1. Il ritrovo

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La rincorreva nonostante il caldo di un'estate prossima a rivelarsi e la fatica che lo accompagnava in qualsiasi attività fisica facesse. Lei però non sembrava mai stanca: a differenza di chi scappa, non si sentiva come chi sta per essere catturato ma, anzi, provava un forte senso di libertà e di estraniazione. Si chiamava Victoria ed era cresciuta in una cittadina del South Dakota, chiamata Deadwood. Niente di che, diceva quando descriveva il suo luogo natale, qualche sparatoria e gente alquanto strana. I suoi capelli biondi e lisci rimandavano ad un senso di pace e tranquillità, ma non erano esattamente le caratteristiche che la descrivevano al meglio: appena diciottenne, era una ribelle senza esagerare e senza troppa cattiveria. La sua fisicità magra la rendeva agile e propensa alla corsa. A proposito, il ragazzo che amava rincorrerla, anche se con risultati non del tutto convincenti, era Evan. Cresciuto in Inghilterra, si era trasferito in South Dakota per dei misteriosi affari del padre, il signor Johnson. Nessuno sapeva cosa riguardassero quest'ultimi e nessuno se lo chiedeva più di tanto: porsi poche domande era diventata una legge molto rigida da quelle parti, dove la gente a volte era così vendicativa e crudele da non rendersi conto delle conseguenze.

"Vik, dove stai andando? Non riesco a reggere il tuo passo!"

"Se non ci riesci ora, figurati tra cinquant'anni!" Gli rispose lei, mentre tirava giù le scale della soffitta.

"Ma dove siamo arrivati? Ora perfino la scala." Sbuffò lui, pur non smettendo di seguirla.

Victoria, giunta ormai al piano più alto della sua abitazione, stava chiamando Evan incessantemente da qualche minuto.

"Evan, ti vuoi sbrigare?"

"Ecco, fammi bere un bicchiere d'acqua, sono esausto. In ogni caso hai vinto. Contenta? Non a caso ti chiami così."

"Spiritoso, ma ora muoviti e sali!"

Evan mise un piede sulla scala instabile della soffitta e si apprestò a salire, a piccoli passi sui pioli e molto lentamente.

"Si vede che non sei quello coraggioso del team."

"Sì che lo sono. E poi non siamo un team, al massimo un duo."

"Fa lo stesso. Guarda qui."

Victoria tirò fuori un baule da chissà quale angolo della piccola stanza al buio, lo spolverò velocemente con la mano e cercò di aprirlo usando tutte le sue forze.

"Dai, lascia fare a me." Disse Evan, risolvendo tutto in meno di mezzo minuto e schiudendo il baule.

"Ecco qua." Concluse.

Victoria aveva appena scoperto dei ricordi di famiglia mai visti o sentiti nominare prima: uno specchio rovinato con un contorno di legno segnato dal tempo e molteplici sfregi sul vetro, delle lettere in una lingua per lei indecifrabile e un paio di occhiali con una montatura dorata molto sottile.

"Non sapevo ci fossero queste cose qui." Commentò dubbiosa.

"Sono solo dei vecchi ricordi appartenenti alla tua famiglia. Perché devi per forza trovare qualcosa di strano anche in ciò che non lo è?"

"Ma lo è. Ho appena trovato delle lettere con delle parole in una lingua che non è la nostra, nella mia soffitta. A chi capita di trovarsi in una situazione del genere?"

Evan non ebbe tempo di rispondere poiché la conversazione fu interrotta dalla porta dell'entrata che si apriva.

"Chi è?" dissero l'uno all'altra i due ragazzi, contemporaneamente.

"Aspettavi qualcuno?" chiese Evan.

La ragazza fece cenno di no.

La porta si aprì totalmente. I ragazzi avevano sentito il tipico cigolio che la contraddistingueva.

Oltre lo specchioDove le storie prendono vita. Scoprilo ora