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Casa è un bel posto: due appartamenti su altrettanti piani con molte stanze, una mansarda, un cortile dove far correre le gatte e perfino un bell'orto da seicento metri quadri, con piante da frutto, una zona coltivata e due prati: anche se ho perso la voglia di fare molte cose, da molto prima che mio padre morisse, prendermene cura mi piace...a me come alla donna anziana che intravedo distesa sul divano davanti alla televisione, nel posto dove da anni consuma gran parte delle sue giornate.
Una delle nostre due gatte di cui sopra, la Chicca, siamesotta difettata dal manto bianco e le zampe a fantasia di iena, salta sul tavolo, fiuta la tazzina di caffè sporca e si mette a ronfare; l'altra, detta Purride, più schiva (e stronza, nonché orba da un occhio) se ne rimane per conto suo a dormire sul davanzale come una palla di pelo lungo a toni di grigio nebuloso.

Fuori l'aria è ancora buia alle sette meno un quarto della mattina, ho dormito poco dopo quello che è successo e oggi avremo pure i primi consigli di classe...e mi viene da sorridere mentre accarezzo la Chicca ronfante: in che casino stai andando a ficcarti?

Non mi importa. Non me ne frega un cazzo.

Riprendo la tazzina del caffè, la rimetto sotto la macchinetta perché voglio un doppio e la gatta fugge via indispettita dal rumore; mentre il liquido scende prendo il telefono e faccio il numero privato del titolare di un'impresa di costruzioni, che conosceva mio padre e ci ha fatto molti lavori negli anni qui a casa.

<Siete ora collegati con la segreteria telefonica del numero: ###-#######. Lasciate un messaggio dopo il segnale. *biiip!*>

"Aldo? Ciao, sono Paolo, avrei bisogno di un favore: un mio conoscente a Torino è senza lavoro, è un muratore, operaio, hai qualcosa per lui? Mio padre aveva detto che quest'estate uno dei tuoi è tornato in Marocco, se sei ancora senza...".
Mi interrompo e guardo la foto appesa al muro accanto all'ingresso: avevo quattro o cinque anni, papà mi lanciava in aria e mi riprendeva al volo e mia madre ha catturato il momento esatto in cui ero sospeso in aria.

È sbiadita quella foto, in cui entrambi ridiamo: è vecchia, è passata. Anche mio padre lo è.

"...quindi niente, se hai possibilità fammi sapere, ti ringrazio. Ciao".

Metto giù il telefono, ingoio lo shot di sambuca, poi qualcuno mi morde la caviglia e inizia a fare purr e murr e miao, quindi salta sul tavolo e mi presenta un musetto grigio topo che sembra teneramente imbronciato.
Capisco il messaggio, rabbocco i croccantini, poi prendo la borsa (che come al solito è preparata dalla sera prima) e mi avvicino all'ingresso.

"Madre io vado".

"Si".

Appoggio la mano sulla maniglia, poi mi fermo e giro la faccia: la luce della tele è una lama blu nella penombra attraverso la porta socchiusa del salotto...e per un attimo penso che sarebbe bello andare di là e abbracciarla come non faccio da molto tempo...
Completo il movimento con un brivido, esco e mi richiudo dietro la porta. No. Non te lo meriti. Perché dovrei?

Il solito tragitto per Torino mi aspetta, scaccio il pensiero, lo sostituisco con uno molto più piacevole: oggi non ho lezione in classe di Sabrina...ma magari potremo incrociarci, così per caso.

Vorrei, si. Vorrei te?

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Qualcuno una volta ha detto che le disgrazie non arrivano mai da sole: a essere arrivate stamattina sono solo le mie cose, belle intense, e gli assorbenti erano pure finiti...se almeno avessimo Info oggi, mi piacerebbe vederti, io...
...io sento che ieri è successo qualcosa, un bacio significa sempre qualcosa, giusto?? Non ho mai baciato nessuno sulla bocca e i tuoi occhi non erano cattivi quando l'hai fatto: è successo qualcosa fra noi, ne sono sicura...qualcosa che mi spaventa e mi fa sentire come non mi sono mai sentita prima-

Gli occhi e il cuoreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora