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Occhi, sono castani...e una vita fa, qualcuno aveva detto che quando sei felice luccicano. Stronzate.

"Madre io vado". Dalla stanza della televisione un 'si' sottovoce; da almeno cinque anni lei invecchia così, passandoci davanti la gran parte del suo tempo: consuma la sua vita come io faccio con la mia, entrambi ci trasciniamo, entrambi abbiamo perso la nostra direzione e le possibilità di ritrovarla sono scarse.
Dalla porta socchiusa torno allo specchio e mi guardo senza ritrovare quelle scintille d'oro: io mi chiamo Paolo e dimostro dieci anni in meno della mia età: molte persone, maschi in particolare, pagherebbero io penso per questa condizione di cose, per essere cioè dei piccoli Dottor Faust a cui un Mefistofele personale ha concesso di essere impervi a rughe, acciacchi, cambiamento dei tratti fisici e soprattutto diradamento dei capelli...probabilmente perché non sanno cosa significhi vivere una quotidianità sospesa fra due mondi opposti, quello dell'adolescenza e quello dell'età adulta, senza che nessuno dei due ti accetti: perché questo essere resistente al tempo che passa non si accontenta di rimanere una stranezza estetica, ma negli anni mi ha generato una forma mentale non comprensibile, demente se vogliamo, comunque oggettivamente deviante e, per questo, temuta sia dalle persone che sento affini a me, sia dalle persone a cui è stabilito dovrei esserlo.

Sorrido; di solito questi film me li faccio nei momenti di bisboccia: al momento invece, oltre ai soliti tre shot di sambuca a stomaco vuoto (e sono solo le sette meno dieci del mattino) sono completamente sobrio.
Tu sei un valore disatteso mi ripeto accarezzando l'ovvio, trovandolo per me stesso confortante e inaccettabile: e in virtù di questo non posso essere accettato che cambiando la mia natura...ma se cambiassi, io non sarei più io. E non sarei più felice di adesso.

Sfioro la mia immagine riflessa, poi ci sputo sopra, quindi pulisco lo specchio, esco dal bagno, mi metto la borsa a tracolla (preparata come sempre la sera prima) ed esco di casa apprestandomi a guidare per una ventina di minuti dal piccolo paese dove abito fino al centro di Torino: oggi è il quattordici Settembre duemilaventi, il primo giorno di scuola di un nuovo anno scolastico, e la ragione per tirare avanti da qui a Giugno sarà il rendere la vita impossibile a qualche assortito branco di piccoli stronzi cialtroni figli di papà.

Odio questo lavoro e i miei occhi confermano dal retrovisore: specchio dell'anima, dicono...forse è per questo che sono così vuoti.

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Occhi, sono grigi...e alle sei emmezza di mattina nelle palazzine di Mirafiori Sud, hanno due borse che sembrano quelle dell'Ekom.

Dal cesso sento papà che parla nel sonno, oltre i muri sottili di cartongesso, e guardo la macchia di vomito mezza dentro e mezza fuori dalla tazza: sono sei anni che beve, lo fa da quando la stronza se n'è andata, io non ci faccio manco più caso...ma se ce l'avessi davanti le spaccherei la sua faccia da troia.

Mamma perché sei andata via? Dò una manata alla mia immagine, la luce trema, l'armadietto tintinna, qualcosa cade, qualcos'altro rotola e dopo un momento le pillole di Xanax iniziano a cadere dall'antina e si spargono sul pavimento sporco. Ma porcoddio.
La chiudo con un'altra manata, mi chino a raccoglierle, mi rialzo e ritrovo i miei occhi sotto una frangia di capelli rossicci e corti, sopra una fronte con qualche brufolo, gli zigomi piatti e un naso a patatina: sono grandi i miei occhi, sono rotondi e grigi, sono le uniche cose che mi piacciono della mia anonima faccia da cazzo: Sabrina Ferilli, sedici anni...e non c'entra nulla la tipa famosa, manco per niente!

Sorrido fra me scuotendo la testa, faccio cadere la manciata di pillole nel bicchiere vuoto assieme al rasoio di papà, poi ne prendo una...e rialzando la faccia incontro il mio sguardo.
Papà beve da sei anni, non mi ha mai alzato le mani e non è mai andato a lavorare ubriaco...fino a quando, naturalmente, lavorava: poi grazie al Coviddì l'impresa è andata affanculo e ciao-ciao al porcoddio!

