Venerdì 22 maggio 2020
Oggi mi sono svegliato, ma non con il buon umore. Purtroppo oggi ricorre l'anniversario dall'attentato che è accaduto a Manchester, tre anni fa. A primo impatto potrebbe sembrare bizzarro o semplicemente strano: perché ricordare proprio questo attento e non le altre centinaia di migliaia che accadono quotidianamente? Io presto attenzione e do il giusto peso, la giusta importanza a tutti i fatti di cui vengo a conoscenza. Ovviamente, durante i servizi televisivi non sentiamo parlare di ogni singolo avvenimento, perché sarebbe impossibile trattare di ognuno di essi in trenta minuti di messa in onda. Tuttavia, ne risento particolarmente, quando si tratta di quest'anniversario, di quest'attentato nello specifico, poiché ha riguardato una delle mie cantanti preferite: Ariana Grande. Ventidue persone hanno perso la vita quella sera, e non c'è giorno in cui io non mi capaciti di come ciò sia accaduto veramente.
Sfortunatamente, ricordo molto bene quel periodo. Era il 2017, per l'appunto, e Ariana era in tour per pubblicizzare il disco uscito l'anno precedente. In quel periodo, tra maggio e giugno, stava percorrendo l'Europa; una delle tappe del tour era proprio Manchester. Mi ricordo di essermi svegliato il giorno seguente dell'accaduto e che mia madre mi ha dato la notizia, dicendomi che c'era stato un attentato a un concerto. Non avevo ancora capito fosse stato quello di Ariana. Ora, a prescindere dal cantante e di chi fosse il concerto, questo fatto mi avrebbe colpito profondamente in una qualsiasi circostanza. I concerti sono un luogo, un momento, in cui io mi sento sicuro, ma è la stessa sensazione anche per tanti altri adolescenti e, perché no, adulti. Può sembrare strano e anche stupido; l'adrenalina pre-concerto, l'emozione di avere il biglietto tra le mani, di vedere una persona che fa tanto per te, semplicemente rilasciando musica, è indescrivibile. Ariana per me è questo. Con la sua musica mi ha aiutato molto, in svariati momenti in cui mi sentivo giù o in cui non emanavo felicità e spensieratezza all'ordine del giorno. Appena ho appreso la notizia, ho avuto un tonfo al cuore, perché non potevo credere al fatto che delle persone pressoché coetanee a me avessero perso la vita, la sera in cui fremevano dalla gioia di vedere il loro idolo dal vivo. Mi ha straziato ancora di più sapere che di lì a poche settimane avrei assistito anch'io al suo concerto. Per un paio di settimane girava voce che il tour sarebbe stato cancellato, ma così non è stato. Ciò che ho provato quella sera di giugno non credo si possa descrivere a parole, o almeno in modo comprensibile, perché ero veramente felice, ma al contempo terrorizzato. Avevo paura che potesse accadere qualcosa, nonostante i controlli fossero rigidi e numerosi. Proprio durante l'ultima canzone della serata, non sentivo più quella gioia di essere lì, in quel palasport con tanti altri ragazzi della mia età, o poco più grandi, a condividere un momento che avremmo ricordato per sempre. Si stava creando una sensazione d'insicurezza, di scomodità, in un certo senso, e non vedevo l'ora di uscire.
Ho raccontato ciò perché credo si possa collegare, a grandi linee, con ciò che la nostra mente ha vissuto in questi mesi di quarantena forzata. Provare emozioni contrastanti, quasi in lotta tra di loro, tra l'intento di voler affrontare al meglio l'ennesima giornata chiusi in casa e l'impatto difficoltoso e crudo con la realtà, la pandemia che stiamo tuttora affrontando, non è stata una passeggiata. Da lunedì 18 maggio molte attività hanno riaperto, in maggior numero rispetto alla prima riapertura generale del 4 maggio. Si parla, infatti, di un "primo ritorno alla normalità", un ritorno che io non ho ancora avuto di modo di percepire in prima persona. Ho preso molto seriamente la quarantena che abbiamo vissuto negli scorsi mesi; difatti, non sono uscito se non per gettare la spazzatura, il che è consistito nell'attraversare la strada e tornare indietro verso il portone di casa. Non nego che la paura di questo virus, della situazione che stiamo affrontando, in realtà, che ancora mi sembra così surreale, ha preso il sopravvento. So già che a settembre, quando e se riapriranno le scuole e si ritornerà in classe, dovrò abituarmi alla realtà. Non entro in quel luogo da marzo, io così come il resto del mondo. Non entro in tanti luoghi, in realtà, da quel giovedì pomeriggio in cui è stata ufficializzata la chiusura delle scuole.
Mi manca uscire, e non dirò "senza una meta precisa", perché purtroppo non vivo in mezzo alla natura e non c'è modo di recarsi in un luogo non artificiale che offra una vista mozzafiato, non che io sappia, almeno. Seppur io percepisca questa mancanza, dall'altra parte non ne sento la voglia o la necessità, di uscire, e anche questa sensazione mi spaventa molto. L'effetto di questi mesi rinchiusi in casa ha giovato molto sulla salute mentale, e lo percepisco per certo. Sento la stanchezza gravarmi sopra durante tutta la giornata, e nonostante ciò, non riesco a prendere sonno facilmente. Mi sveglio, in poche parole, all'alba e anche questo influisce sull'andamento della giornata, perché sento di non aver ottenuto l'energia sufficiente per svolgere tutte le attività che devo fare. Sicuramente nelle prossime settimane, magari quando sarà finita scuola e avrò più tempo per fare ciò che mi piace, uscirò e cercherò di approcciarmi a questo nuovo stile di vita, al quale dovremmo abituarci e obbedire per chissà quanto. Al tempo stesso, la paura di non familiarizzarci è molta. Ho paura che questa "libertà" che ci è stata consentita, quindi di poter uscire liberamente rispettando le norme di sicurezza per prevenire i contagi, possa, al contempo, rinchiuderci in uno spazio microscopico e limitarci. In fondo, c'è anche la speranza e la certezza che tutto ritornerà come prima, perché un giorno dovrà essere così, ma lo sconforto attuale, da parte mia, è veramente alto.
Se all'inizio di quest'ultimo aggiornamento sulla mia esperienza in quarantena ho trattato dell'attentato e dei concerti, è perché credo che questi ultimi siano tra le attività che più mi sono mancate negli scorsi mesi e di cui sentirò la necessità nei prossimi. Mi mancherà ritrovarmi in un luogo adibito al divertimento in sicurezza, alla musica dal vivo, che è sempre nettamente superiore a quella che si ascolta su Spotify. Prima o poi, si tornerà a tutto quello che abbiamo lasciato a marzo, quando questo virus se ne andrà. Ho citato anche l'attentato, perché ha, ovviamente, avuto conseguenze su tutte le persone che erano lì presenti, dal punto di vista fisico, per chi ne è rimasto ferito, e mentale, per chi è riuscito a salvarsi.
Credo che questa pandemia abbia permesso, ad alcune persone, di rivalutare le priorità della vita e certi aspetti di essa. Purtroppo, il cambiamento non è stato globale, così come la diffusione del virus, perché la superficialità e noncuranza di tante persone si è vista già da queste prime riaperture, pensando bene di non rispettare pienamente le norme di distanziamento e prevenzione. So per certo, però, che ho capito che la vita è capace di essere spazzata via da una folata di vento, per quanto sia fragile e leggera; in questi mesi abbiamo già "perso" abbastanza tempo, ma d'altro canto, si è avuto modo di auto-esaminarsi in una situazione di precarietà e difficoltà, di poter valutare e analizzare i propri comportamenti, le proprie reazioni ed emozioni. Si è avuto modo di coltivare passioni che erano state accantonate tempo prima per un motivo incognito. Si è anche avuto modo di crescere.
Quindi, per concludere, quando tutto ritornerà come prima o, per lo meno, quando comincerà questa nuova realtà anche per me, tenterò di approcciarmi alla vita con uno sguardo e una visione completamente diversi, tenendo conto di come tutto possa smaterializzarsi in un nanosecondo.
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Tornare alla normalità
General FictionTutto è cominciato come un compito da consegnare alla professoressa di Italiano. "Scrivete un diario di quarantena in cui raccontate le vostre sensazioni". Col tempo è diventato molto di più di un semplice "compito scolastico". In "Tornare alla nor...