PROLOGO

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Prologo

'Anche se il timore avrà sempre più argomenti, tu scegli sempre la speranza'.

Seneca

23 a.C.

Era quasi mezzanotte e urla strazianti provenivano dalla sua gola. Una donna sconosciuta dal viso emaciato e pallido la fissava con quegli orribili occhi spenti, vuoti, completamente neri come la pece. Era lo sguardo di un essere senz'anima. Persefone continuava ad urlare e a spingere, desiderosa che quel dolore straziante cessasse e potesse vedere così la sua splendida creaturina. Suo marito stava in piedi, non molto distante dal letto a baldacchino, dove si trovava lei, che la invitava con sguardo perentorio ad ascoltare ciò che diceva l'altra donna: «Ci siamo quasi, Signora. Ancora un'ultima spinta, coraggio.» Eseguendo ciò che le era stato detto Persefone riuscì ad udire sopra le proprie grida un suono più acuto. Era diventata finalmente madre. La donna pallida la osservò mentre - dopo quelle che le parvero ore - le porgeva finalmente sua figlia «È una femmina.» Persefone allungò le braccia per accogliere quello scricciolo. Era così piccola. Suo marito le si avvicinò con cautela, un sorriso trionfante gli incurvava le labbra in quello che sembrava più un ghigno. Decise però di dedicare tutta la sua attenzione a quel dolce fagotto che teneva fra le braccia. Sua figlia aveva la pelle candida come il latte e alcuni ciuffetti di capelli rossi, simili a quelli della madre. La piccola teneva gli occhi chiusi mentre emetteva flebili suoni acuti. Quando la mano di suo marito accarezzò la piccola guancia lattea, la piccola aprì gli occhi. Per gli Dei, un brivido percorse l'intero corpo della donna. Sua figlia - la sua prima e tenera creaturina - aveva la sclera dello stesso colore della pupilla anormalmente verticale: uno spaventoso nero carbone che le fece trarre un forte respiro. Ma lo shock non si fermò qui. L'iride della piccola era di uno spaventoso rosso sangue. Quando Persefone sollevò lo sguardo su suo marito, le si attorcigliarono le budella. Quel suo sorriso compiaciuto gli sollevò le labbra esibendo lunghi canini avorio. Ritrasse infine la mano e gli occhi della piccola cambiarono colore, come se del fumo si stesse diradando, lasciando spazio solo a vispi occhietti umani dal glaciale color lavanda. L'uomo la baciò sulla tempia, aprendo le mani, volenteroso di toccare ancora sua figlia «Mi è concesso, mia regina?» Persefone inghiottì la bile che le era salita in gola e con riluttanza consegnò la piccola al padre «La chiameremo Macaria» si affrettò a dire la donna. L'uomo che teneva la piccola fra le braccia sghignazzò chiaro che conoscesse il significato del nome. Increspò ancora una volta le labbra incorniciate da una barba ben definita «Ma certo, mia regina. Come tu desideri.» Quella sensazione viscerale non smise un solo istante di perseguitarla. Suo marito aveva in mente qualcosa di oscuro, puramente malvagio mentre sorrideva alla piccola Macaria. Ne ebbe la conferma quando udì le parole che sussurrò: «Tu figlia mia, sarai la principessa di questo luogo infernale e al mio fianco, regneremo su tutto.» La bile le tornò in gola, minacciando di prorompere in un conato di vomito. Lo trattenne decisa a non far notare il disgusto che provò nell'udire quelle parole, sapendo di cosa era capace quell'uomo. Era decisa: avrebbe dovuto portare al sicuro, in qualsiasi altro posto, il più lontano possibile da qui sua figlia. Avrebbe dovuto portarla il più lontano possibile da suo padre. Avrebbe dovuto abbandonare la sua unica figlia in un posto più sicuro. Avrebbe dovuto cancellare ogni traccia di ciò che avrebbe visto sua figlia nel tempo che le sarebbe servito per preparare alla perfezione un suo piano. L'avrebbe nascosta per bene da qualche parte, che fosse dannata - più di quanto non lo era già - se non avesse fatto tutto quello che fosse stato in suo potere per proteggere la piccola dal mostro che in fondo era suo padre.

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