4. I Am You

44 5 0
                                    

"Per noi che normalmente siamo qui,
affascinati dalle immagini"

Fino a quella mattina, non capivo di non essere mai stata veramente triste. Ne ero convita, si, ma mi sbagliavo. Si è tristi quando ciò che abbiamo perso non può più tornare indietro, anche se lo volessimo. Io, prima di quel giorno, ero triste per qualcosa che non avevo, all’epoca, ma solo dopo avrei capito cos’era. Capitano tante cose nella vita, ma come diceva mia madre, l’importante è superarle.

Durante quella notte qualcosa mi fece svegliare, pensai ad una telefonata. Dopo, però, non sentii voci, e pensai di averla solo sognata. Magari…

Non posso dire di aver dormito bene durante quella notte, perché non è stato così. Qualcosa mi diceva che non era tutto ok, ma io cosa potevo saperne: avevo saputo da poco dei miei pensieri legati alla morte.

Mi ricordo di aver fatto degli incubi, ma quando mi svegliai li avevo dimenticati. Ricordo solo che uno mi aveva fatto svegliare con il cuore che batteva all’impazzata.

Mi alzai dal letto presto. Mi guardai allo specchio: ero pallida, (più di quello che fossi normalmente), sotto agli occhi avevo delle occhiaie molto scure. Andai in cucina e trovai mia madre, che si svegliava sempre prima di me e mio padre. Infatti, a mia sorpresa trovai anche quest’ultimo, che non aveva quest’abitudine. 

Mi sorrisero stanchi dolcemente. 

“Buongiorno Camille” mi disse mio padre.

“’Giorno” risposi.

“Guarda ho preparato i cornetti al cioccolato, quelli che ti piacciono tanto” esclamò mia madre indicando un piatto di cornetti caldi appena sfornati.

“Oh, grazie” e poi li iniziai a mangiare.

Andai a fare una doccia e mi vestii. Nel frattempo, ebbi numerosi giramenti di testa e per poco non svenni: diedi la colpa al non aver dormito bene.

Uscii per andare a scuola, dove stranamente non vidi né Beck, né Margaret. Solo dopo, mi ricordai che Beck doveva rimanere a casa perché sarebbero arrivati i parenti dall’Arizona e voleva passare del tempo con loro, mentre Margaret doveva fare delle visite.

Il tempo era veramente nuvoloso, non faceva troppo freddo, ma soffiava un po’ di vento.

In classe non riuscivo a prestare attenzione: il mio corpo era lì, ma anima e mente erano in un altro posto. L’insegnante mi chiese numerose volte se ci fosse qualcosa che non andava, ma io mi limitavo a rispondere con “Tutto ok”.

Alex mi fece la stessa domanda e disse che avevo lo stesso aspetto dell’anno scorso, quando avevo le visioni che mi avevano “messo in testa” gli Incroci.

Alla fine delle lezioni decisi di passare da Beck lo stesso. Suonai numerose volte il campanello e ad aprirmi fu un uomo non troppo giovane in giacca e cravatta. Aveva un’espressione arrabbiata.

“E tu chi sei?” mi disse con gli occhi socchiusi.

“Sono Camille, la ragazza di Beck…mi dispiace interrompere la vostra riunione di famiglia, ma volevo vedere Beck; è una cosa importante” dissi cercando di forzare un sorriso per sembrare gentile.

“Beck?” chiese.

Assunse un’espressione più triste.

“Un attimo” disse per poi socchiudere la porta e rientrare.

Con il super-udito riuscii a sentire qualche voce, ma poi la porta si riaprii.

“Camille cara” disse la mamma di Beck.

Era vestita completamente di nero, aveva un velo dello stesso colore in testa e gli occhi di chi aveva pianto tutta la notte.

“Ho chiamato a casa tua stanotte, ma ho detto esplicitamente di non raccontarti nulla di ciò che è successo”.

“C-cosa è successo?”.

“Accomodati dentro”.

Dentro casa tante persone in nero parlavano tra di loro. Ed io avevo una felpa bianca…

“Tieni, è the” mi disse la signora Wilson porgendomi la tazza.

La presi iniziando a sorseggiare la bevanda.

“È un po’ difficile da dire. Non credo di aver mai sofferto così in vita mia. Beck questa notte... ci ha lasciati” disse con gli occhi lucidi.

La tazza mi cadde dalle mani finendo sul pavimento, attirando l’attenzione di tutti.

Per la prima volta mi ritrovai senza parole, ma solo con lacrime. Non me ne fregava molto se qualcuno mi avesse vista piangere.

È tutta colpa mia, è tutta colpa mia, è tutta colpa mia” 

Non l’avevo protetto. 

“O-ora d-dov’è?” chiesi tra le lacrime.

“Di sopra, sembra che stia dormendo…”.

“No” risposi secca “non ce la farei”.

La signora annuì e mi venne incontro per abbracciarmi.

Andai via, tremavo tutta.

Mi mancava un pezzo di me ora.

La vista si appannò, a testa girava troppo: riuscii ad appoggiarmi al muro prima di perdere i sensi.

Nessuno mi diede una mano. Mi risvegliai sempre in strada dopo un po’, mentre pioveva. Non riuscivo ad alzarmi: presi il telefono e chiamai il primo numero che uscì: Meredith Walker.

Uno squillo, due squilli, tre squilli.

“Camille!” mi disse lei allegra.

Riuscii solo a dirle il nome della via in cui ero, prima di perdere ancora i sensi.

“Camille!” disse lei, ma questa volta era lì vicino a me, ed era preoccupata.

Riuscii ad aiutarmi e a portarmi nel covo, non capii come sapesse.

Facendomi sedere e calmare, riuscii nuovamente a parlare.

“Beck se n’è andato” le dissi mentre lei era in piedi.

“Cos-ah!” disse mentre anche lei non riusciva più a tenersi in piedi. Si sedette.

“Come sai di questo posto?” le chiesi.

“Camille, io so tutto” disse triste con una mano in fronte. Riusciva a mantenere quella sua classe, nonostante tutto.

“Come fai?” le chiesi.

Io sono te”.




You, Me and the ArrowsDove le storie prendono vita. Scoprilo ora