"No...no! Vatt'enn...vatt'enn!!!".

Sussulto, la pillola mi scappa e rotola nello scarico: mi ritrovo a fissare il muro, lo sento che respira grattando, troppe rosse (e anche troppo rosso) ma una parte di me lo capisce.
Papà ha quarantacinque anni, muratore, operaio, quel che c'è da fare per mandare avanti questo cesso che chiamiamo casa...e chissà se al centro per l'impiego oggi gli trovano qualcosa?
Il telefono vibra, sono le sette meno un quarto: decido di rinunciare al reggiseno (che tanto c'e poco da reggere) e mi infilo una canotta, sopra una maglietta nera a maniche lunghe ancora umida dalla lavatrice, poi ficco il pettine fra i capelli e li sistemo a strappi meglio che vengono, tanto sono corti; quindi mi allontano per mettere i jeans e mi ritrovo di nuovo a fissarmi assonnata e androgina.
Sollevo canotta e maglietta e faccio una smorfia a vedere quanto sono piccole, una seconda con tanto sforzo e due chicchi di caffè per capezzoli, si gonfiano solo bontà loro quando c'ho il ciclo...ma non è che me ne frega poi molto, me ne è mai fregato di essere figa...però dei muscoli si, e la mia bocca si alza un po' quando mi tocco le braccia e la pancia: quelli si che ci sono, di quando facevo kick l'anno scorso, almeno non sono grassa come alcune delle mie compagne del professionale...e poi è venuto il Coviddì del cazzo e il titolare di papà è sparito, e c'ha appresso pure gli sbirri che lo cercano...quindi niente più soldi e niente più kick boxing, e per tenermeli, i muscoli, devo alzare le borse piene di mattoni.

Lascio ricadere i vestiti; Sabrina Ferilli, sedici anni, piatta come una tavola e gli addominali, non c'entra un cazzo la tipa famosa...e questo è il mio primo giorno di scuola: in centro al turistico, perché il professionale significa diventare operaia, ci ho fatto due anni ma continuare non è cosa...perché pure se ci voglio bene, a papà, per me voglio una vita diversa.
Finisco di allacciarmi gli anfibi; fuori la mattina è ancora tanto chiara da ricordarmi che l'estate non è finita, abbastanza scura da annunciare l'autunno: che sarà una merda se non trova da lavorare, perché tempo due settimane la disoccupazione finisce e poi siamo alla canna del gas.

Mi prendo ancora un momento per scrivere un bigliettino, che lascio sul tavolo fra i brick di Tavernello sparsi, poi (anche se non devo farlo a stomaco vuoto) mi riempio il suo bicchiere sporco dalla sera prima, e lo vuoto alla goccia, proprio come fa lui...e mentre bevo i miei occhi incontrano quelli del disegno che abbiamo appeso accanto alla porta: è un poster di un metro per due, una Madonna disegnata a china e colorata agli acquerelli, che ha in faccia un tatuaggio come quello di Tyson e incrocia sul petto due pistole. Lo ha fatto papà sette anni fa, aveva letto Educazione Siberiana e il disegno è semplicemente bellissimo...ed è l'ultimo che ha fatto prima di lasciarsi andare.

Dio che vita del cazzo.

Il gusto scadente del vino mi risale nel naso mescolato alla vertigine che dallo stomaco precipita nelle gambe. "...ma perché te ne sei andata?" dico al quadro, alla faccia abbassata della Vergine, e a mia madre che è sparita quando avevo dieci anni.

"Perché??". Soldi, credo, papà non le ha mai fatto niente di sbagliato...ma a mamma piacevano i soldi e qua non ce ne sono mai stati molti.

Puttana. Infilo la mascherina, apro la porta e me la richiudo dietro: la puzza di piscio e Lisoform mi raggiunge più determinata del virus e mi accompagna fino all'androne, e poi in strada verso la fermata del cinquantacinque, che passa alle sette e ferma in centro a mezzo chilometro da scuola...ma alla fine non mi frega se arrivo tardi o no.

Alla fine pure 'sta scelta è una menata perché questa è una vita del cazzo e nessuno mai potrà cambiarla.

Mi siedo, chiudo gli occhi, il bus parte, la botta del vino sale e io mi sento fragile, mi sento di merda come sempre...e vorrei non averla persa nello scarico quella cazzo di pillola, anche se potevo pure pigliarne delle altre.

Gli occhi e il cuoreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora