"Ciao...".
"Ciao Stefano! Tutto bene? ".
"Mhhh, più o meno... sono un po' scosso... per via dell'ultimo sogno...".
"Ah! Scosso addirittura? Ma... dimmi, un sogno ancora a sfondo sessuale?".
"Non stavolta. Eppoi non ho mica il chiodo fisso!".
"Ok, ma sai che gli uomini pensano al sesso dalle 18 volte al giorno in su? Non parlerei di chiodo fisso, anche se...".
"18 volte? Più imparo cose e meno mi sento uomo... sarei curioso di saperne di più al riguardo, in particolar modo a quante volte ci pensate voi femmine, come, in che modo... ma soprassediamo ok? Nel mio sogno... mhhh... ".
"... Nel tuo sogno?... Ehi Stefano... ci sei? Cos'hai sognato?".
"Ho sognato... ho sognato la mia morte".
"... ok Stefano. Stai calmo e siediti, mettiti comodo... ti ascolto".BANDIERA BIANCA
Premessa
Era il momento più bello del giorno più bello dell'anno, degli ultimi quindici a questa parte.
Aveva una data incostante ma cadeva quasi sempre nel mese di luglio ed era preceduto da un altro momento magico, cioè quando seduto al volante della Toyota Aygo stipata al limite della capienza l'uomo faceva girare la chiave del motorino d'accensione e azzerato il contachilometri con la famiglia partiva per le tanto agognate ferie estive, due settimane da godere al mare di Cittanova d'Istria, detta altrimenti Novigrad, in Croazia.
Era proprio il dolce suono del motore appena avviato a sancire l'inizio della vacanza tanto attesa, il giusto premio a un altro anno di lavoro impegni seccature e problemi ma, quantomeno, bilanciato dalle gioie, grandi o piccole e quotidiane che fossero. Prima fra queste in assoluto la famiglia, composta da due figli belli sani svegli e la moglie, bella oggi come il giorno in cui si scambiarono il primo bacio, tanto stupenda da indurlo a chiedersi, a volte, cosa avesse di unico o quantomeno speciale perché lei avesse scelto lui come compagno di vita.
Non era dispiaciuto di essere il solo in casa a essere dotato di patente in quanto i 500 chilometri che li separavano dal mare erano parte integrante e tutta da godere della vacanza stessa e amava percorrerli senza fretta. Muniti di vettovaglie e musica, oltre della loro stessa compagnia, il viaggio era di per sé quanto di più piacevole e affatto stancante, e quando il resto della comitiva se la dormiva era la radio a tenergli compagnia.
Anche stavolta giunsero alla meta. L'uomo era ovviamente e fortunatamente all'oscuro che per lui sarebbe stata l'ultima volta.La storia
Il mattino seguente al nostro arrivo mi sveglio in una stanza che non riconosco immediatamente, ma passato l'attimo di smarrimento realizzo con entusiasmo dove io mi trovi. Ossia, nel letto matrimoniale dell'unica camera nell'appartamento che ci ospita, da anni il medesimo. La luce che penetra dagli scuri, la bianca zanzariera a baldacchino sopra il letto e l'odore stesso dell'ambiente mi sono oramai familiari.
Ma nel letto sono solo e in casa regna il completo silenzio.
Mi alzo, e varcata la soglia lo sguardo va subito all'enorme divano letto della stanza principale dove giacciono i nostri figli, immobili. Parrebbero senza vita non fosse per il ritmico sollevarsi del petto nel palesemente beato sonno profondo. Meravigliosi pigroni che non possono fare a meno di strapparmi un sorriso.
In quell'istante la porta d'ingresso si apre ed ecco mia moglie, radiosa, con in mano l'inconfondibile sacchetto di carta del panettiere. Ci diamo un bacio, i ragazzi rotolano fuori dal letto e dopo le abluzioni di tutti con la colazione pronta ci accomodiamo nell'accogliente terrazzo fornito di tavolo sedie e ombrellone, utile non dovesse bastare l'ombra dell'imponente albero del giardino sottostante, a cui è appesa un'artigianale altalena gialla. Caffè cappuccino succo di frutta pane burro e marmellata yogurt e cornetti per riempire lo stomaco che solo stasera vedrà un pasto vero e proprio.
Dopo aver mangiato a quattro palmenti ci prepariamo, così eccitati e contenti che per una volta, nonostante siamo carichi come muli, non ci sono discussioni su chi deve portare cosa. Usciamo.
La giornata è semplicemente splendida, l'aria del mattino è fresca e limpida, non c'è una nuvola e sulla pelle il sole caldo si fa già sentire. Sono sufficienti cinque minuti d'orologio per arrivare al mare. Cinquanta metri di strada a senso unico e poco transitata, dopodiché svoltiamo a sinistra e imbocchiamo un vialetto che scende verso la spiaggia, dalla cima del quale uno scorcio di paesaggio mi riempie occhi e cuore. E come un bimbo in vacanza al mare, mi sento raggiante e felice. Scendendo incrociamo il trenino turistico che dal centro porta al limite del paese dove sono ubicati un paio di alberghi, il campeggio, il campo di calcio della squadra locale con annessa tribuna, innumerevoli campi da tennis e, al fresco di una pineta, il nostro affezionato circuito di mini golf.
Giungiamo sul terrapieno che offre l'ombra di longevi pini marittimi sotto i quali potremmo accamparci, invece scendiamo una breve scalinata che riempie i due metri di dislivello tra pineta e spiaggia, la quale è una sorta di pavé di pietre piatte e cemento in cui ci stabiliamo, di fianco a un enorme masso liscio ottimo per fare le veci di una sdraio. Fra noi e l'acqua niente sabbia bensì scogli ciottoli e ghiaia. È presto, non sono ancora le nove del mattino e oltre a noi ci sono, a prima vista, non più di due o tre persone e un altro nucleo famigliare.
Finalmente è arrivato il momento tanto atteso. Una volta spogliato e rimasto in costume, mi incamminero' sulla vicina passerella di pietre e cemento resa scivolosa dal calcare e dal muschio, pertanto munita di corrimano, la quale si inoltra per una quindicina di metri nel mare. Arrivato in fondo salirò sulla pietra più alta lì sulla destra e indossero' gli occhialini, per via delle lenti a contatto, grazie ai quali potrò ammirare il fondale, i pesci e le curve di mia moglie che in acqua si muove sinuosa come una sirena. Felice mi godrò la vista di questo meraviglioso mare dove mio papà, che non c'è più, mi insegnò i princìpi del nuoto. Mare blu cobalto quasi piatto, appena increspato dalla leggera e frizzante brezza carica del profumo di salsedine, sotto il cielo azzurro elettrico dove grossi gabbiani reali ad ali spiegate e sorretti solamente dalle correnti d'aria lanciano i loro richiami. Allora farò un profondo respiro, piegherò le ginocchia e mi darò lo slancio. Un breve volo a gambe e braccia perfettamente in linea finché... sciaff! I suoni del mondo saranno scomparsi, di colpo immerso nel silenzio, alle mie orecchie solo le piccole bolle d'aria che fuoriescono dal naso. Avvolto dal mare così meravigliosamente fresco sulla mia pelle darò un paio di gambate in apnea, e una volta a galla voltero' lo sguardo verso la spiaggia per vedere la mia famiglia tuffarsi in quest'acqua rigenerante che, oltre sortire l'effetto immediato di un caffè triplo, possiede il magico potere di scacciare pensieri stanchezza arrabbiature di tutto l'anno, in un amen. Il primo bagno al mare con la mia famiglia sotto il sole di questa cittadina che amo, nella quale vivevano e riposano i miei nonni e dove mio papà mi portava ogni estate fin da neonato... sì, è questo il momento più bello dell'anno e pertanto con calma, per godermene ogni istante, mi appresto a viverlo.
Costume e occhialini al collo metto piede sulla passerella, è piacevole il freddo impatto con l'acqua che placida mi accarezza le caviglie, così come dietro di me il vociare allegro di moglie e figli. Arrivo in fondo ed è tutto come lo ricordavo eppure sempre emozionante, questo spettacolo della natura uguale da secoli come una certezza, come mi aspettasse. E in effetti sì, è proprio così.
Salgo sullo scoglio più alto alla mia destra, anche lui qui da tempo immemore, e sistemato l'elastico degli occhialini sulla nuca li indosso.
Maccheccazzo.. sono sconcertato. Gli occhialini si devono essere guastati. Per quanto bizzarro e illogico è il primo pensiero ad accendersi in testa, nitido come un'insegna al neon di notte. Si sarebbero potuti rompere, graffiare, appannare e sarebbe normale, ma non guastare. Quella parola è anche sinonimo di scaduto, di alterato. Di marcio. Come indossati, attraverso quella plastica dozzinale la visuale attorno a me è completamente cambiata. Ma non nel modo in cui già sai per esperienza pregressa di come tutto, filtrato dalle lenti, ti apparirà differente dalla vista a occhio nudo. Il paesaggio si è completamente stravolto.
Da azzurro il cielo è diventato plumbeo e dal nulla si sono materializzati poco rassicuranti nuvoloni grigio scuro, cupi e promettenti pioggia, un diluvio di pioggia. Il mare da innocuo e invitante si è increspato assumendo e riflettendo il colore inquietante del cielo e mi appare per la prima volta nella vita minaccioso. Minaccioso, e vivo. La temperatura d'un tratto è scesa così bruscamente che ho i brividi. La piacevole brezza ha lasciato posto ad un forte vento che porta con sé odore di pioggia, ma non solo. Qualcos'altro avvertono le mie narici, un sentore diverso, non buono, affatto. Un odore sgradevole, di marcio, di... guasto.
Abbasso gli occhialini. Dio mio.
Non è più semplice incapacità di spiegarmi come sia potuto cambiare tutto in un attimo, e nemmeno una spiacevole sensazione, o brutto presentimento. Quella che sta invadendo il mio corpo è paura, che lievita veloce, e cresce il timore di voltarmi perché quel che più mi fa drizzare i peli sulle braccia e dà il via libera all'angoscia di impossessarsi di me, è il silenzio. Totale. A parte il sibilare del vento non sento nulla. Mancano i suoni della natura, sì, ma soprattutto le voci. Di mia moglie e dei miei figli. La sensazione, terrificante, che ci sia qualcosa di tremendamente sbagliato mi attanaglia petto e stomaco, finendo col paralizzarmi, le gambe inchiodate. Se dovessi voltarmi e vedere ciò che sentono le mie orecchie, cioè nulla? Mio Dio ti prego... ma no, dai! Ora mi volto, e Federica sarà lì a gridarmi "ehi, cosa aspetti a uscire? Non vedi che temporale sta arrivando?"... sì, sì dai, è così, certamente...
Ma una parte della mia mente, quella con le paratie stagne ancora chiuse a impedire al panico di impossessarsi di tutto il cervello lo sa che non è, non può essere così. Un minuto prima non c'era una fottuta nuvola no non va bene è tutto sbagliato è tutto...guasto.
Nello scontro tra ragione e istinto prevale la speranza, quella di esserci imbattuti in un eccezionale fenomeno meteorologico e io come uno stupido mi sono impaurito... oh, altro che impaurito, ahahah! Ci scherzero' su quando confesserò il terrore che ho provato e sarà divertente anzi uno spasso sentirmi dare del cacasotto stasera davanti a una bella grigliata di pesce penso, anzi spero con tutto me stesso nel momento in cui mi volto e fatto un paio di passi alzo la testa mentre dentro di me in realtà non sto ridendo ma pregando quel Dio che da tempo ho abbandonato...
Nessuno. Tutto ciò che resta della nostra presenza sulla spiaggia sono le mie infradito e il telo mare. Niente e nessun altro. Le paratie del mio cervello cedono come fossero di cartone. In una frazione di secondo nella mia testa coerenza e logica evaporano. Il pensiero è come un'automobile che va a schiantarsi contro una montagna a cento all'ora, il senno finisce in un groviglio di lamiere contorte e sangue. Sopravvive solo l'istinto e un non certificato sesto senso che mi dice quanto sia tutto sbagliato. Guasto.
Sono nel panico. Dio mio cos'è tutto questo cosa sta succedendo dove sono tutti Dio mio ti prego ti scongiuro...
SSSVUOOOSCCC...
È finita. Quel rumore... fragore. Qualcosa è emersa dall'acqua.
Sciaff... sciaff... Passi lenti, e pesanti. È uscita per me e sta venendo a prendermi... sciaff... sempre più VICINA.
Sciaff...
È dietro di me, la avverto. Il fiato mi è rimasto in gola, mi sento il cuore esplodere. È terrore puro perché sono assolutamente consapevole che sto per morire. Per mano di qualcosa che Dio mio ti prego fa che non debba vederla, vedere cosa sia... non ha una faccia ma qualcosa come di guasto, di marcio, e tra poco sarà su di te, ti toccherà, e allora la vedrai, e urlerai...
Lo spirito di sopravvivenza, o un coraggio che mai avrei creduto d'avere, mi permette di reagire ma angoscia e coordinazione non vanno d'accordo e scivolo sulla passerella bagnata finendo disteso in avanti, picchiando una botta terribile al mento con un sinistro scricchiolio della mascella. Non sono scivolato. Qualcosa mi ha fatto cadere. Come a nove anni quando correndo all'uscita di scuola qualcuno mi sgambetto' nell'atrio e volai lungo disteso mentre sopra e di fianco sfrecciavano matite e diario fuoriuscitemi dalla cartella aperta. Paonazzo in viso, a testa bassa tra le risate di tutti raccoglievo le mie cose e io, bersaglio degli scherzi dei più grandi, senza il coraggio di guardare nessuno in faccia e trattenendo le lacrime, una volta fuori camminavo a passo veloce per arrivare a casa dei nonni e chiudermi in quella fortezza in compagnia di me stesso e dei miei fantastici giochi solitari.
Vittima allora e vittima adesso, provo disperatamente a rialzarmi ma qualcosa di flaccido e inopinatamente resistente mi si avviluppa alle caviglie e ancora vado giù frontalmente. Stavolta tocca al naso e faccio in tempo a vedere l'acqua colorarsi di rosso prima di sentirmi trascinare. Verso il mare. Un grugnito mi sale dalla gola mentre cerco d'afferrare un qualsiasi appiglio per non morire affogato come quel topo, in montagna, nel paese delle vacanze, tanti anni fa...
Mio fratello e i suoi amici, più grandi di me, avanzano fieri per il piccolo paese col loro trofeo. Direzione, la fontana. Uno di loro porta un secchio e un altro la preda, un grosso topo rinchiuso in una gabbietta. La sua gola, o la sua fame, gli erano stati fatali e cercare di accaparrarsi quel delizioso pezzo di formaggio aveva fatto scattare alle sue spalle il meccanismo di chiusura della trappola. Sancendone la condanna a morte. Il topo nella gabbia. La gabbia nel secchio. Il secchio sotto la fontana. L'acqua sale, il topone impazzisce. Letteralmente. È uno spettacolo tanto crudele, quasi abominevole, quanto affascinante. Non riesco a staccare gli occhi da quella scena. Ma a differenza degli altri ragazzi che se la spassano e ridono io non riesco ad aprire bocca, non rido non piango non dico nulla né faccio nulla. E nulla avrei potuto fare. Senza una parola me ne vado alla fine di quello spettacolo da Medio Evo. La fine del topo, la mia fine.
"NOOOOOH..." è l'urlo che mi svuota i polmoni mentre le mie mani cercano freneticamente qualunque cosa cui aggrapparsi. Ottenebrato dal terrore non faccio caso al naso rotto, alle abrasioni su braccia e petto che sfregano sulle pietre procurandomi una così profonda ferita da mostrare il bianco delle costole, né mi accorgo delle unghie di indice e anulari che saltano via come birilli abbattuti.
In un ultimo disperato tentativo giro su me stesso per afferrare quelle grinfie molli che mi stringono le caviglie. È allora che il mio sguardo va inevitabilmente su quella cosa. Mi sento gelare il sangue.
