Five

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Non avevamo molti argomenti su cui poter discutere, ma abbastanza per poter stare insieme un paio di minuti ogni giorno.
Avevo scoperto fosse l'unico figlio del proprio focolare domestico, la famiglia più illustre della città.
Egli veniva sotto false spoglie in questa libreria per non essere riconosciuto,
il rampollo di quella famiglia beccato a leggere libri proibiti, omosessuali per di più?
Sarebbe stato uno scandalo troppo grande da gestire, ciò avrebbe comportato non solo il diseredamento dalla propria famiglia, ma anche l'umiliazione pubblica da parte di tutta Seoul.
Era un segreto di cui solo io ero a conoscenza, ed ora anche queste pagine lo conoscono.
Io, esattamente come lui, mi sentivo come mi trovassi in una prigione più grande.
Ero passato da una semplice cittadina di campagna, ad una grande Metropoli come quella, tutto per poter cambiare e allontanarmi da quella quotidianità che mi stava distruggendo interiormente sempre di più.
Probabilmente questo fu anche uno dei tanti motivi per cui tentai, invano, di porre fine a questa mia dolorosa esistenza, caratterizzata perennemente da astio e disgusto, porto ancora tutt'oggi sul mio polso destro le cicatrici di quel mio folle atto.
Ai tempi era semplice nasconderle, sopratutto dato il mio abbigliamento sul lavoro, caratterizzato da camicie lunghe, eppure quella giornata mi ripiegai più volte le maniche a causa del calore provato dopo aver riposato pile e pile di libri.
Rammento bene che quel dettaglio non sfuggì a quel ragazzo che scrutò con attenzione quel mio taglio, mi prese con gentilezza il braccio passandoci le dita sopra, sempre con cautela, forse con la paura di potermi fare più male di quanto non ne avessi già provato.
Mi chiese perchè lo avessi fatto, ed io gli risposi di essere uno scherzo della natura, un malato incurabile.
Le sua risposta fu semplicemente questa:
"Allora questo vuol dire che malati siamo in due.

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