13. Come in un film

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Chiara.

Fisso la porta che piano si apre, facendo entrare il caldo che da settimane affligge Bologna, lo stesso caldo che mi fa essere produttiva come un bradipo.
Fisso l'entrata come se da quella potesse entrare qualcuno, potesse entrare lui, ma non succederà.

"Grazie per l'aiuto" Vera mi riporta quasi alla realtà, accenno un sorriso mentre ripongo le tazzine sulla macchina del caffè "so che l'hai fatto solo perché ti ho supplicato" scuoto la testa "lo sai che l'ho fatto perché mi fa piacere farlo" dico, passandole una mano sulla schiena "e poi mi pagano" rido "adoro avere dei soldi in più" sorrido, cerco di trasmetterle una positività che nemmeno io ho.

Il telefono si illumina, Dario, e non so nemmeno se mi va di vedere cosa vuole "non rispondi?" Francesco mi sbuca alle spalle, come sempre da due giorni, furtivo come un gatto, non mi accorgo mai della sua presenza "secondo te dovrei vedere cosa vuole? ultimamente sembra su un altro pianeta, distante più del solito, sembriamo tornati all'inizio di tutto, se non prima" e lascio andare i miei pensieri, come se dietro di me non ci fosse lui, se stessi parlando con me stessa "non credi che parlare con lui sia una buona idea?" chiede, posizionandosi al mio fianco, le spalle verso il bancone "parlare e dire? Parlare e poi cosa, litigare?" chiedo alzando di poco gli occhi "litigare fa bene" e lo dice alzando le spalle, spostandosi e mettendosi in posizione, pronto ad accogliere i clienti.

Passiamo il pomeriggio così, io che fisso quel messaggio senza aprirlo, lui che mi sprona a farlo, Vera che continua a dire come noi due insieme sembriamo come una coppia sposata e se all'inizio questa cosa mi faceva sorridere ora come ora se fisso quel ragazzo riesco solo a pensare a quanto in realtà mi irrita averlo accanto.

"È un bravo ragazzo" dice come se mi avesse letta nel pensiero "so che alle volte è invadente, però alla fine di tutto ci tiene alle persone" ammette sorseggiando un bicchiere d'acqua "non mi conosce" dico, gli occhi fissi sulla sua figura che piano si avvicina ad un tavolo "lui è fatto così, si appassiona alle persone, si affeziona, fa della loro storia la sua storia" e quelle parole mi risuonano in testa per tutta la fine del turno.

"Ben fatto oggi" la voce del nostro capo ci piomba addosso mentre recupero le cose dall'armadietto che tutti condividiamo "anche tu Chiara stai andando davvero bene" dice sorridendomi, ringrazio, ci saluta e scompare com'è apparso.

"Alle volte fa venire i brividi" Vera ride alla battuta di Francesco mentre io accenno soltanto un sorrido, recupero la borsa, appendo il grembiule, riprendo il telefono, quella dannata notifica, quel dannato puntino rosso che mi tormenta. Il peso di qualcosa che non voglio sapere.

"Dammi" il telefono scompare dalle mie mani, se lo porta sopra la testa, gioca un po' con i tasti "codice grazie" dice puntando gli occhi su di me, il telefono in aria troppo in alto anche per me "mai nella vita"

"3578" Vera lo annuncia come se fosse una qualsiasi altra parole, la fisso, lei fa lo stesso per poi alzare le spalle "non sei così furba" sorride per poi sparire "aspetto fuori" quasi urla chiudendo la porta alle sue spalle.

"Non è nulla di che" annuncia "dice solo che l'appuntamento per stasera è confermato" si ferma, col telefono davanti agli occhi "è cosi impersonale alle volte" fa una smorfia per poi consegnarmi l'apparecchio "non c'è di che" sorride per poi appoggiare la mano sulla mia testa "tranquilla se voleva dirti qualcosa a quest'ora lo avrebbe già fatto" finisce per dire mentre la sua mano finisce la sua corsa sulla mia spalla "andiamo su, Vera ci sta aspettando" sorride facendomi segno di andare, ma non riesco quasi a muovermi, come se il semplice fatto che in quel messaggio non ci fosse nulla mi avesse paralizzato per sempre.

"Sei sicuro?" lo vedo fermarsi, la mano che ancora riscalda la mia pelle che improvvisamente è diventata gelida "conosco Dario, se doveva parlarti di qualcosa avrebbe scritto che doveva discutere di qualcosa con te" sorrido piano, la sensazione di paura che inizia piano a lasciare il mio corpo, quel calore che piano mi da conforto, reggo il telefono come se fosse un qualcosa di prezioso, come se dentro ci fosse la mia vera vita, metto piede nell'ambiente del bar, il rumore che si impossessa di me, lui che saluta persone, ma il mondo sembra comunque così lontano.

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