Ha sembianze umane ma di umano ha poco o nulla. Lunghi radi fili neri dalla testa fino ai piedi i quali nemmeno distinguo dall'acqua perché è come fossero una mostruosa propaggine del mare stesso. Sotto quelli che parrebbero capelli il cranio, dove quel poco tessuto presente è un ammasso di carne gelatinosa del colore delle alghe e tendini mollicci, in cui si aprono le orbite degli occhi assenti, vuote e nere con un luccichio freddo e crudele e nulla più. Guardarci dentro è come spiare in un'altra dimensione preclusa agli umani e alle loro piccole menti, indugiarci un attimo di troppo rischierebbe di liquefare, lobotomizzare il mio cervello, incapace di accettare come reale ciò che, a dimostrare il contrario, mi sta conducendo verso una fine atroce. Sotto, come un orribile smile sorridente, la bocca. Enorme, gigantesca, occupa quasi la metà di quest'incubo facciale. Bocca senza labbra spalancata in un ghigno, un sorriso sadico di chi ha dato la morte a migliaia di esseri umani. Il mio terrore l'ha visto riflesso per centinaia di anni in uomini donne e bambini ma è come lo vedesse sempre per la prima volta non ostentando nessuna pietà ma solo... soddisfazione. In quell'antro spaventoso i denti irregolari, storti, bianchi come lapidi, incastonati malamente, enormi. Canini come zanne ricurvi all'infuori o in dentro senza logica, incisivi come tagliole e molari che frantumerebbero pietre. Cresciuti senza criterio, disposti a casaccio nelle due arcate maligne, la cui vista lascia presagire lo strazio che mi aspetta. Se non mi annegherà mi mangerà vivo, sfondandomi il cranio o il petto con un solo morso. Masticandomi. E in fondo a queste abominevoli fauci, nulla. Nessuna lingua lasciva e demoniaca, o palato, gola... nulla. Un buco nero. Pronto a ingerire sostanziose porzioni di me dopo che quelle mandibole implacabili come morse avranno triturato e maciullato le mie ossa come fossero grissini. Attraverso gli squarci di quella che poteva essere stata una tunica bianca ora lercia, si mostra una parodia di corpo fatto di ossa e tendini grigi, tessuti molli e acqua, e denti. Arti sottili oramai nudi, lunghissimi, le cui mani ossute mi afferrano e mi trascinano, a un passo dal mare, a un passo dalla morte.
Davanti a quell'abominio, con gli occhi allucinati e il cuore impazzito a pompare sangue ai muscoli, lancio un unico urlo straziante colmo di orrore pianto e disperazione, raggelante come... come lo squittire impazzito del topone.
Riesco con l'incavo del gomito ad aggrapparmi al penultimo corrimano interrompendo la corsa verso la fine. La cosa si ferma, e mi osserva. Sadico divertimento, odio, irritazione, qualsiasi sia la natura del suo sguardo, mi arresta il respiro. Adesso mi divora.
Invece no, pare come gonfiarsi ed elevarsi allo stesso tempo, e io sotto di lei appaio sempre più piccolo e sempre più prossima carne morta.
Quell'essere non può possedere corde vocali, non in mezzo a quell'inutile groviglio putrescente, ma proprio dalla gola, accompagnato da uno sguardo carico d'odio, scaturisce un verso penetrante rabbioso e stridulo. Dopodiché mi strattona con un colpo secco e sento la spalla sinistra incendiarsi. Semplice lussazione o frattura della clavicola non fa differenza, il braccio è ora snodato e perfettamente inutile, al pari di una marionetta senza fili.
Stremato e straziato dal dolore faccio solo in tempo a raccogliere l'ultimo respiro della mia vita e un attimo dopo sono sott'acqua.
Nel suo elemento la creatura si muove ad una velocità sbalorditiva e in pochi istanti siamo a un centinaio di metri dalla riva. Mi trascina giù. Comincio a soffrire la mancanza d'aria ma il colpo di grazia arriva quando scendendo rapidamente la pressione dell'acqua mi fa esplodere quasi simultaneamente i timpani come tappi di champagne. Il dolore è lancinante e un urlo muto si leva dalla profondità del mare. Non ho più aria. Non ce la faccio più. Resisto. Devo resistere. Non posso... Dio mio non... Inspiro.
