1. Un'estate come tante

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"Vivere è la cosa più rara al mondo. La maggior parte della gente esiste, ecco tutto."

[Oscar Wilde]

~♧~

Avevo paura. Avrei mentito a me stessa se avessi sostenuto il contrario: avevo paura, una paura mai provata prima, mai sperimentata nemmeno nei miei incubi più nitidi. Tremavo, sentivo il battito del mio cuore pulsarmi nelle orecchie, il fruscio sibilante del sangue che mi scorreva nelle vene. Nella mia testa i suoni erano amplificati come in una casa armonica, e ogni respiro diventava tuono, lampo, paragonato al silenzio surreale che mi circondava.

- So che siete qui- mormorò la silhouette incappucciata, guardandosi intorno.

La sua voce metallica era la stessa del tale del telefono. Eravamo nel posto giusto.

Giusto...

Ormai non sapevo quasi cosa significasse, quella parola. Non sapevo più cosa volesse dire lealtà, cosa fosse la fiducia. Avevo dubitato di lui. Era per lui che mi trovavo lì. Per incastrarlo. Per fargliela pagare. E per questo non potevo fare a meno di domandarmelo: eravamo davvero noi i buoni?

- Fatevi vedere!- declamò il tale. - Fatevi vedere o sarà peggio per voi!

Tremavo come non avevo mai fatto, come non avrei mai pensato di poter fare. Tremavo sempre di più, incessantemente, chissà se per la paura o per il freddo. La temperatura era davvero troppo bassa per una sera di piena estate. Troppo bassa perché tutto ciò potesse star accadendo sul serio, proprio davanti a me.

I miei occhi erano abbastanza abituati al buio per scorgere la figura incappucciata estrarre da sotto il cappotto qualcosa, ma non per capire di che oggetto si trattasse. Un clic inconfondibile mi tolse ogni dubbio: una pistola. Aveva una pistola. Il ragazzo accasciato vicino a me dietro al cespuglio si alzò di scatto. Dannazione. Questo non era nei piani, come nessuno degli avvenimenti delle ultime settimane.

- Lei dov'è?- chiese lui, con i pugni serrati. - Abbiamo fatto ciò che volevi, ora è il tuo turno! Devi liberarla. Devi liberarle entrambe!

Il tale rise. Nonostante la voce modificata, avrei riconosciuto quella risata tra mille. La paura mi stava giocando brutti scherzi, ne ero certa. Non poteva essere lui. Mi rifiutavo di crederci, non poteva essere possibile.

La figura fece un passo in avanti.

- Siete dei poveri ingenui- disse, un istante prima di levarsi il cappuccio.

Tra le foglie del cespuglio riuscii a scorgere a malincuore i lineamenti del suo volto, fattezze che conoscevo fin troppo bene, ma che, in quel momento mi sembravano estranee, deformate, del tutto sfigurate da un ghigno malato, traviato dall'odio e dal desiderio di vendetta.

Gli occhi del mio compagno di sventura, nella penombra, brillavano di una determinazione che non avevo mai visto in lui. Qualcosa dentro di me, invece, era come se si fosse appena spezzato.

"Sorpresa?", mi chiese la mia coscienza.

No. No, per niente. Eppure faceva male comunque. La verità si era da tempo trovata davanti ai miei occhi, ma avevo preferito negare l'evidenza, alimentare a oltranza un'illusione che, attimo dopo attimo, si era disfatta sempre più velocemente sotto al mio naso, per cadere in pezzi definitivamente, trascinandomi con sé. L'avevo fatto per lui. Ero stata la sola a credere nella sua innocenza, a sperare in essa con tutte le mie forze, anche a costo di rinunciare ai miei stessi principi. L'avevo difeso con denti e unghie, solo per arrivare... 

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