I passi riecheggiavano rumorosi sui ciottoli che componevano il vialetto centrale del sontuoso cimitero. La giornata era splendida. Non tanto per l'evento al quale i presenti si apprestavano ad assistere, bensì in virtù del sole che, alto in cielo, risplendeva irradiando luce su tutto l'ambiente circostante. Le lapidi in marmo riflettevano i raggi solari e creavano un'atmosfera surreale. Un venticello leggero soffiava da nord, insinuandosi nelle giacche del manipolo di persone radunatosi al centro del cimitero. Due fossi erano stati scavati, e altrettante bare erano poste nei pressi di un vecchio prete che, guardandosi ripetutamente attorno, si schiarì la gola e zittì istantaneamente i presenti. Questi, con la sua voce possente e forte, iniziò a recitare il proprio sermone conclusivo che, come da tradizione, metteva fine alla veglia funebre. Avevano accompagnato i due corpi dalla Chiesa al cimitero, pregando a mani giunte per l'assoluzione delle loro anime e la venuta in Paradiso, anche se le persone lì presenti erano certe che essa non sarebbe stata possibile. Almeno, per uno dei due corpi. Tutti conoscevano i peccati di Samuel Garrington, e quello, seppur involontario, di uccidere la madre non poteva che essere il coronamento di una vita passata ad ignorare i canoni della Chiesa Cattolica. La stessa cerimonia era una mera formalità. Anche il prete, Paul Sparthen, parroco della Saint Anthony, sembrava svolgere il rito semplicemente per necessità, non per interesse.
«È nella morte che i figli del Signore trovano pace ed è nella vita che noi li commemoriamo. Diamo l'ultimo saluto a Leyla e Samuel, nella convinzione che, raggiunto il Signore, siano in un posto migliore» recitò Paul, poco convinto lui stesso delle proprie parole. I presenti erano sei, ad esclusione dell'anziano sacerdote, e si misero in fila dinnanzi alle due bare in legno massiccio. Il primo non poteva che essere Jackson. Scuro in volto, raggiunse i feretri e si fermò dinnanzi a loro. I suoi occhi azzurri erano spenti, vuoti, segnati da quell'esperienza inimmaginabile. Le occhiaie marchiate e i capelli neri arruffati erano gli evidenti segni dei ripetuti pianti che aveva consumato nei giorni precedenti. Ma, in quel momento, era freddo come non mai. Aveva esaurito le emozioni, aveva terminato le lacrime. Era lì, pronto a salutare per sempre la persona più importante della sua vita. Col suo completo scuro e lo sguardo assente, posò una mano sul legno della bara di Samuel. Era fredda, proprio come lui e come quella giornata autunnale. Sentì un sussulto al cuore e distolse lo sguardo dal coperchio di legno. Deglutì rumorosamente, poi scosse il capo e si allontanò. Non aveva senso dire nulla. Samuel sapeva quanto lo avesse amato. Sapeva quanto fosse stato importante per lui e, ovunque lui fosse, era a conoscenza della sofferenza che provava in quel momento. Era la sua metà, il suo mondo, la parte migliore di lui. Era la sua coscienza, il suo migliore amico, il suo partner. Era tutto ciò che lui non sarebbe mai riuscito ad essere: solare, divertente, intelligente. Serrò la mandibola, ma una lacrima prese a rigargli il volto pallido. Si asciugò subito, osservando gli altri procedere verso i feretri. Quando vide il più giovane tra i presenti chinarsi sulla bara di Leyla Garrington, si sentì mancare per un momento. Lo vide accarezzare il legno con una dolcezza travolgente. Le lacrime presero a scorrergli senza controllo e non si preoccupò di nascondere quella debolezza, perché non importava più. Stava assistendo a quella scena, stava vedendo un figlio salutare la madre e il fratello. Tutto quello che aveva era lì, in quei gusci di legno, pronti a essere sepolti e dimenticati da tutti. Ma non da lui, non da quel ragazzo che, in una singola notte, aveva perso tutto. Probabilmente ancor più di quanto non avesse perso Jackson. E, con quella dolcezza più unica che rara, sussurrava qualcosa al feretro della madre. Jackson dovette distogliere lo sguardo. Sentiva il cuore scoppiargli nel petto, sentiva la testa esplodergli da quanto stava vedendo. Si prese il volto tra le mani e cominciò a singhiozzare. Cosa ne sarebbe stato di quel ragazzo? Cosa ne sarebbe stato di Thomas Garrington? Essere affidato ai servizi sociali a quindici anni poteva distruggerlo, sempre ammesso che la morte della madre e del fratello non lo stesse già facendo. Una mano gli toccò la spalla. Si asciugò il viso e si voltò. Vide i capelli rossi e il volto sorridente di Paige. Era un sorriso tirato, obbligato, un gesto puramente di sostegno. Non c'era nulla da ridere, in quella splendida giornata autunnale.
