Carabinieri

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Appena finì il colloquio, senza preavvisi, senza nulla ce ne siamo andati.

Eravamo furiosi e increduli allo stesso tempo. Ci diriggemmo verso la caserma dei carabinieri.

Mentre aspettavamo nella sala d'attesa raccontai al mio ragazzo per cellulare tutto quello che stava accadendo.

Mi disse che era una situazione assurda e cercò, in qualche modo, di consolarmi.

D'altronde solo lui sà quanto ho pianto, quanto ho sofferto e quanto sono stata male per colpa dei miei "compagni".

Dopo circa 20 minuti arrivò il nostro turno ed entrammo in uno studio tappezzato di medaglie, quadri, attestati e piccole bandiere.

Era l'ufficio del carabiniere più importante della caserma.

Aveva accettato di riceverci perchè riteneva che mi trovavo in una brutta situazione.

Ci fece accomodare e ci diede il via libera per raccontargli tutti i fatti.

Rimase quasi scioccato quando sapette che i professori non mi aiutarono e che non avrebbero neanche fermato la ragazza.

Prese subito a cuore il mio caso e mi disse che avrebbe denunciato lei, la scuola e i professori.

Mi disse: "Se fosse successo a mia figlia altro che minacciare la professoressa, avrei fatto di peggio. Ma scherziamo?".

Aggiunse: "Manderemo ad ogni entrata e ad ogni uscita una pattuglia a sorvegliare la scuola, così che non ti succeda niente".

Mi diede il suo numero di cellulare e mi disse che per qualsiasi problema sarebbe corso da me per aiutarmi.

Però la voglia di tornare tra i banchi era sempre meno. Non avevo più timore, ma pensavo che rivederli e guardargli in faccia, professori e compani, mi faceva ancora stare male.

Non era una bella situazione ma nonostante tutto una parte di me si sentii sollevata. Almeno qualcuno era dalla mia parte. Finalmente avevo io il coltello dalla parte del manico.

Non andai a scuola per una settimana, sotto stretto consiglio del carabiniere.

Dovevo riposare la mente e cercare di tornare la persona felice che ero prima.

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