10. Un silenzio disperato

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"Così dunque si muore
tra bisbigli
che non si sa afferrare."
"E dopo?"
"Dopo, semplicemente,
la vana solitudine del sogno"

[Francesco Scarabicchi]

~♧~

Era impossibile, per due adolescenti, racimolare 100.000 dollari in meno di tre settimane senza dare nell'occhio. Impossibile, del tutto impensabile, tanto che arrivai ad essere certa che perfino Hunter Price ne fosse consapevole. Entrambi, con tutta probabilità, eravamo al correnti dell'inattuabilità del nostro obiettivo più di quanto volessimo ammettere, ma la speranza era sempre stata in grado di erigere dal nulla stupefacenti castelli di illusioni, terribili frammenti di sadismo mascherati da scintille di utopia e dolci inganni della mente. Hunter sperava, in effetti... 

Io avevo solo paura.

Una paura informe, sfibrante, incomprensibile e disordinata nella sua casualità, ma vivida, lucida, concepita dalla disastrosa e terrificante unione tra razionale e irrazionale. Tra nitida ragione, e irruente emotività.

Sadie avrebbe saputo cosa fare...

Sì, lo avrebbe saputo, avrebbe capito come agire facendo ricorso ad ogni granello della sua esperienza, all'empatia che l'aveva caratterizzata per tutta la vita, a qualsiasi elemento della sua persona che si sarebbe potuto rivelare utile in futuro. Ma Sadie non c'era, in quel momento. Non c'era, e forse non ci sarebbe stata mai più, se non avessi trovato una soluzione alla svelta, un sentiero- anche tortuoso e disseminato di rovi- da seguire per arrivare a lei. Dio, sì, Sadie avrebbe saputo cosa fare. Ma io non ero lei.

Io non ero lei.

Io non ero lei.

Eppure non ero neanche me.

Non riuscivo a riconoscermi nelle azioni che, fino a qualche giorno prima, avrei reputato quotidiane, non ero in grado di comprendere i pensieri di cui la mia mente era invasa. Le emozioni che mi logoravano da dentro, lentamente, centimetro dopo centimetro, secondo dopo secondo. E di certo, appena la settimana precedente, non avrei mai potuto immaginare che- pur di salvare mia sorella- avrei accettato di uscire di casa nel cuore della notte, di nascosto, dopo aver ricevuto una lettera recapitata da un pappagallo, per conto di Hunter Price.

L'uccello, questa volta, non si era limitato a picchettare con il becco la finestra di camera mia ma, dopo il definitivo spegnimento dell'ultima luce di Villa Hill, doveva essersi disorientato nel buio, perché aveva finito per schiantarsi contro il vetro in un tonfo sordo, evitando di cadere al suolo reggendosi con gli artigli alla persiana azzurra ancora semi-aperta.

In ogni caso, il messaggio inviatomi dal vicino- per quanto vago e confusionario- non lasciava la minima ombra di dubbio sul da farsi: per concludere la conversazione lasciata in sospeso quella mattina- interrotta per evitare che la signora Price, tornata a casa in taxi senza preavviso, mi sorprendesse nel suo salotto- non sembrava esservi alternativa se non approfittare del favore delle tenebre, in modo che nessuno potesse vedere me e Hunter insieme.  

Il genio, ovviamente, non aveva pensato i avvertirmi con anticipo della cosa, bensì aveva preferito affidare le sorti di entrambe le nostre sorelle alle zampe zigodattile di un pennuto con evidenti problemi di vista, nella speranza di trovarmi ancora relativamente sveglia una volta recapitato il messaggio. Per mia fortuna, nessun membro della mia famiglia godeva della fama di nottambulo, e uscire di casa di nascosto- imitando quanto più possibile le tecniche notoriamente utilizzate da Sadie per sgattaiolare a qualsiasi festa dall'età di quindi anni- non si rivelò un problema. 

Le prime complicanze- presagio di una lunga serie- erano sorte una volta messo piede al di fuori della mia zona sicura, del perimetro di Villa Hill, precisamente nel rendermi conto che, nonostante Price mi avesse dato appuntamento nel giardino sul retro di casa sua, il cancelletto di accesso fosse- ovviamente- chiuso.

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