Questa volta lasciate che sia felice,
non è successo nulla a nessuno,
non sono da nessuna parte,
succede solo che sono felice
fino all'ultimo profondo angolino del cuore.(Pablo Neruda – Oda al día feliz)
La prima volta in cui me ne accorsi, se ne resero conto anche tutti quelli che avevo attorno. Non avevano mai dubitato di nulla.
All'età di sette anni, i miei genitori avevano ceduto ai capricci che, con costanza invidiabile, perpetravo ogni giorno. Mi avevano regalato un cucciolo, un cagnolino, che avevo chiamato Zampabianca.
Le ruote degli ingranaggi del tempo, tuttavia, talvolta scorrono e talvolta s'inceppano, quando i loro denti non smussati s'incastrano l'uno nell'altro. In soli due anni, una malattia congenita mi portò via il piccolo Zampabianca.
In un giorno nebbioso mio padre, asciugandosi con le manone ruvide gli occhi sensibili al pianto, propose di seppellirlo in giardino, sotto a un melo da poco germogliato, in modo che la fine della sua vita coincidesse con la nascita di qualcosa di nuovo.
Mia madre stringeva fra le manine nevrotiche la coperta che aveva lavorato a maglia per Zampa, e acconsentì con dolore a utilizzarla come sudario.
Guardai la pala che scavava la fossa, la montagnola di terra che cresceva e il cane che veniva adagiato dove avrebbe riposato per sempre. Stringevo al petto un orsacchiotto, e miei occhi erano colmi di curiosità. Ma, cosa che mi costò sguardi sgomenti, nessuna lacrima li velava.
Fino a quel giorno, avevo seguito gli altri bambini come gli anatroccoli fanno con la madre: avevo riso perché loro ridevano, avevo pianto perché le mie ginocchia erano sbucciate oppure per semplice riflesso, quando li vedevo piangere.
Ero da sempre stata abituata così, e non avrei saputo spiegare il motivo che li spingeva a disperarsi o a divertirsi tanto.
Seguirono anni di esami medici, di viaggi da un ospedale all'altro, da uno specialista all'altro, di TAC senza contrasto e con contrasto, dove con quest'ultima parola s'intende uno strano liquido che detestavo.
Alla fine, nessuno riuscì a spiegare l'eziologia, e la prognosi fu per tutti ignota, ma la diagnosi univoca: la ragazza è priva di qualsivoglia emozione.
Esclusi i problemi fisici, rimase la via della salute mentale. Vidi psicologi, psicanalisti e psichiatri, lettini più comodi e meno comodi su cui spiegavo che non avevo nessun problema con i miei genitori, che tutti mi avevano sempre trattato in modo adeguato, nessuno mi aveva mai preso in giro a scuola e non avevo niente da compensare. Ma la cosa più difficile per me era spiegare che, in fondo, quel bizzarro stato delle cose non costituiva per me un problema, anzi, così ero sempre stata bene.
Sempre che, a questo punto, sapessi cosa significava stare bene.
Quella che è per tutti l'età dei dubbi, l'adolescenza, mi colpì però più forte di quanto mi aspettassi.
STAI LEGGENDO
Alfabeto e altri racconti (⭐️)
Short StoryHo raccolto qui i miei racconti, scritti per motivi disparati e di diverso genere. 1. La quinta via || Storico 2. Alfabeto || Fantascienza 3. [Want you gone] || Fantascienza 4. Treu und Fest || Ucronia 5. Il vecchio astronomo || Traduzione di una p...