For The Damaged Heart of Tony Stark (Part 3)

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Capitolo III

Oramai la sua mente è solo un accumulo di energia statica. Si concentra tutta in mezzo alla fronte e, pesante come un'incudine, gli pesa sull'anima. È come se la gravità fosse distorta, in quella casa, a maggior ragione ora che è costretto a viverla da solo, «Per un po', Tony. Solo per un po'», e che le pareti sembrano una prigione fatta di echi che rimbombano nella testa e gli ricordano solo quanto è solo e dannatamente infame. Fissa il televisore spento, con le dita strette a quella poltrona che lui e Pepper hanno scelto insieme. No, non è vero, le ha lasciato carta bianca. Non è mai stato bravo a scegliere qualcosa che non fosse scientifico o prendere decisioni sbagliate che lo stanno logorando. Ci ha sempre pensato lei, a mettere tutto in ordine nella sua vita, raccogliendo i cocci che lasciava in giro e rimettendoli al loro posto. Questo lo ha sempre reso una statua piena zeppa di crepe, eppure è ancora in piedi. Forse ancora per poco. Forse non per molto. Ha la sensazione che, prima o poi, si infrangerà sul pavimento e, ora che Pepper non c'è, non ci sarà nessuno pronto a ricomporlo. Lui non è mai stato capace a tenere insieme niente. Non ce la fa con ciò che concerne se stesso, figurarsi con i rapporti umani.

Quando suonano alla porta gli salta un battito al cuore. Non dovrebbe sorprendersi, lo ha chiamato lui e sapeva che sarebbe arrivato, ma è solo da troppo e quasi si è pentito di aver fatto quella telefonata.

«Ti va di lavorare su qualcosa?»

«Certo. Per la salvezza del mondo?»

«No, sciocchezze. Qualcosa per passare il tempo.»

E lui ha accettato, senza fare domande, come sempre.

Si alza da quella poltrona e raggiunge la porta. Quando la apre si ritrova davanti l'immagine sovrapposta di un bambino e quella di un adolescente oramai quasi uomo, che gli sorride con un certo velo furbastro e, tra le mani, stringe un cellulare con lo schermo acceso.

«Stavo per chiamarti, ci hai messo un sacco ad aprire.»

«Le prediche le le faccio io, qui, Keener!», cerca di ironizzare e, spostandosi sulla destra, fa cenno ad Harley di entrare in casa.

«Permesso!», esclama, mentre si guarda intorno e Tony chiude la porta. Si lascia sfuggire un sospiro, finché fanno qualche passo verso il centro del salotto.

«Ci sono solo io», risponde, atono e Harley si gira a guardarlo, mentre ripone il cellulare nella tasca posteriore dei jeans scoloriti.

«La signorina Potts? No, aspetta, la signora Stark, oramai!»

Tony non ha idea se Pepper voglia ancora esserlo, dopo quello che è successo, ma non ha voglia di spiegare ad Harley quello che è successo. Specie perché non ha ancora superato l'idea che quel ragazzino sia cresciuto e che non sia più un bambino geniale che costruisce una pistola spara patate e che gli insegna a tenere a bada un attacco di panico. Non è semplice, da mandare giù, che il mondo nel frattempo è andato avanti e che le persone, intorno a lui, continuano a cambiare senza che lui possa farci niente. E non può fare a meno di pensare che è passato più di un anno da quanto Thanos ha schioccato le dita e che Peter avrà diciassette anni per sempre. Non vedrà il mondo mutare, non vedrà la vita scorrere, non avrà l'onore di trovare il primo capello bianco o la prima ruga a contornare il suo sorriso. Non studierà, non lavorerà mai, non sarà mai più Spider-Man e, non meno importante, smetterà di essere l'errore più grande che gli sia capitato di fare. Ma Tony lo sa, che quel senso di colpa se lo porterà dietro fino alla tomba. Ed è giusto che sia così.

«No, io e Pepper abbiamo... preso un attimo le distanze. La gravidanza, la situazione e altre problematiche insorte, niente di irrisolvibile ma per ora sono qui da solo.»

Tales About a SpiderKid and an Iron Guy - Starker [ Tony X Peter ]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora