Più Delle Altre Volte

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Aveva dormito male, si era avvolta nelle coperte, aveva nascosto la testa sotto il cuscino, ma non era riuscita a mandare quella sensazione di soffocamento, quel dolore che la stava facendo piangere più forte delle altre volte: sentiva male all'anima, al cuore, in tutta l'essenza di se stessa. 

Sentiva quell'assenza pesarle dentro come un macigno, posarsi sulla voglia di rifugio, quel bisogno di tornare in quell'abbraccio e restarci per sempre, contro lo scorrere del tempo, contro tutto quello che li aveva divisi e che li aveva trascinati giù, sul fondo di quell'addio da cui non riuscivano a risalire. 

Sentiva diventare debole l'armatura che si era costruita, tanto da non riuscire più ad attutire i colpi, tanto da non riuscire più a respingerli.

E si era chiusa al suo interno, senza lasciare a nessuno la possibilità di leggerle dentro, soprattutto a lui che non riusciva ad andare via e non riusciva a tornare da lei, bloccato dalle difese che lei aveva eretto, da quei muri di ricordi che non riusciva a scalfire. 

Uscí dal dormitorio, si sedette sul parapetto dove aveva visto seduto lui, guardò davanti a sé la betulla centenaria. 

Il vento tra i rami frusciava delicato, in un suono dolce di foglie e primavera che sembrava prenderla per mano e portarla lontano, negli angoli nebulosi di quell'anima che sembravano schiarsi e colorarsi di sfumature nuove che la costringevano ad urlare quelle verità mute nascoste tra la punta della lingua e le labbra. 

Si sentì improvvisamente vuota, troppo indifesa per provare rabbia, per urlare o anche solo per mandare via dalla sua mente l'immagine che aveva di lui; orgogliosa, ferita, ostinata a restare in quel silenzio sbagliato che le impediva di tornare sui propri passi e fare la cosa giusta. 

E, di fronte a quell'albero che aveva resistito persino alla Guerra Magica, capí che non aveva fatto altro che allontanarlo a forza ogni volta che si avvicinava e che la paura che lui l'allontanasse la portava a nascondersi nelle domande che non riusciva a porre a nessuno, se non a se stessa. 

Si trovò incastrata nell'impossibilità di ammettere i propri torti: riusciva a sorvolare sugli errori di chiunque, eppure, sui suoi e quelli di Draco sembrava aver costruito castelli di macerie e condanne; si sentì fragile, vuota ad ammettere che era tardi, troppo tardi per tornare indietro e smettere di ignorarlo, di rimangiarsi tutte le parole che gli aveva detto per non essere ferita e quelle che gli aveva taciuto per orgoglio e per timore di vedere davanti ai suoi occhi una freddezza che non sarebbe riuscita a demolire. 

Risalì le scale che l'avrebbero riportata al dormitorio, attraversando in silenzio la Sala Comune che era stata resa più spaziosa con un incantesimo. 

Trovò Daphne in piedi di fronte al camino, le si avvicinò con un sorriso triste sulle labbra e gli occhi incollati al pavimento. -Ehi… 

-Ehi… Non riesci a dormire?

-Nemmeno tu. 

-Già, nemmeno io. 

-Che succede? 

-Io… non riesco a dimenticarlo… ed è qui, anche quando non c'è. 

-Forse non lo dimenticherai mai. 

-Lo sogno ogni notte: è sempre lì, a tendermi la mano per riportarmi indietro ed io gli vado incontro e… e poi fa giorno e so che non lo farò mai. Fa giorno e lo odio ancora di più, perché è sempre lì, sempre pronto a tornare e io non lo sarò mai… E mi odio, perché sto qua a parlare con te e ti sto dicendo una bugia, perché non lo odio, nemmeno un po'... 

Sentì le braccia di Daphne stringerla in un abbraccio che sapeva di comprensione e le lacrime scivolarle sulle guance, portarle via quelle briciole di corazza. 

Since I kissed you continued Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora