Capitolo 5.

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YURI

"Nikiforov è in ascensore, sta arrivando".

Deglutii a vuoto un paio di volte, prima di accennare un segno d'assenso con la testa a Yurio che già si stava chiudendo la porta alle spalle.

Era venuto per farmi una lavata di capo per il documento lasciato in bianco il giorno prima, spiegandomi che se non veniva compilato a dovere, poi sarebbe ricaduta la colpa su di lui, che aveva il compito di sistemarli tutti nell'archivio della clinica.

Alla fine però, avevo capito che doveva trattarsi di una scusa per strapparmi di bocca qualche informazione sul mio famoso paziente.

Cosa che orgogliosamente ero riuscito a negargli.

Avevo passato una notte pessima, cercando invano una soluzione a tutta quella storia. Poi mi ero convinto che l'unico modo fosse affrontare passo passo le sfide che mi si sarebbero presentare davanti.

La sera prima, al sicuro nel letto del mio appartamento, questa mi era sembrata la soluzione più intelligente; ma ora, con Victor a neanche 5 minuti da me, mi sembrava la cosa più stupida che mi fosse venuta in mente negli ultimi anni.

Quella mattina ero entrato nel mio studio a spalle larghe e con un sorrisone da orecchio a orecchio, ora l'unica cosa che desideravo fare era scavare una buca e sotterrarmi sotto la scrivania.

"Che gli dico? Gli avevo consigliato di portare qui il suo diario, ma adesso anche solo il pensiero di leggerlo mi mette paura..."

Leggere i segreti nascosti del mio idolo era un sogno nel cassetto, ma in vista degli ultimi avvenimenti, anche terribilmente sbagliato.

E nonostante questi pensieri, sentii il cuore accelerare per l'emozione quando bussarono alla porta.

"Avanti..."

Victor la spalancò ed irruppe nel mio studio sorridendo.

Dietro di lui, Yakov mi salutò con un cenno ed un'occhiata eloquente, e poi sparì richiudendo la porta alle sue spalle.

"Buondì!"

"Ciao Victor".

Si lasciò andare su una sedia davanti alla mia scrivania, e il vederlo così tranquillo, chissà come, tranquillizzò anche me.

Poi alzò una mano e fece scivolare verso di me un quaderno piuttosto malridotto, di un colore smorto e con gli angoli tutti piegati.

La tranquillità scomparve all'istante.

"I miei segreti, come promesso...", commentò incrociando le braccia sul petto e osservando la mia reazione.

Il giochino era ricominciato.

Cercai di concentrarmi sul quaderno e non sul guizzo che avevano fatto i suoi muscoli sotto la maglietta grigia in risposta al suo movimento, cosa che, già di per sè, mi risultò parecchio difficile, mandandomi nel panico.

Allungai una mano con apparente calma e alzando la copertina, cercai d'intavolare una conversazione.

"Allora come va oggi?"

"Tutto bene grazie. Mi sono alzato stamattina con una voglia incredibile di pattinare...che ne dice dottore? Lo trova un po' di tempo da passare con il suo paziente?"

Bloccai le dita sulla prima pagina, registrando a malapena la data scritta in alto a destra, il 21 giugno di tre anni prima, poi alzai lo sguardo.

Mi fissava con un sorrisino innocente sulle labbra.

"Sto già passando del tempo con te, Victor, e non so se ci è permesso uscire di qui insieme. Vedremo..."

Poi tornai al quaderno, non notando che il suo sguardo si era incupito all'improvviso e il sorriso era sparito.

Pazzo di teDove le storie prendono vita. Scoprilo ora