«Ehi, andrà tutto bene» gli disse. Jackson scosse il capo. Per lui, forse, sì. Ma per Thomas? Lui sapeva cosa significava il sistema, conosceva i servizi sociali e sapeva le violenze delle quali le famiglie affidatarie erano capaci. Le aveva provate sulla sua pelle, più e più volte.
«Cosa... cosa ne sarà di lui?» le domandò. Paige alzò le spalle, afferrandogli le mani.
«La sola zia Viola è rimasta in vita, penso che si occuperà lei di lui» spiegò la donna. Jackson annuì, cercando di riprendersi. Paige era la migliore amica di Samuel, ed era stata vicina a lui da quando Sam se n'era andato. Lo aveva aiutato a riprendersi, a tirarsi su. Erano passate due settimane da quel momento, e ancora Jackson, quando tornava a casa, cercava la voce di suo marito spuntare dal salotto, commentare qualche partita di football e raccontargli la sua giornata. Poteva immaginare quei momenti come fossero reali, veri. Era stato sposato con Sam sei anni, da quando era solamente ventenne. Jackson aveva lasciato l'università per seguire il loro amore, per stare con lui. Erano stati i sei anni più belli della sua vita.
Gli operatori del cimitero raccolsero le bare con un macchinario e le depositarono lentamente nelle due buche. Il prete afferrò un cumulo di terra e lo gettò sulla prima, poi fece lo stesso con la seconda.
«L'eterno riposo dona o Signore, questo nostro fratello, questa nostra sorella e tutti i morti in Cristo, per la misericordia di Dio, riposino in pace» recitò. Paige, che fino a quel momento era stata la roccia di Jackson, la sua spalla, il faro che gli impediva di finire alla deriva, iniziò a singhiozzare. Come al solito, Jackson era stato egoista. Non aveva pensato a quanto lei stesse soffrendo. Sam era per lei come un fratello, e conosceva sua madre da quando era nata. Così le circondò le spalle con un braccio. Lei si chinò su di lui e appoggiò la sua testa sul petto dell'uomo, concedendosi un pianto liberatorio. Jackson, invece, continuò a guardare freddamente la scena. L'anziano prete stringeva le mani di quei pochi amici di famiglia che Sam e Leyla avevano, ignorando completamente il figlio della povera donna che fissava la scena inerme. Jackson poteva sentire la sua sofferenza, ed era ancor più forte di quella che provava lui. A quindici anni, perdere tutto, era devastante. Nessun amico era presente lì, nessuno che lo aiutasse, che lo consolasse. La fantomatica zia Viola non era lì, e quel ragazzo era fottutamente solo, abbandonato a sé stesso. Jackson strinse per un momento Paige a sé, abbracciandola e cercando di sostenerla come poteva, poi si svincolò e la guardò negli occhi, sorridendole amaramente come lei prima aveva fatto con lui.
«La supereremo» promise. Lei annuì, asciugandosi gli occhi verdi. Tutto il trucco era colato sul suo volto devastato dalla perdita subita. Jackson si morse un labbro, poi indicò col mento Thomas. Lei lo guardò per un momento, quindi tornò a fissare il vedovo.
«A cosa stai pensando?» domandò. Lui guardò a terra, notando come i ciottoli del vialetto assumevano forme differenti a seconda della luce del sole che si rifletteva su di essi. Sam avrebbe detto che quella era la magia della natura, che in maniere assurde gli mandava dei messaggi. Ricordava bene quando, otto anni prima, lo conobbe durante un'uscita in barca con i suoi amici. La sera, quando stavano rientrando, si erano visti sul ponte. Non avevano mai parlato molto, anche se erano nella stessa squadra di football e avevano frequentato le scuole superiori assieme. Avevano scelto la stessa università per motivi diametralmente opposti: Samuel era lì con una borsa di studio per lo sport, aveva un promettente futuro davanti a sé. Jackson, invece, studiava economia, cercando di rendere suo "padre" orgoglioso di lui, e giocava per la squadra anche se non era mai stato un campione. Sam gli aveva indicato le nuvole. Assumono forme diverse in base a come le guardi. Quella lì, ad esempio, la vedi? Sembra che ci stia dicendo qualcosa, vero? Potrebbe assomigliare a una tartaruga. Forse il destino ci sta dicendo che stiamo tornando indietro troppo lentamente e beccheremo la pioggia, gli aveva detto. Jackson era scoppiato a ridere nell'udire quella frase, pensando che fosse totalmente fuori di testa. Poi, qualche minuto dopo, aveva iniziato a piovere e lui aveva immediatamente visto il sorriso dipinto sul volto dell'altro. Lì aveva capito che si sarebbe presto innamorato di lui.
