3. La coincidenza

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Passarono giorni dopo l'accaduto che riguardava il signor Dason e la grande quantità di luce che fuoriuscì magicamente da quello specchio. Victoria non ne aveva parlato con nessuno, nonostante avesse tanto voluto ricontattare l'uomo che le aveva fatto scoprire il significato di quei simboli lontanamente simili a delle parole.

Ci fu un pomeriggio, uno di quelli piovosi e cupi che perfino gli adulti non sanno come sfruttare, in cui le venne in mente di raccontare tutto ad Evan. Cambiò idea: cosa poteva trovarci di così interessante? Doveva studiare e, in più, non era il tipo coraggioso che non vede l'ora di incominciare una nuova e misteriosa avventura. Era soltanto Evan. Un comune ragazzo magrolino dai capelli scuri con dei banali obiettivi da perseguire e, soprattutto, con una madre e un padre da rendere fieri. Era cresciuto con dei valori semplici e convenzionali come l'amore per la famiglia, l'altruismo, la bontà e tutto ciò che ne consegue. Non amava cacciarsi in brutte situazioni dalle quali sapeva di non essere in grado di uscire e probabilmente non lo avrebbe fatto nemmeno stavolta. Dopo un lungo ragionamento sulla persona che avrebbe potuto aiutarla o meno, la ragazza andò di nuovo in soffitta e cercò lo specchio nel baule. Lo tirò fuori e notò che il taglio inciso pochi giorni prima era svanito. Non c'era più. Prese delle forbici e lo rifece nello stesso identico modo. La luce uscì ancora, sembrava addirittura più forte della volta scorsa.

"Cos'è questa luce? Cosa sei?" Gridò Victoria, spaventata e sempre più sconvolta. Ma quelle domande non ricevettero risposta. O perlomeno, non vocalmente. La ragazza infatti, sentì qualcosa attorcigliarsi sulle sue caviglie, qualcosa di conforme a una pianta ma molto più resistente e robusta. Era stata quasi completamente immobilizzata.

"Che cosa vuoi da me?" Gridò ancora, mentre cercava con tutte le sue forze di liberarsi.

I suoi polsi vennero fermati da due lacci di un rosso intenso, dello stesso colore del sangue, e posizionati dietro la schiena. Non c'era più niente che Victoria potesse fare per sottrarsi da quel momento del tutto incomprensibile. Sentì una voce provenire dalla luce.

"Sono io, Vik."

Non capiva, come faceva a sapere il suo nome? Stava sudando, le tremavano le gambe e voleva soltanto andarsene da quella stanza per non tornarci mai più. Diventò buio.

"Ti prego, lasciami andare!" Scongiurava la ragazza. Quando si riaccese, sul pavimento di parquet, comparve un vecchio vinile. Era lo stesso che era solita ascoltare con suo padre, prima che morisse.

"Papà..." Incominciò Victoria con le lacrime agli occhi. "Sei tu, sei tornato."

"Non per molto. Ho bisogno del tuo aiuto. Nel disco c'è un messaggio per te. Salvami, Vik."

La luce scomparve e la ragazza venne slegata. Non poteva crederci. Suo padre era morto anni prima, com'era possibile? Quella situazione era più grande di lei e decise che non poteva tenere un segreto così importante esclusivamente per sé. Scese le scale, chiuse la soffitta e corse fuori. Stava andando da Evan.

La pioggia non smetteva di scendere e, quando Victoria arrivò, i suoi capelli erano fradici. Citofonò. Fu Selene a rispondere.

"Evan, c'è la tua amica strana." Si sentì urlare al fratello.

"Arrivo tra un attimo." Ribatté lui.

Nel frattempo, sua sorella fece entrare Victoria nel piccolo e grazioso salone dell'abitazione ed aspettarono entrambe, in silenzio, come si fa tra sconosciuti. Il ragazzo scese dalle scale distrattamente, con un'espressione assorta fra i pensieri e la testa fra le nuvole, dimenticandosi totalmente dell'arrivo della sua amica.

"Oh, Vik, sei qui."

"Sì, disturbo?"

"No, figurati. Stavo studiando, sai, per l'esame."

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