10. Non è un addio

16 3 2
                                    


La principessa Ophelia era una giovane donna coraggiosa che aveva ereditato da suo padre, un importante re, un meraviglioso castello nel bel mezzo della natura, circondato da fiumi di media grandezza che contenevano creature non sempre benevoli. I suoi capelli non erano di un colore banale e spento, come si poteva immaginare pensando ad una noiosa principessa, ma tutt'altro: sulle sue spalle si appoggiavano delle lunghe ciocche azzurre come il cielo di Mirabilis e sicuramente mai viste prima dai due ragazzi. Si poteva notare, sul suo volto, un sorriso splendente e raro che nasceva nel momento in cui si svegliava e continuava ad esistere finché i suoi dolci occhi color nocciola non si chiudevano, abbandonandosi ad un sonno lungo quanto tormentato. Tormentato poiché la principessa, fin da quando era un'adorabile fanciulla, faceva numerosi incubi che la portavano ad alzarsi di soprassalto in piena notte. La verità è che soffriva molto. Quando si guardava allo specchio, ossia molto frequentemente, stringeva i suoi fianchi con le mani nella speranza che essi sparissero o nella speranza che lei stessa sparisse del tutto. Ogni volta trovava qualcosa che non andava: occhi troppo grandi, spalle esageratamente larghe, la pancia che non era piatta come desiderava e perfino i suoi capelli, che l'avevano da sempre contraddistinta, erano di troppo. Passava ore ed ore a guardarsi sognando di essere più magra, più bionda o magari più alta, con dei bellissimi occhi chiari. Non era suo agio nel suo corpo e si sentiva costantemente fuori luogo, come se qualsiasi cosa fosse o facesse non fosse mai abbastanza. Nel periodo in cui Victoria ed Evan erano giunti al suo castello, Ophelia aveva smesso di mangiare, ossessionata dalla sua idea di perfezione e convinta di voler rincorrere quest'ultima.

"È un onore conoscerla principessa Ophelia ed è altrettanto un onore sapere che potremmo alloggiare qui."

"Puoi darmi del tu, Evan."

"Allora è un onore conoscerti." Le baciò la mano.

"Sì, un vero piacere. Ora possiamo mangiare qualcosa?"

"Oh, beh, certo. Prendete ciò che volete dalla cucina. Sarete molto stanchi dopo la prova che avete dovuto affrontare." Rispose educatamente la principessa.

Victoria fece cenno di sì con la testa e, seguita da Evan, andò alla ricerca della cucina all'interno dell'enorme castello.

"Ehi Vik. Che hai?"

"Non ho niente."

"Siamo migliori amici da anni. Sai che riconosco i tuoi sguardi."

"Evan, ti ho detto che non ho nulla. Sono solo stanca e vorrei trovare questa maledetta cucina per puoi filarmene a letto."

Lei affrettò il passo e lui le afferrò il polso.

"Che fai? Lasciami!" E si diresse verso una stanza a caso, soltanto per liberarsi di lui. In quel luogo, però, non c'erano né luci né candele e Victoria odiava oltremisura stare al buio. Il suo orgoglio ebbe la meglio e scelse di non chiedere aiuto. Il suo orgoglio, a dire il vero, aveva sempre la meglio: a Victoria non era mai piaciuto elemosinare delle attenzioni o mostrare le sue fragilità. Forse questo la accomunava un po' ad Ophelia, anch'essa d'animo debole ma coperta esteriormente da un'armatura molto resistente. Trascorsi alcuni minuti al buio, Evan la trovò, casualmente. Aveva girato circa due o tre stanze ed era davvero preoccupato, come sempre d'altronde.

"Vik? Sei qui?"

Nessuna risposta.

"Ti sento piangere."

"Non sto piangendo. È l'allergia. Visto che mi conosci da anni avresti potuto saperlo."

"Solita scusa."

Victoria era seduta a terra e lui si mise di fronte a lei. Sentiva il suo respiro perciò non fu difficile trovarla.

"Hai paura."

Oltre lo specchioDove le storie prendono vita. Scoprilo ora