«Non posso abbandonarlo» rispose semplicemente, tornando alla realtà. Fece qualche passo in avanti, superando il prete, e raggiunse Thomas. Questi nemmeno si accorse che non era più solo: era ancora intento ad osservare la scena dinnanzi a sé, a contemplare la fosse dove sua madre stava venendo sepolta. Jackson gli mise una mano sulla spalla, facendolo così voltare. Gli sorrise, cercando di trasmettergli qualche sensazione positiva.
«Mi dispiace per la tua perdita» gli disse Thomas, anticipandolo. Jackson serrò la mandibola e si impose di non tornare a piangere. Non sarebbe stato utile, e non avrebbe aiutato il più giovane.
«Ora sembra durissima, ma passerà. So che non sembra, so che apparentemente è tutto così complicato, ma ti giuro che passerà, che il tempo curerà anche queste ferite profonde e dolorose» tentò di convincerlo Jackson. Il problema, però, era che nemmeno lui era veramente convinto delle proprie parole. Thomas si passò una mano tra i capelli scuri e lo guardò negli occhi. A Jackson venne un colpo al cuore nel notare quanto fossero simili a quelli di Sam. Erano esattamente della stessa tonalità di grigio, un colore assurdo che il più grande mai aveva visto prima di incontrare quello che sarebbe stato suo marito. La differenza era la tristezza che annebbiava le pupille di Thomas, che oscurava quel bellissimo grigio e lo faceva sembrare tetro, indifferente, lontano.
«Ne sei sicuro?» chiese. Jackson sentì la bocca secca e chiuse un momento gli occhi. Li riaprì, appoggiandosi con la schiena al tronco di un albero.
«No» ammise. Si odiò per quella sincerità. Aveva deciso di sostenerlo, di aiutarlo, ma non poteva mentirgli in quel modo. Non poteva fargli credere che sarebbe passato facilmente, che non avrebbe più sentito la mancanza della madre e del fratello, che avrebbe risolto tutto solamente col tempo. Non poteva. «Però possiamo fare in modo che questo diventi possibile.»
«Come?» domandò il più giovane. Jackson lo guardò, sentendo il caldo di una lacrima bagnargli la guancia. Gli ricordava talmente tanto Sam, da fargli venire delle fitte al cuore. Quando si era innamorato del suo futuro marito, aveva solo due anni e mezzo in più dell'età che aveva Thomas in quel momento, e i due si assomigliavano tantissimo. Così, gli tornò alla mente quella maledetta notte di due settimane prima. Avevano litigato duramente solo poche ore prima che lui morisse. Jackson gli aveva detto cose che non pensava, gli aveva detto che si era pentito di averlo sposato, di aver mollato l'università, di aver deluso la sua famiglia. Ma si erano chiariti subito dopo. Loro due non erano mai riusciti a litigare veramente, a rimanere divisi. Erano fatti l'uno per l'altro e avevano sempre avuto bisogno l'uno dell'altro. Si erano promessi a vicenda di non discutere più in quel modo. E, in effetti, non l'avrebbero mai più fatto. Sam doveva andare a prendere la madre all'aeroporto. Jackson gli aveva detto di stare attento, che il tempo era tutt'altro che clemente. Sam gli aveva sorriso, in quel modo che solo lui sapeva fare. Ti amo, gli aveva ricordato, prima di uscire dalla porta di casa e non tornare mai più. Quando, poche ore dopo, Jackson aveva ricevuto la chiamata dall'ospedale, aveva pensato che fosse uno scherzo. Solo successivamente si era reso conto quanto tutto fosse reale.
«Ricordandoli. Non dobbiamo dimenticare i momenti passati con loro, ma dobbiamo ricordarli, sorridendo e pensando a quanto siamo stati fortunati ad averli» spiegò. Thomas si prese qualche secondo, poi annuì.
«Mi sento così solo» fece, con un filo di voce, il più giovane. Jackson deglutì, poi si sporse verso di lui e lo cinse in un abbraccio fraterno. A quel punto, sentì Thomas iniziare a piangere sulla sua spalla. Era riuscito a trattenersi sino a quel momento, ma quella liberazione gli avrebbe fatto bene. Non serviva essere freddo, non c'era nessuno col quale dovesse nascondere le proprie debolezze. Poteva lasciarsi andare, poteva liberarsi da ogni fardello. Quindi, si divincolò e si asciugò gli occhi, guardando Jackson. Questi gli sorrise ancora.
«Non lo sei. Io ci sarò sempre, e questo te lo prometto. Per ogni cosa, per ogni stupidissima cosa della quale puoi aver bisogno, devi soltanto chiedere. E ti giuro che non ti dirò mai di no. Non sei solo, Thomas.»
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Un Nuovo Inizio
Teen FictionSe avessero chiesto a Jackson Hunt come si sarebbe immaginato a 26 anni, non avrebbe certo risposto vedovo e tutore di un adolescente, Thomas Garrington, in una piccola e sperduta cittadina dell'Oregon. Eppure, a volte la vita riserva sorprese all'a...