6. Con denti e unghie

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"Il più bello dei mari è quello che non navigammo. Il più bello dei nostri figli non è ancora cresciuto. I più belli dei nostri giorni non li abbiamo ancora vissuti. E quello che vorrei dirti di più bello, non te l'ho ancora detto".

[Nazim Hikmet]

~♧~

- Com'è andata la festa?- chiese Susan, spalmando un po' di marmellata su una fetta di pane tostato.

Nella mia testa andarono all'istante a comporsi immagini vivide della sera precedente, rappresentazioni nitide e cristalline come un cielo senza nuvole. Nonostante le attività sociali si distaccassero pressoché completamente da quello che reputavo il mio habitat naturale, dovevo ammettere che la festa di Colin, perfino ai miei occhi, si fosse rivelata tutt'altro che un fiasco. 

Avevo apprezzato la prima parte della serata, in cui l'entusiasmo generale non aveva sovrastato poi così impetuosamente il bagaglio culturale dei singoli invitati, e anche l'ultima, quando l'atmosfera aveva iniziato a calmarsi, e la musica a tutto volume era stata sostituita da vecchi successi degli anni '90 cantati intorno al fuoco. Il problema, come non era difficile intuire, si era posto nell'intermezzo tra quei due momenti. Nell'intervallo tra il primo e il secondo tempo, per usare termini sportivi.

E quell'intervallo, ovviamente, corrispondeva a niente meno che il lasso temporale in cui Hunter Price mi aveva rivolto la parola. Ma forse era meglio omettere quella parte, nel rispondere a Susan.

- Bene- mi limitai infatti a mormorare, con la voce ancora impastata dal sonno. - È stato divertente, vero Sadie?

Quella era un'altra tecnica di sopravvivenza che avevo imparato nel corso degli anni. Se non vuoi che l'attenzione sia incentrata su di te, sviala in modo discreto su qualcun altro. E mia sorella era sempre stata un asso, nel trovarsi al centro dell'attenzione.

Quella mattina, però, non sembrava molto in forma. Se ne stava zitta zitta, scura in volto, e continuava a spostare da una parte all'altra del piatto con la forchetta ciò che rimaneva delle sue uova strapazzate, senza mai alzare gli occhi dagli avanzi della colazione.

Austin- vedendo che Sadie non accennava a reagire- le diede una leggera gomitata sul braccio. Lei sollevò la testa, guardò mamma e papà per una frazione di secondo, e sorrise.

- Divertente, sì.

Contrariamente a quanto avevo sostenuto la serra prima, per evitare di toccare troppo esplicitamente la tematica"amore",  mia sorella non aveva bevuto molto durante la festa, o almeno non abbastanza per ritrovarsi in condizioni eccessivamente drastiche giunta la mattina, per cui esclusi a priori il mal di testa dalle cause del suo comportamento così strano.

Con il senno di poi, tutta la situazione mi sarebbe sembrata molto più chiara se avessi colto gli svariati segnali che Sadie mi aveva mandato, quasi sempre in maniera involontaria, nei giorni precedenti, ma capire le persone era sempre stato un mio grande limite, e per tanto nemmeno le mie capacità deduttive si stavano particolarmente rivelando utili, al momento.

La voce di Susan ruppe di nuovo il silenzio:

- A chi tocca lavare i piatti, oggi?

- A Kimberley!- si affrettò a rispondere Austin.

Piccolo moccioso scansafatiche.

- No, invece!- protestai.

- Si, è il tuo turno.

- È il tuo turno, moscerino!

Mio padre mi rivolse un'occhiata d'intesa, e nei sui occhi lessi, oltre alla solita complicità che aveva da sempre caratterizzato il nostro rapporto, un accenno di sicurezza. Aprì la bocca per darmi ragione- perché era evidente che Austin stesse mentendo- ma non ebbe il tempo di parlare.

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