6. aeroporto

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17 luglio.

L'aria fresca delle 6 del mattino mi accoglie all'esterno, il fastidioso rumore delle rotelle della valigia mi fa sentire in colpa verso i miei genitori e i vicini che ancora dormono, all'alba di un giorno di piena estate. La macchina grigia di Francesco è già qui, prima o poi mi sdebiterò con lui per averlo fatto svegliare così presto.

"Buongiorno" busso al suo finestrino, sobbalza un po' ma subito gli spunta un sorriso enorme sul viso, scende dalla macchina per aiutarmi con la valigia più grande di me. Cinge la mia vita con il suo braccio e mi avvicina a lui "buongiorno a te" mi stampa un caloroso bacio sulla guancia. Francesco mi fa sentire spensierata, con la sua gentilezza e la sua dolcezza riesce a chiudere i miei pensieri in una scatola. Riesco a star bene fino a quando qualcosa non mi ricorda lui, l'odore del caffè che ha accompagnato i nostri pomeriggi in quel bar, un profumo simile al suo che sembra quasi di sentirlo ancora sul mio divano.

Sto provando con tutta me stessa ad andare avanti e a voltare pagina, ma sento già di fallire, so di essere profondamente e indissolubilmente legata a lui, un filo sottile ha legato la mia anima alla sua.

"Sai già quando tornerai?" mi pizzica la guancia, non so per quanto tempo ha parlato "non lo so, quando mia sorella di stancherà di me" ride e mi lascia rientrare nella mia bolla di pensieri. Mi sento di scappare da me stessa, dalla mia vita e da lui, anche se è già lontano da me. Ho bisogno di perdermi un po', di non dover lottare ogni giorno con l'umore altalenante che ancora non mi abbandona, di abbracciare mia sorella e sfogarmi con lei, di lasciar andare ciò che mi fa male e riprendermi, riscoprirmi.

La macchina si ferma, Francesco mi guarda un po' prima di scendere "mi mancherai, sai?" sorridiamo insieme, vorrei lasciarmi andare con lui, ricominciare insieme a lui e star bene, ma non è lui che l'altro capo del filo rosso. Scendo dalla macchina e mi avvicino al portabagagli, lui mi precede e prende la mia valigia, mi fa cenno di andare.
L'aeroporto è pieno a tutte le ore, il rumore assordante delle ruote delle valigie ora è l'unico suono chiaro che si sente. Le persone corrono verso il gate, altre fanno colazione con calma, l'odore del caffè si intrufola nelle mie narici, arriva fino lo stomaco e forma un tappo lì che fa male, come un pugno. Eccolo lì, è sempre lì, il suo nome che risuona nella mia testa.

Mi avvicino al controllo documenti e già qui sento di respirare meglio, di nuovo. Mi giro verso il biondo alle mie spalle "come posso sdebitarmi con te?" mi intrufolo tra le sue braccia, mi stringe a se e assaporo il profumo che sa di buono, lo memorizzo per ricordarmi di chi, con un briciolo di forza, mi ha fatto vedere un piccolo raggio di sole in queste settimane.
Mi prende il viso tra le mani, mi lascia un leggerissimo bacio sulle labbra, resto pietrificata dal gesto, "scusami, volevo farlo dalla prima sera" mi abbraccia di nuovo "scusami Ami" mi sussurra, fermo le lacrime che spingono prepotentemente "se vorrai, mi troverai qui al tuo ritorno" mi dice e circondo il suo collo con le mie braccia.
"Mi dispiace, Francesco" dico e mi allontano di fretta.

Il segnale acustico delle cinture di sicurezza mi fa sobbalzare, stiamo per atterrare. Guardo la distesa di nuvole che diventa meno fitta, lascia intravedere la città sotto di me, quel peso sullo stomaco che sale e scende, rende difficile ogni respiro.
L'aeroporto mi accoglie frenetico, sembra quasi di essere di nuovo al punto di partenza, cerco tra la folla gli occhi familiari di Francesco, li rivedo in quelli di un ragazzo che saluta una ragazza, si abbracciano e lui resta lì a fissarla mentre lei va via.
Mi faccio trascinare dalla folla che corre verso l'uscita, scontro qualcuno mentre cammino guardandomi attorno.
Mi sento spaesata.
Conosco questo aeroporto ormai, sono io a sentirmi spaesata, a non sentirmi più me stessa. Cerco qualcuno nel posto sbagliato.

"Ami!" una voce familiare mi chiama, tra la folla vedo delle braccia che si dimenano in aria, riconosco l'orologio che mia sorella ha regalato a Federico, quello che ci ha tenute in videochiamata per giorni interi perché non sapeva quale scegliere.
"Ciao Chicchino" mi butto tra le sue braccia e sento le lacrime prepotenti, si fanno forza per uscire ma io cerco di essere più forte "andiamo, dai" Federico prende la mia valigia e si avvia davanti a me.

In macchina mi riempie di domande, prova a riempire tutti i silenzi che non riesce a gestire, lascia il compito a mia sorella. Si sforza per farmi ridere, un po' ci riesce e per qualche istante riesco a non sospirare, quel peso si fa un po' più leggero.

Il cielo grigio mi fa sentire a mio agio in questo momento, mi da il benvenuto e mi rispecchia, mi sento grigia. Il traffico perenne, la gente per strada, i palazzi e gli autobus rossi mi distraggono, li guardo meravigliata come se fosse la prima volta, Poggio la testa sul finestrino e quel che resta del tragitto riesco a farlo senza dover parlare troppo.

"Eccoci" Federico parcheggia davanti il piccolo appartamento suo e di mia sorella, è lì che mi aspetta, il mio opposto, una ragazza che sembra nata e cresciuta qui, pelle candida circondata da capelli biondi e corti, gli occhi glaciali sono l'unica cosa che ci rende, esteticamente, sorelle. "Amiami" viene verso di me e mi lascio circondare da lei, dalle sue braccia, lei che è così simile a me.
Solo ora posso concedermi un pianto liberatorio, butto fuori tutto il peso che ho dentro, "shh, sei con me ora" Grace mi tira verso casa, chiude la porta alle sue spalle e mi abbraccia, ci accasciamo ai piedi della porta e mi lascio cullare da lei, come ha sempre fatto quando avevo bisogno.


Chiedo scusa per l'orario.

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