SPECIALE OTAYURI

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YURIO

"Quella testa vuota: non tutti abbiamo la fortuna di lavorare due ore al giorno. Se ha tempo da perdere al telefono farebbe meglio a non rubarne a me! Tsk!"

Spensi la lucina che illuminava la mia scrivania e sul corridoio calò il buio.

A tentoni raggiunsi l'ascensore, cliccai il pulsante, che si illuminò, e attesi pazientemente.

Una volta nell'atrio, beccai la ragazza dietro la reception a sbadigliare, e di riflesso sbadigliai anch'io. Quando i nostri sguardi di incrociarono le sorrisi in maniera complice e lei arrossì leggermente, tornando a pigiare sui tasti del computer.

Facevo questo effetto alle ragazze dal primo anno di liceo, quando finalmente la mia voce aveva deciso di smetterla di assomigliare al verso di un alpaca preso a sassate.

Per loro sfortuna però, pur andando fiero dell'ascendente che avevo su di loro, mi divertivo a vederle svogliersi come budino al sole e nulla di più.

Uscii dalla clinica con la testa che mi scoppiava. Non vedevo l'ora di buttare giù qualcosa e sprofondare nel mio lettone.

Fatti due passi verso il parcheggio, il rombo di un motore mi fece capire, ancor prima di alzare lo sguardo, che non avrei visto il mio lettone ancora per un po'.

Al di là della strada, sotto gli occhi a cuoricino che avevano sfoderato le colleghe uscite prima di me, un ragazzo alto e con i capelli scuri mi osservava appoggiato ad una moto luccicante. Tolse la mano dalla manopola del gas e mi fece cenno di avvicinarmi.

Sospirai, combattuto se ignorare la sua provocazione e procedere verso la mia macchina o  assecondarlo, ma l'indecisione durò poco: incosciamente avevo già scelto da un pezzo.

Attraversai di corsa la strada, stringendomi al petto alcuni documenti che avevo pensato di riempire prima di dormire, e mi fermai sul marciapiede di fronte a lui.

"Ehi..."

Le persone che passavano lanciavano occhiate veloci, irritate o piene di desiderio che fossero, alla sua moto, ma Otabek sembrava non farci neanche caso.

Guardava me dall'alto in basso senza dire nulla.

"Che ci fai qui?", provai a chiedergli cercando di sembrare arrabbiato.

Lui alzò appena un sopracciglio al mio falso tono di voce e si decise a scollarsi dalla moto per allungare una mano verso il casco appoggiato sul sellino.

"Sono venuto a prenderti, no? Mi sembrava che ieri sera fossimo rimasti d'accordo così..."

Spalancai la bocca indignato e non accettai il casco che mi porgeva.

"E a me sembrava di essere stato chiaro. Volevo essere lasciato da solo per un po'".

"Ah quella tua carezza avrebbe voluto dire questo?, ribatté con un sogghigno.

Arrossii, per più di un motivo.

La sera prima eravamo rimasti a casa sua, per prenderci un po' di tempo per noi, visto che a causa del mio lavoro non ci vedevamo molto spesso, e quelle poche volte che riuscivamo a combinare qualcosa io ero sempre troppo stanco per portare a termine i nostri piani.

Ma poi, quasi sul più bello, Otabek aveva ritirato fuori un nostro vecchio battibecco che si era trasformato ben presto in un vero e proprio litigio.

Così, sull'orlo delle lacrime e preso dallo sconforto e dall'ira, gli avevo tirato uno schiaffo ed ero tornato a casa...

"Sì, proprio così. Temo tu abbia fatto un viaggio a vuoto".

Mi voltai irritato per tornare verso il parcheggio.

Pazzo di teDove le storie prendono vita. Scoprilo ora