14 aprile
Continuo a fissare le lancette dell'orologio nella speranza che il tempo inizi a scorrere più in fretta. Le pareti bianche della sala d'attesa dovrebbero creare una sensazione di pace, ma a me da solo l'impressione di qualcosa di vuoto e freddo. Gli appuntamenti di questa mattina sono finiti e nello studio di papà c'è solo una giovane ragazza con il suo gattino "abbattuto che non mangia da qualche giorno" come ha spiegato lei.
Sono cresciuta nell'ambulatorio di papà, mi mettevo fin da piccina dietro la scrivania ad osservare tutti gli animaletti che entravano, ho visto, purtroppo, anche tanto dolore.
I miei giorni preferiti erano quelli in cui i volontari del canile creavano le zone con i cuccioli per le adozioni, qualche volta ho aiutato le famiglie a scegliere i nomi, c'erano Ettore e Max, Cloe e quando finiva la fantasia di me bimba per me quei cuccioli diventavano tutti Polpetta, Stella e Cuore.Le figure della ragazza ora meno preoccupata e papà si posizionano tra i miei occhi e le lancette dell'orologio, il gatto non ha niente e in qualche giorno si riprenderà. La ragazza tira un sospiro di sollievo, ringrazia e ci saluta asciugando una lacrima prima di uscire. "Puoi andare se vuoi" mi dice il mio papà facendo il giro della scrivania e lasciandomi un bacio tra i capelli, "ci vediamo stasera" recupero le mie cose, controllo bene ovunque di non aver lasciato nulla e nel mentre il telefono inizia a squillare, mi avvio per rispondere ma vengo bloccata da papà "vai vai, faccio io" mi sorride e lo saluto.
La via piena di ciottoli poco fuori la città a quest'ora è semi deserta, si anima ogni tot di metri di gruppetti di bambini e ragazzi in uscita dalle scuole, con i loro zaini enormi e colorati, li osservo da lontano nascosta dagli occhiali da sole e mi piace vedere la loro felicità è innocenza, la purezza dei bambini mi mette di buon umore. Cerco le cuffie nella borsa e decido di fare la strada più lunga per arrivare a casa, per godermi il sole non troppo caldo e guardare tutto ciò che mi circonda, sempre come se fosse la prima volta, con il naso all'insù. Mi avvicino verso casa ma taglio dal parco che c'è qui vicino, prendendomi altri minuti, c'è altra gente come me che si gode il parco all'ora di pranzo, gente che mangia sui tavolini da picnic e altri che si sdraiano sull'erba sotto l'ombra dell'albero.
Cerco le chiavi del portone dei miei e passo a salutare mia mamma, ogni giorno va così, mi dice che ha preparato il pranzo anche per me e che non si deve buttare, mi siedo e mangio qualcosa con lei al volo prima di entrare nel mio piccolo appartamento al piano di sopra. È ancora vuoto, il trasferimento non è ancora completo, ho solo l'essenziale ma a me va già benissimo così. Dovevo dividere questo appartamento con mia sorella, Grazia per gli altri ma Grace per me da quando avevo 7 anni, lei ha deciso di andare a studiare a Londra un po' di anni fa e ora è lì, però ho comunque sistemato la sua camera e le sue cose, quando sono un po' giù vado in camera sua ad abbracciare quel gigante orso bianco che le ho regalato qualche anno fa, ogni volta che torna a casa ci spruzza tanto profumo così è sempre con me. Mi manca sempre, le scrivo ogni giorno un mi manchi, ma è lì ed è felice, lavora e ha una persona accanto che le vuole bene, si chiama Federico e ora è diventato anche lui mio fratello, hanno entrambi 26 anni, due in più di me.
Passo davanti la sua camera e cerco nel suo armadio quel maglioncino che tanto mi piace e che lei ha lasciato qui perché non usa più, porto tutto in bagno e mi preparo per il solito appuntamento di studio con Nelson.
Gli scrivo per accertarmi che non si sia addormentato sul divano dopo pranzo mentre do una sistemata a questi capelli che ormai sono diventati troppo lunghi e ingestibili "vi taglierò presto" dico a voce alta guardando il mio riflesso nello specchio.Il volume inaspettatamente troppo alto della suoneria mi fa prendere un colpo mentre sono concentrata a mettere il mascara, "cazzo" mi esce a voce, anche questa, molto alta. "Dimmi?" è Nelson, "Ami, oggi passa il ragazzo del libro e si ferma con noi, il tempo di spiegarci un po' di cose, va bene?" mi chiede il mio amico seguito da uno sbadiglio sintomo di riposino post pranzo, "si Nelsi, nessun problema" dico di fretta "non fare tardi" gli intimo prima di chiudere.
Cerco i vari quaderni degli appunti sparsi per tutta casa e impazzisco a trovare quello di biologia generale che non è vicino al manuale, cerco in ogni cassetto della scrivania, in ogni stanza, anche in quella di mia sorella, in ogni borsa, ma non lo trovo, sposto le cose e non ricordo dove le metto. Perdo più tempo del previsto a cercare quel maledetto quaderno, l'ultimo posto che mi viene in mente potrebbe essere nell'appartamento dei miei. Prendo tutto e scendo di corsa, quasi rotolando giù dalle scale, il telefono inizia a squillare e lo ignoro per evitare di perdere altro tempo "Mammaaa!" urlo "Mammaaa" la cerco in ogni camera e la trovo sul divano con gli occhi spalancati "che succede?" mi chiede e si tira su di fretta "Hai visto il mio quaderno nero? L'ho lasciato qui?" chiedo con il fiatone, lei sparisce dalla stanza e recupero il cellulare Nelson chiamata persa, digito velocemente "faccio tardi, scusa" e invio. Mia mamma torna con il quaderno in mano e un bicchiere d'acqua "smemoratina" mi prende in giro, le do un bacio sulla guancia e scappo via.
Arrivo a passo svelto al solito bar e dal vetro individuo subito il mio amico e un ragazzo di spalle seduto vicino a lui, il famoso ragazzo degli appunti. Mi do una sistemata nel riflesso del vetro e in quel momento Nelson mi nota e mi fa cenno di entrare, ho sgridato così tante volte questo ragazzo per il suo perenne ritardo, sicuramente avrà la frase pronta.
Mi avvicino e il ragazzo ha la testa sui suoi libri "oh, e cosa è successo? Miss perfettina in ritardo" dice Nelson, ormai lo conosco "non trovavo il quaderno degli appunti" dico solo e poso lo sguardo su quel ragazzo "lui è Cesare" dice Nelson mentre Cesare, attentissimo sugli appunti, finalmente si accorge della mia presenza. "Oh" esclama e alza lo sguardo su di me.Resto pietrificata per qualche secondo, "piacere" mi porge la mano da stringere "A-Amelia, piacere" dico e avvolge la mia. Al suo tocco è come se avessi sentito una scarica elettrica, un magnete, non lo so, un qualcosa di inspiegabile. La sua espressione cambia, diventa indecifrabile, un sorriso bellissimo maschera uno sguardo che mi sta leggendo dentro "hai trovato il quaderno?" chiede Nelson che non si è accorto di nulla, non so nemmeno io di cosa, per un secondo non c'era nessuno in questo posto oltre a me e Cesare. Annuisco verso il mio amico, lascio la borsa "vado ad ordinare" dico senza aggiungere altro e mi allontano dal tavolo, "oddio" dico a bassa voce appena volto le spalle ai ragazzi.
Ho bisogno di respirare.
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koi no yokan || CC
FanfictieL'espressione Koi no Yokan non trova una vera e propria traduzione nella lingua italiana, i giapponesi usano questa espressione per indicare la sensazione provata tra due persone durante il loro primo incontro, sentendo già che essi finiranno inevit...