Capitolo11

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Perdonatemi per eventuali ERRORI

Mi alzo premendo la mano sulla fronte, non ricordo quasi niente di ieri, solo di aver mandato a quel paese Connor, mi guardo intorno disorientata, cerco con lo sguardo la luce fioca della sveglia elettrica;
5.20, sbuffo e mi ributto sul letto cercando di dormire, ma la testa mi pulsa e ho bisogno disperatamente di acqua, cosí decido di alzarmi .
Apro le finestre e cerco di godermi quei pochi attimi di pace al mattino di Detroit, passo le dita sull'angolo cigolante della finestra, qualcos'altro rotto, che novità come se in questa casa ci fossero già abbastanza danni, guardo le mani completamente sfregiate per ieri, ho i muscoli doloranti, oltre al dolore dei colpi presi allo stomaco che in quel momento mi fa male in una maniera insopportabile, il dolore si attenua e ricomincia dopo diversi minuti, peggiorando sempre di più. Cerco di voltarmi per afferrare la maniglia della porta e mi trascino sul letto, dove afferro il cellulare per informare il Tenente che oggi non ci sarò.

Il tempo passa, sono le 6.25 del pomeriggio, l'unica cosa che ho mangiato oggi é una scatoletta di mais, non ho appetito, lo stomaco sembra voler cambiare posto all'interno del mio corpo, cosí l'unico modo per attenuare la fame sono le tisane, non ho pensato neanche a quelle quando mi sono trasferita qui, ne sono rimaste solo alcune vecchie che probabilmente mi avranno regalato  in qualche tavola calda, prendo la bustina di thé di sottomarca sperando che non sia nociva e la immergo nel pentolino, lo scoppiettio del fuoco sul metallo sembra una melodia allegra, e mi distrae dal dolore che sto provando in quel momento. Sento il telefono squillare e mi volto cercandolo, Connor, la mia mano di blocca e si ritrae come se mi fossi appena scottata, chiudo gli occhi e aspetto che smetta di squillare, nonostante la voglia di premere il tasto i risposta mi opprima, spengo il telefono e lo lascio cadere sul divano, seguito dal mio corpo che per un attimo sembra distrarsi dal dolore.

Dovrei cenare ma non ho nemmeno la forza, lo stomaco sembra stringere, e le gambe sono indolenzite,
<<É questa la differenza tra umani e androidi>> dico tra me stessa come se conversassi con qualcuno, non so che ora sia, mi sono addormentata, cerco il telefono per controllare l'orario e ricordo di averlo spento,
nel riaccenderlo quasi sobbalzo, 7 chiamate perse: Connor, che idiota che sono stata, avrei dovuto rispondergli, e se si trattasse di qualcosa in ambito lavorativo? Stupida, stupida, stupida, cosa dovrei fare? Richiamarlo? Sto per premere il tasto della chiamata ma una fitta mi fa piegare in due, cerco di rialzarmi dal divano per bere qualcosa, quando sento il mio campanello (pur esso danneggiato) suonare,
<<Cazzo il propietario per l'affitto>>
L'ultima delle persone che avrei mai voluto vedere, apro la porta nonostante sia impresentabile,

L'ultima persona che io mi aspettavo, due occhi scuri mi fissano e nonostante sia buio riconosco benissimo quel volto
<<Mi disipace>>.

Mi strofino le tempie appoggiandomi allo stipite della porta,
<<Connor..>> sollevo lo sguardo con un espressione sofferente per il mal di testa,
delle gocce di pioggia cominciano a farsi strada sull'asfalto, per poi diventare sempre più evidenti, guardo quegli occhi che in quel momento sembrano provare emozioni.
<<È tutto ok, davvero>>
Non sembra convinto di quello che io ho appena detto, fa un passo avanti,
<<Mi dispiace, io non->>
non ho voglia neanche di discutere con lui ora, quindi lo blocco prima che possa finire,
<<ormai è passato, non puoi farci niente>>
Il mio tono è calmo e cerco di tranquillizzarlo ma allo stesso tempo deluso; faccio qualche passo indietro per arrivare alla porta,
<<Buonanotte Connor>> gli sorrido ma prima che posso finire china la testa e sento la sua voce flebile per la prima volta,
<<c'era qualcosa dentro di me quel giorno>>,
blocco la porta e la riapro delicatamente,
<<qualcosa che mi disse di non fare quello che io avrei voluto>>
alza il capo e cerca il mio sguardo,
<<qualcosa che mi disse di continuare la missione>>
sospiro, dev'essere difficile dover rispettare regole imposte ogni giorno, ma una cosa è certa, non metteró mai più la mia vita in mano ad una macchina,
<<Non vogliono che io sia un deviante>>
Il suo tono è così malinconico che avanzo
<<Connor>>
Solo ora da così vicino riesco a notare delle piccole lentiggini sulle sue guance,
<<Tu non sei un deviante>> gli sorrido con tutta la dolcezza possibile nonostante la mia espressione sofferente in volto.
Connor esita per qualche secondo,
<<Invece si>>
In quel momento la pioggia scorre più lenta, così come il sangue nelle mie vene, avanza verso il mio volto e poggia le sue labbra sulle mie, lo stomaco mi brucia, e le tempie pulsano, ma al suo tocco mi sento sicura, come se in quel corpo grande che circonda il mio mi sentissi protetta, il mio corpo si rilassa per gradi fino a fondersi con il suo.

Le macchine avanzano sulla strada bagnata, le luci diventano soffuse, e Detroit sprofonda nel buio, ma è una città che non dorme mai,.
Connor si stacca dolcemente e mi sorride, rimaniamo attaccati sul portico i nostri corpi si completano. La notte ingoia pian piano tutta la città, le luci dei grattacieli si fanno spazio nel buio e le serrande si chiudono, come quelle della saracinesca dei negozi, le voci si fanno diffuse, e si sprofonda in quel silenzio che non è mai completo, qualche voce, l'abbaio del cane dei vicini, l'unica cosa a parlare ora sono i nostri corpi vicini che fissano la finestra, seduti su un divano comprato in un discount, in un appartamento nella periferia, ma l'ambiente per quanto sgradevole e abbandonato non influenza nostre emozioni, insieme non ho bisogno di nient altro, e sono i nostri sguardi a parlare per noi, e mentre lentamente guardiamo spegnersi tutte le luci, lasciamo che anche i nostri corpi si riposino, almeno il mio che ora, per la prima volta si sente così bene vicino a quello di qualcun altro.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Aug 02, 2020 ⏰

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