Capitolo 9.

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"Sei un illusa." Corrucciai il mio sguardo.
Appoggiai le mani sul tavolo; lo squadravo come se fosse qualcuno di importante o di mai visto.

"Illuminami."

Allontanai la sedia dal tavolo e mi sedetti davanti ai suoi occhi scuri come la pece, che fortunatamente non avevo ereditato.
Non mi avevano mai intimorito per davvero o meglio dire, mai al punto da considerarlo pericoloso.

"Stando al suo fianco vedrai solo la miseria."

"Si, vedrò esattamente quello che vedrai tu se non ti muovi a dirmi quello che è accaduto." Nella stanza rimbombò il tonfo della mia mano scottarsi sul tavolino.
Lui non si mosse, neanche per l'anticamera del cervello, rimase fermo a fissarmi.

"Hai i giorni di libertà contata." Deglutii.
Feci il passo più azzardato della mia vita, dirgli quella cosa avrebbe sicuramente fatto smuovere dei pensieri dentro di lui.
Se avesse fatto qualche domanda, non sarei stata capace di dargli delle risposte di senso compiuto.

"Tradisci il tuo cognome."

"Tu lo hai già fatto con tutta la prossima generazione di famiglia." Risposi di rimando.

"Gli affari di famiglia non fanno per te. Ti muoveresti con troppa semplicità."

"Si. Mi muoverei con la stessa semplicità con cui riesco a toglierti l'azienda."

"Sei immatura per sapere gli affari di famiglia." Incrociò le sue dita e teneva gli occhi incastrati ai miei, era qualcosa che riusciva a togliermi le parole di bocca.

"No. Hai semplicemente avuto paura che gli affari potessero essere finite nelle mie mani.
E diciamocelo faccia a faccia, hai sempre desiderato essere il Boss senza guardare in faccia nessuno." L'amaro che avevo nei suoi confronti si intuiva dal mio tono di voce, era praticamente udibile anche con le mani.
Deglutii e lasciai andare un sospiro profondo.

"Questo mondo. Il mondo delle imprese non rientra nelle tue competenze, dacci un taglio.
Sei una buonanulla" Ciò che riusciva a darmi maggiore fastidio era il suo sguardo inespressivo, indifferente, indecifrabile.
Era così odioso, come se non gli avessi mai riferito nulla.

Le sue parole, però, non lo erano.
Eccome se erano indecifrabili, tagliavano come una lama incandescente.
Ogni parole mi attraversava la gabbia toracica.

"Marcirai dentro quella gabbia." Dissi a denti stretti e con gli occhi che per poco non lacrimavano anche se la voce non mi aiutava.
Era rotta e tremante.

"Non credo di aver fatto nulla di male per essere portato lì."

"Tu e il tuo inutile socio avete trascinato due famiglie alla povertà assoluta."

"Non devi credere a ciò che dice quel-quell'essere senza ragione." La sua faccia si trasformò tra un mix di disgusto sul punto di vomitare.

Desideravo tanto lanciargli qualcosa in faccia.
Non avevo mai desiderato così tanto una cosa.

"Quindi è un ottima ragione per credere a quello che tu mi dici?"

"Io sono tuo padre.
E smettila con questa farsa, lui non è abbastanza furbo e intelligente per stare nella mia stessa casa."

"Invece tu sei abbastanza sincero da poter truffare la gente, razza di verme?"
Non avevo ancora sganciato una bomba così forte, ma se lo meritava.
Non faceva altro che buttarmi fango su fango e continuare a spezzare ogni miei pensiero positivo su di me.

"E mi chiedi anche perché non hai mai fatto mai parte degli affari?!
Per questo, Addison! Non mi hai mai rispettato. Non mi hai mai reso fiero di te, sei la rovina della famiglia. Ecco la verità."
"Sei una rovina. Sei la figlia che nessuno vuole."

Un Contratto Di Cuore [COMPLETA] ||Mattia PolibioDove le storie prendono vita. Scoprilo ora