Ciano - parte seconda

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Ciò che affascinava della Martiniana non risiedeva unicamente nel lusso dell'abitazione. C'era il suo sottrarsi all'estrema pretenziosità dei palazzi reggini, sia quelli dai richiami arabeggianti come Villa Genoese Zerbi sia quelli di stampo neoclassico come Palazzo Nesci. C'era la ricerca costante del nuovo e mai visto, anche a costo di risultare disorientante e troppo spinto. Ma soprattutto c'era quell'affascinante via vai di personaggi-perché definir loro 'persone' conferirebbe a ciascuno di essi una banalità che non merita- che si autoalimentava: la gente veniva per poter vantare la loro conoscenza e loro venivano proprio per farsi conoscere.

Ero io la prima vittima di quel turbinio di soggetti, nonostante vi fossi inclusa unicamente per la manutenzione di quel bell'altarino che Romeo era riuscito a creare. A volte, quando sul calar della notte gli altri domestici si ritrovavano in cucina per cenare, stremati dall'intensa giornata di pulizie e preparativi, provavo a sgattaiolare via dalla dependance per appostarmi sotto alla finestra della sala da fumo, quella adiacente al salone principale, dove i rampolli dell'alta borghesia reggina si inebriavano dell'odore del sigaro, prestando comunque attenzione ai discorsi di una delle tante menti brillanti che la Martiniana ospitava. Le due stanze erano comunicanti e la porta rimaneva costantemente spalancata. L'acustica da sotto la finestra era dunque perfetta: fatta eccezione per qualche colpo di tosse, indice dell'aver fumato troppo in quella serata, che sovrastava occasionalmente la voce dei vari relatori, questa risultava comunque squillante e comprensibile. Per questo motivo, durante le pulizie della saletta, facevo attenzione a lasciare già dalla mattina quella finestra aperta, cosciente che nessuno l'avrebbe richiusa più tardi per lasciar che la coltre di fumo abbandonasse la stanza. Così feci anche quel giorno.

Nonostante vi entrassi principalmente per svolgere questa mia mansione, mi piaceva quella stanza. I mobili di legno scuro erano impregnati dell'odore caldo e signorile di tabacco, che rendeva l'intero ambiente più intimo e accogliente; i posacenere erano incantevoli, di ottone e madreperla intagliata, souvenir che la famiglia Florio aveva portato da Trapani a Romeo, convinti che ne avrebbe apprezzato la fine fattura; c'era poi un abat-jour che mi aveva rubato il cuore: era ornata con frammenti di vetro colorati, quasi fosse una cupoletta del duomo di Monreale, con un arcobaleno di scaglie. Mi è stato riferito qualche tempo dopo che si trattava di "Art Déco", la nuova tendenza proveniente dal nord Europa.

Era tutta così la Martiniana: unica per i suoi pezzi unici, fossero essi oggetti od ospiti.

«Mi spieghi perché continui a perdere tempo con questa stanza? È piccola, ci sono tre oggetti in croce, quanto ci vorrà mai a pulirla?»

A invadere la saletta era stata Giuseppa, l'altra cameriera. Condividevamo i compiti, ci spartivamo la stessa camera da letto, ma per il resto eravamo diametralmente opposte: lei era tutta apparenza, aspirava a ottenere il consenso degli altri, nonostante fosse discutibile riporre in lei la propria fiducia; io semplicemente facevo di testa mia e incrociavo le dita. Tutto considerato, andavamo d'accordo. Infondo, in quella casa c'era sempre bisogno di un confidente o di qualcuno che fosse disposto a darti manforte quando necessario.

«Già che ci sono, preferisco farle bene le cose. Non ci vedo niente di sbagliato» sostenni mentre con una pezza lucidavo il tavolino di mogano.

Assunse l'espressione di chi non vuole sforzarsi di capire. «Se ne accorgesse qualcuno, ti darei ragione...ma qui non entra mai nessuno».

Si avvicinò all'abat-jour e cominciò a osservare il suo riflesso negli specchi colorati. Non era graziosa, né elegante o raffinata. Sapeva prepararsi, vendersi e, inevitabilmente, qualche cristiano riusciva pure ad accaparrarselo. La invidiavo per questa sua spavalderia? Forse un po' sì, lo ammetto. Io ero solita girare i tacchi non appena sentivo un paio d'occhi poggiati addosso.

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