Dopo avermi sentita urlare, Sebastian mi seguì senza pensarci neanche due volte. Mentre camminava lo sentivo borbottare qualcosa che non capivo. All'improvviso lo sentii aumentare il passo quasi in una corsa, infatti mi superò e mi si parò davanti. Mi afferrò il braccio. Lo pregai più volte di lasciarmi andare - era il braccio che mio padre aveva colpito con la cinghia, - tentai anche di liberarmi della sua presa, ma senza alcun successo. Mi tirò verso di lui, facendomi scontrare col suo petto; sentii dei brividi. Mi chiese il motivo per cui avessi urlato, ma io non risposi cercando di divincolarmi, come un tonno in una rete. All'improvviso lo sentii arrabbiato più che mai. <<Ferma>> mi ordinò. Non lo ascoltai.
<<Spiegami che cavolo vuoi, Sebastian>> chiesi io.
Lui alzò il mio viso verso il suo, in modo che i nostri occhi potessero incontrarsi. Notato che stavo piangendo, mi guardò con dolcezza. <<Non volevo urlare>>. Non mollava la presa. Lo supplicavo di lasciarmi ma non mi ascoltava. <<Che cosa hai visto poco fa' che ti ha fatto urlare, Josie?>>
Non volevo parlare con lui. Lo odiavo come si può odiare qualcuno che picchia gli animali indifesi. Lo odiavo come odiavo mia madre, sempre presente quando non doveva e sempre assente quando ci sarebbe dovuta essere. Ma l'incontro con i suoi occhi mi fece cedere. Mi decisi a parlare, ma tra un singhiozzo e l'altro, la testa iniziò a farsi pesante e persi i sensi. Lui aveva una bottiglietta d'acqua che mi svuotò sul viso. Il contatto freddo mi fece riprendere quasi subito.
Mi portò in un'aula in modo che, stando seduta, ero più rilassata e non sarei svenuta. Lui mi ripeté la domanda e io finalmente risposi. <<Ho rivisto mio padre>>. Mi scappò un singhiozzo. Mi portai una mano alla fronte. <<Aveva in mano una cinghia. Non ha parlato ma sono sicura stesse pensando quello che pensava sempre quando lo faceva. "È per il tuo bene". Si avvicinava minaccioso e io non riuscivo a muovermi. Ero come incollata al pavimento. Ho urlato perché mi ha colpita sul braccio. Lo stesso che mi hai afferrato tu poco fa'. Era per questo che ti supplicavo di lasciarmi. Non so a chi dirle queste cose. Non sa quasi nulla neanche Kayla>>.
<<Com'è possibile? Ma se le racconti ogni singolo momento della tua vita>>. Gli scappò una risata.
<<Come faccio a dirle che mio padre mi...>>
Non volli dire l'ultima parola perché mi vergognavo. Ma lui aveva capito. <<Scusami per prima. Non ti volevo chiamare sfigata. Sono stato uno scemo. Perdonami>>. Mi accarezzò una mano, ma io mi ritrassi. Mi faceva ribrezzo che i maschi mi toccassero. Lui non si arrabbiò anzi, sorrise. Mi guardò come se fossi indifesa e mi chiese se avessi bisogno di un passaggio.
Stavo per dirgli che non ne avevo bisogno. Ma se poi mia madre non fosse venuta? Decisi di accettare.
Mise in moto dopo avermi lanciato un'occhiata. <<Ti andrebbe...>> iniziò a chiedere, <<di continuare il nostro lavoro?>>
Non avrei mai immaginato che me lo chiedesse. Non volevo incontrare i suoi occhi, ma era impossibile. <<E il tuo allenamento?>>
<<Mancano ancora tre ore. Poi ho il promemoria>>.
Allora decisi di dire che ero d'accordo.
Arrivammo a casa mia e come al solito c'era mia madre che se ne stava abbracciata con Edward, il che mi provocò un senso di irritazione. Sebastian mi chiese come mai mio padre non fosse in carcere. Io gli spiegai che dopo il divorzio e la condanna di mio padre, aveva iniziato a frequentare l'individuo che era nel salone di casa mia, ovvero il suo avvocato. Salutai con poca attenzione mia madre, pensai meno male che mi sono fatta accompagnare da lui o sarei rimasta a scuola.
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La pioggia non ci tocca.
RomanceLa storia sarà corretta il prima possibile. Josie ha 15 anni. Frequenta il liceo linguistico di Cleveland. È introversa. Non parla con nessuno se non con il suo confidente Kevin e la sua migliore amica Kayla; tende a tenersi tutto il male dentro e...