L'acqua che invade i polmoni causa un dolore indicibile. È fuoco liquido, come bruciare internamente mentre cervello e polmoni vengono trafitti da migliaia di spilli. Il mio corpo si dimena e si contorce in preda a un supplizio che pare senza fine, pochi minuti che angoscia e sofferenza atroci rendono interminabili finché comincia ad appannarsi tutto, velocemente. Esausto, il mio cuore dice che può bastare così, e si ferma. Per sempre. Le mie gambe hanno ancora uno spasmo o due. Poi, basta. In realtà avrei ancora qualche minuto durante i quali dovessero riportarmi in superficie e praticarmi un adeguato massaggio cardiaco potrei farcela, rinvenendo e vomitando fuori gran parte dell'acqua dai polmoni. Ma nessuna mano misericordiosa mi afferrerà per i capelli.
Manca poco, il mio cuore ha smesso di battere già da qualche minuto e oramai manca davvero poco. Immoto e inerte nell'acqua così come le mie funzioni vitali, solo vagamente consapevole che la mia esistenza volge al termine. La creatura è scomparsa portandosi via sofferenza e agonia, ma non sono solo. Avverto qualcosa, o qualcuno, tutto attorno. Presenze. Che mi osservano, come mi stessero aspettando.
Poi, non sento più nulla, non ho più alcuna percezione. Semplicemente e placidamente sospeso.
Ma all'improvviso succede qualcosa, come fossi dentro un ascensore balordo che di colpo riprende a funzionare. Mi sento fluttuare verso l'alto e allo stesso tempo vedo il mio corpo allontanarsi, sempre più distante, immobile e oramai privo di vita. Corpo cui sono eternamente grato, mio compagno unico e speciale che mi ha permesso di godere della bellezza del sole del mare e delle montagne, e di abbracciare forte i miei amori.
Mi sto allontanando da lui, la sensazione di tornare a galla. Attorno a me centinaia, anzi migliaia... che dico... milioni di bollicine del colore sfavillante della luce. No, non attorno a me. Io.
Io sono bollicine di luce, calda e luminosa come mille soli. Dio mio, l'anima? La mia... anima? Percepisco sempre più forti e vicine le presenze in un'aura di pace totale. Sono sereno, felice, finché...
"Papà..." è la mia ultima parola in Terra.
Io sono bollicine di luce e mi espando, per tutto il mare, e su su su oltre il mare stesso, oltre il cielo, e divengo tutt'uno con l'Universo.Postilla
Quel sabato di luglio, come ogni altro giorno, l'uomo anziano se ne stava appollaiato al davanzale del balcone di casa, al terzo piano, a fumare e osservare pigramente lo scorrere del mondo sottostante. Vide uscire dal portone l'uomo del piano di sotto con zainetto in spalla e trolley.
"Buongiorno! Siamo in partenza?" gli chiese senza remore.
Questi sollevò lo sguardo e individuatolo si limitò a farfugliare "eh? Salve! Sì, sa, ogni tanto...ci vuole. Arrivederci!" e fatto un cenno di saluto si incamminò nuovamente.
"Sì, certo, ci vuole! Buon viaggio!" gli auguro' di rimando. Lo guardò arrivare in strada e aprire il bagagliaio della sua Toyota parcheggiata appena lì fuori. Gli fece tenerezza, sapeva del divorzio ed era evidente quanto quell'uomo si fosse come spento. Li ricordava tutti e quattro, bella moglie, bei ragazzini, persone cordiali, a modo. Una bella famiglia. Ricordò di averli visti, una volta, salire in auto un giorno come quello, probabilmente mentre partivano per le vacanze. Vide l'uomo salire in macchina e, seduto al posto di guida, indugiare un attimo. Ebbe come l'impressione che stesse parlando con qualcuno. Era lontano, ma ne fu quasi certo.
Sentì il motore accendersi, lo osservò immettersi in strada finché, quando scomparve a una svolta, spense la sigaretta e rientro' in casa."Il sogno è finito".
"Wow... che cosa... che cosa ti ha turbato tanto...?".
"Svegliarmi. Abbandonare quella... quel senso di pace totale. Non avrei voluto lasciarla più, mai più".
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"Dormendo Sotto Le Stelle"
Short StoryLa storia vera di Stefano che, nonostante la confusione mentale per aver smarrito il "senso della vita", decide di lasciare la sicurezza della Comunità di recupero per tossicodipendenti e vivere da clochard nella sua città, Milano.