~ Capitolo 6 ~

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Ad ogni stella cadente che hai guardato
con occhi ardenti di desiderio
Ad ogni candelina che hai spento
il giorno del tuo compleanno,
Ad ogni sogno inespresso,
Ad ogni speranza,
Divenuta vana quando
hai scoperto che i desideri
si avverano solo se sei tu a realizzarli.

Ad ogni stella cadente che hai guardato con occhi ardenti di desiderioAd ogni candelina che hai spento il giorno del tuo compleanno,Ad ogni sogno inespresso,Ad ogni speranza,Divenuta vana quandohai scoperto che i desideri si avverano solo se sei t...

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«Beh Agatha da dove iniziare, probabilmente da cosa ci faccio qui a New York. A proposito, vengo da San Francisco, nel caso in cui te lo stessi chiedendo» Si blocca, in attesa di qualche mia domanda probabilmente, io invece preferisco che sia lui a srotolare il filo del discorso, voglio vedere dove andrà a parare, così gli sorrido e gli faccio cenno di continuare.

«Okay, beh, dicevo, vengo dalla costa ovest, dal Pacifico, ma ho scelto New York perché era una delle città più lontane da lì, letteralmente dall'altro lato del Paese» si stringe nelle spalle e strappa un ciuffo d'erba a mo' di antistress, tingendosi i tutti i polpastrelli di verde.

«Quindi...stai scappando?» una domanda che suona più come una conclusione affrettata, ma mi rivedo molto nella sua voglia di allontanarsi da casa, dopotutto anch'io sto scappando.

«Sì, direi di sì» concorda con me, usando un tono a metà tra la rassegnazione e la rabbia.

«Ti va di dirmi perché?» provo a dire, alla fine è stato lui a tirare fuori l'argomento, di certo avrà messo in conto le mille domande che ne sarebbero scaturite.

«Sí Agatha, ci stavo arrivando, come sei impaziente» scherza Josh, tentando di allentare un po' la tensione che inizia a crescere dentro di lui, la sento, è quasi palpabile, riempie lo spazio che ci separa saturando l'aria.

«San Francisco per me era una gabbia» riprende, lo sguardo che torna a posarsi su un punto indefinito dell'orizzonte, «una gabbia d'oro, ma pur sempre una gabbia. La mia famiglia mi soffocava, non riuscivo ad essere me stesso in quella città, avevo un sacco di amici, ma ultimamente li trascuravo quasi tutti, mi stufo spesso delle persone».

Deve aver notato la mia occhiataccia, perché subito dopo si corregge «o almeno, di quelle che poi non si rivelano interessanti, al momento non è il tuo caso tranquilla, l'aura di mistero che ti avvolge mi attrae come una calamita, o come un buco nero, scegli tu la metafora che più preferisci»

scuoto la testa e sussurro: «preferisco la definizione di buco nero» 'perché a volte è così che mi sento' aggiungo nella mia mente, come se risucchiassi tutta la gioia e la felicità attorno a me e le facessi sparire, mi sento vuota, perennemente in bilico.

Lui mi guarda interessato, come se mi stesse studiando e probabilmente è proprio così, valuta con cura la prossima frase da pronunciare, credo che vorrebbe saperne di più, ma se ha imparato qualcosa in questi due giorni è che non può calcare la mano e farmi il quarto grado senza infastidirmi, per cui commenta solo con un 'affascinante'.

AGATHADove le storie prendono vita. Scoprilo ora