2. Galileo, Kennedy e Salinger il sabato sera

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"Potremmo dominare il mondo
Su un piatto d'argento
Dalla cattiva alla giusta luce
Fino ad un flusso aperto"

[Kick ass]

~♧~

- Ti fermi a cena qui, Colin?- chiese mia madre.

- Mi stupirei se non lo facesse- commentai a bassa voce.

Ormai era come se alloggiasse a casa nostra, pur non essendo tenuto a pagare l'affitto. In compenso, però, Colin aveva appreso tattiche infallibili per battere mio padre ai vecchi videogames di Austin e per invadere la mia privacy, tanto che perfino lui era arrivato a stupirsi che ancora gli aprissi la porta quando suonava il campanello di casa nostra.

- La mia presenza ti irrita, Kimmy?

- Qualsiasi cosa di te mi irrita, Colin Newell.

Non era vero al cento per cento, ad essere sincera. Talvolta riusciva a risultare quasi di buona compagnia, ma quello era un dettaglio che lui non era tenuto sapere, e che io non ero ancora riuscita ad assimilare del tutto.

Sullo schermo della televisione comparvero una ad una diverse lettere, che andarono a comporre la parola "Game over". Colin appoggiò per terra il controller e mi fece cenno di sedermi a fianco a lui, sul pavimento. Per mantenere un certo distacco professionale, anche a costo di ostentare imperturbabilità, preferii optare per il divano.

- Sabato pensavo di dare una festa con qualche amico nella spiaggia sotto casa mia...- lasciò la frase in sospeso, ma il concetto era ben chiaro.

- Noi non siamo amici- risposi, catatonica.

- Migliori amici!- alzai un sopracciglio, rimanendo impassibile. - Lo siamo Kim, non puoi negarlo. Ti porto a scuola tutte le mattine, pranziamo ogni weekend insieme in quella tavola calda desolata che ti piace tanto, e la sera...

- Sei il ragazzo di mia sorella- lo interruppi. - Quando vi lascerete non ci rivolgeremo nemmeno più la parola.

Colin si tolse gli occhiali e strofinò le lenti sul tessuto della sua maglietta. Contrariamente ad ogni mia previsione, nemmeno accennò a ribattere. Rimase zitto. Con il senno di poi, forse il suo silenzio mi destabilizzò più di quanto qualsiasi sua risposta, positiva o negativa, avrebbe potuto fare.

- Oh, andiamo, non dirmi che davvero pensi che convolerete a nozze!

- Non adesso, è ovvio- affermò. - Ma chi può sapere cosa ha in serbo per noi il destino?

- Destino?- gli domandai, scettica.

Ero più che certa che Colin non credesse nell'inevitabilità del fato, esattamente come la sottoscritta. Avevamo sempre avuto un punto di vista simile sul mondo, io e lui, un comune approccio scientifico nei confronti della realtà. La sorte, il caso e la fortuna non erano mai stati concetti in grado di attirare la nostra curiosità, e proprio per questa ragione faticai, a primo impatto, a comprendere le sue parole. Percependo probabilmente una certa titubanza sul mio volto, Colin mi rivolse un sorriso rassicurante, accompagnato da un occhiolino.

- Si fa per dire, Kimmy.

Alle mie orecchie giunse un'inconfondibile moltitudine di scoppi tutt'altro che rassicuranti. Sadie arrivò in salotto e si affacciò dalla finestra che dava sulla strada, spostando leggermente la tenda celeste davanti al vetro. Io neanche mi preoccupavo, ormai, e Colin- sempre in veste di residente abusivo di Villa Hill- aveva imparato a farci l'abitudine. La zona in cui vivevamo sarebbe stata con ogni probabilità la più tranquilla di tutta Santa Monica, se non fosse stato per il vicino e per quella stupida Cadillac rossa anni '80 che si ostinava a guidare, nonostante cadesse quasi a pezzi.

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