qualche secondo, per poi strozzarsi con una risata mentre si defilava nel corridoio.

Inutile descrivere le espressioni della gente che mi aveva vista camminare per strada.

Ebbene sì, perché quel demente di Sodini non si era premurato di avvertirmi. Mi aveva lasciata uscire da casa sua in quelle pietose e ridicole condizioni.

Un animo davvero cavalleresco il suo.

Giunta a casa ero corsa in bagno per guardarmi allo specchio.

Per una serie indefinita di istanti, probabilmente per lo shock, non avevo mosso un muscolo. Successivamente avevo lanciato un urlo misto ad un ringhio di rabbia e mi ero fiondata in camera per prendere a cuscinate il mio letto, immaginando fosse Sodini.

Quella sera avevo sprecato quasi un'ora a lavarmi il viso, riducendomi ad una faccia paonazza.

Se non altro, meditai giovedì mattina, un'altra settimana stava per volgere al termine.

Mi strinsi nel cappotto mentre procedevo verso la scuola, i palmi sudati per l'ansia che la Fantucci potesse restituire i compiti.

Quella faina era velocissima a correggere le verifiche, secondo molti perché godeva nel trovare errori e nell'elargire brutti voti.

Non contavo di aver preso la sufficienza, non potevo aspirare a tanto dopo aver tentato di risolvere i problemi, ma almeno avrei abbassato la media del mio caro amico.

Varcai il cancello e camminai spedita lungo il viale, avvistando Sodini e compagnia con la coda dell'occhio.

Mi scappò un sorrisetto vittorioso.

Avevo poco di cui rallegrarmi, in effetti, dato che il pessimo voto me lo sarei beccato lo stesso, ma il pensiero di poter nuocere a quel demente mi elettrizzava.

Un po' di giustizia, perbacco.

Le prime due ore passarono senza complicazioni dato che a letteratura italiana aveva spiegato e ad arte pure.

Al termine della seconda ora volai in bagno, incrociando quello stupido di Sodini nell'atrio del primo piano che si recava al laboratorio di chimica.

Evitai di concedergli il lusso di una mia occhiata.

Mi parve solo di scorgere un angolo della sua bocca incurvarsi mentre gli passavo accanto, ma non gli diedi importanza.

Trouble-sitterDove le storie prendono vita. Scoprilo ora