Capitolo 7.

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YURI

Quando riaprii gli occhi la testa mi scoppiava.

Avevo la gola secca e la luce della lampada ai piedi del divano sul quale ero sdraiato mi accecava.

Tirai su il busto sbattendo le palpebre più volte, e mi guardai intorno, cercando di capire dov'ero.

Sembrava un ampio salotto, con grandi porte finestre che si aprivano su un grande giardino circondato dagli alberi. Vedevo la porta d'ingresso, un corridoio sulla sinistra e delle scale che salivano al secondo piano.

Mi aggiustai gli occhiali sul naso e mi presi la testa fra le mani, cercando di mettere ordine nei miei ricordi; poi ricordai cos'era successo nel parcheggio della clinica.

Studiai nuovamente la stanza in cui mi trovavo, ma non la riconobbi.

Il terrore si mescolò ai dubbi.

"Dove sono? Chi mi ha rapito?... Devo trovare il modo per uscire da qui..."

Mi alzai in piedi, ma dopo qualche passo dovetti aggrapparmi ai mattoni di un grande camino per non finire disteso per terra.

"Oh! Finalmente si è svegliato dottore!"

Sussultai e spostai lo sguardo allucinato verso il suono di quella voce.

Victor mi guardava, appoggiato con una spalla al muro del corridoio, con fra le mani un asciughino colorato.

"Ha dormito veramente tanto! Non ho usato poi così tanto sonnifero..."

"S-sonnifero...?", balbettai.

Un lato di me si era tranquillizzato notevolmente quando avevo sentito la sua voce. Allo stesso modo, però, il suo gesto mi appariva come inspiegabile.

"Che cosa hai fatto Victor?", gli chiesi continuando ad osservarlo ad occhi spalancati.

"Diciamo che ho trovato il metodo di cura più adeguato per il mio caso...", rispose riportando a galla il suo solito sorrisino malizioso.

"C-cosa...metodo di cura? Che vuoi dire?"

Iniziavo a calmarmi e a capire in che cavolo di situazione mi trovavo.

"...Ovvio no? Ti concedo la possibilità di studiarmi nel mio 'habitat naturale', mi dovresti ringraziare: starai qui con me finché non arriverai a qualcosa...e visto che secondo i miei calcoli anche tu non scoprirai un bel niente, abbiamo tantiiiissimo tempo da passare insieme, non ti pare?"

"Victor hai rapito il tuo medico curante, mi hai portato qui contro la mia volontà, lo sai che cosa significa questo?!", sbraitai in preda alla sorpresa e alla paura.

Lo vidi raddrizzarsi sul posto e guardarmi leggermente irritato. Quando mi parlò, lo fece quasi sussurrando, con il tono che di solito si usa per calmare un bambino capriccioso.

"So che la mia storia ti incuriosisce, e anche tanto...Ti sto dando la possibilità di starmi accanto come nessun altro ha mai fatto prima d'ora..."

"Non cercare di dirmi che lo fai per me e non solo per te stesso!"

Le mie reazione lo stupivano, me n'ero accorto, e a dire il vero stupivano anche me: mai avrei pensato di rivolgermi a lui in quel modo, ma la situazione mi stava facendo uscire di testa.

"...Sì, è vero...hai ragione...IO ti voglio con me. Ho bisogno di sentirti vicino. Sempre, non per una misera ora al giorno..."

Quelle parole ebbero il potere di paralizzarmi.

Nessuno aveva mai dimostrato nei miei confronti un attaccamento come il suo.

Mi tornarono in mente le parole che poco prima avevo letto su quel quaderno: l'immagine di un Victor solo, arrabbiato, disperato, fradicio di pioggia prese possesso della mia mente e non riuscii a scacciarla.

Pazzo di teDove le storie prendono vita. Scoprilo ora