CAPITOLO QUATTRO

201 16 7
                                    

Capitolo quattro

 

‘Si fa l’abitudine a tutto, anche al continuo peggioramento di ciò che già era ai limiti della sopportazione.’

John Maxwell Coetzee

COSA SONO?

Ria si svegliò di soprassalto, mettendosi a sedere di scatto e spalancando gli occhi. Mossa stupida. Le vennero immediatamente le vertigini e dovette afferrare con la mano destra la testiera del letto per non cadere. Aveva il respiro affannato mentre si portava una mano alla fronte. Stranamente non le ci volle molto per stabilizzarsi. Si guardò allora intorno, incuriosita.

La stanza era la stessa della sera prima, quella stessa, dove aveva patito le pene dell’inferno.

Esaminandola con maggiore attenzione, poteva essere certa che il luogo dove si trovava non aveva niente di raffinato o lussuoso; probabilmente doveva essere la stanza di un hotel di poco conto. La carta da parati color pesca, iniziava ad ammuffirsi in alcuni angoli della camera; il mobilio – che comprendeva uno striminzito armadio, una scrivania, un comodino e il letto – mantenevano tonalità di legno scuro, poco pregiato e rovinato. La stanza era illuminata solamente dalla luce del sole che cercava di entrare dalla finestra, trapassando la sottile tenda floreale.

Ispezionò poi il proprio braccio e polpaccio, ricordando il dolore che aveva provato la sera precedente. Entrambi erano rimasti come li ricordava: fasciati da una stretta garza bianca, sporca di sangue. Solo che ora non sentiva più alcun dolore. Anche la testa era stata fasciata, ma non le doleva minimamente. Voltò lo sguardo alla sua sinistra e come si aspettava, trovò Cameron addormentato su di una poltrona. Non sapeva da dove era saltata fuori quella mostruosità di mobilio: era grande e marrone, in pelle logora che non sembrava un granché comoda. Ma lui dormiva appoggiato allo schienale, con le mani cinte in grembo, come se niente fosse. Era lì, fermo e immobile; troppo immobile. Con un sussulto al cuore lo osservò con maggiore concentrazione, sgranando gli occhi: era vivo? Che fosse morto mentre lei dormiva? Non lo poteva accettare.

Si sporse un po’ verso la sua direzione e con sollievo constatò il contrario: il torace – ancora nudo – si alzava e abbassava regolarmente. Fece un sospiro di sollievo e si allontanò. Anche se ora indossava un paio di pantaloni da ginnastica grigi, il suo fascino era straordinario, soprattutto adesso che dormiva. Sembrava così sereno e in pace…

Distolse lo sguardo e si concentrò sulla propria immagine riflessa in uno specchio appeso alla parete. Bagno! Bagno! Hai bisogno di un bagno! Si rimproverò mentalmente. Ria in quel momento si sentiva sporca come non mai. Aveva anche freddo e il rimedio perfetto sarebbe stato un bel bagno caldo. Si alzò perciò dal letto, cercando di fare il minor rumore possibile. Quando arrivò in prossimità del ragazzo, decise di coprirlo con una delle coperte del letto. Dopotutto se Ria sentiva freddo ed era vestita, sicuramente lo avrebbe sentito lui che era a petto nudo. Afferrò una trapunta e la sistemò con cura sopra il ragazzo.

Notò solo in quel momento che portava una collana. Non sembrava niente di valore: era stata sicuramente fatta con piccoli bastoncini forati e sassolini colorati, rotondi e levigati, conchiglie, forse qualche osso, zanna o artiglio dipinto. Una piuma nera pendeva solitaria sulla destra. A Ria parve stranamente familiare. Probabilmente anche lei da piccola ne aveva fatta una simile. Come sempre, l’odore stravagante di Cam le inondò le narici, facendola sorridere. Non aveva mai sentito un odore più bizzarro del suo, una vera contraddizione. Diede un’ultima occhiata a quel viso angelico, per poi dirigersi verso il bagno.

Chiuse la porta con cautela, dopodiché dedicò tutta la sua attenzione a se stessa. Un altro specchio era posto proprio sopra il lavabo. Si osservò riluttante. La testa era fasciata da una garza un po’ insanguinata e i capelli erano un disastro: una massa voluminosa e ingombrante di riccioli rossi che andavano in ogni direzione, arrivandole quasi alla vita. Si sorprese, però, nel non trovare altro. Non aveva occhiaie o segni di emaciazione. Sembrava sana come un pesce e in effetti, doveva ammettere che non si sentiva per niente scombussolata. Non sentiva più alcun dolore provenire dalle numerose contusioni e ferite sul suo corpo, si sentiva bene. Aprì l’acqua della doccia che si trovava alla sua destra, mentre osservava dubbiosa la fasciatura sul suo braccio. Era sicura che non molto tempo prima quest’ultimo presentasse numerose e profonde ferite. Ma ora? Se si fosse tolta la fasciatura, cosa avrebbe trovato sotto? Anche se i frammenti di vetro erano stati rimossi, si aspettava di sentire ancora del dolore, dopotutto le ferite non potevano essere già guarite. Eppure non riusciva a sentire alcun dolore, niente di niente. Si sentiva in forma come sempre. Com'era possibile? Non aveva tempo per stare qui a farsi certe domande perciò si fece coraggio e srotolò il bendaggio. Spalancò gli occhi nel vedere la sua liscia e lattea pelle completamente intatta. Certo, c’era ancora del sangue sul suo braccio, ma niente di più. Disfece velocemente la fasciatura della testa e del polpaccio per controllare la situazione. Stessa identica cosa: sangue secco vicino al punto della presunta ferita e niente di più.

The touch of DarknessDove le storie prendono vita. Scoprilo ora