17. Un dolce sonno

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Evan si trovò in un corridoio buio e non del tutto rassicurante. Anzi, a dire la verità, non lo era per niente.

"Evan vieni con noi, dai."

"Seguici, avanti, non avere paura."

"Su, giovane umano."

"Che aspetti? Ti aiuteremo noi."

"Ma chi siete? Cosa sono queste voci?"

Victoria, intanto, si era appena addentrata nel tunnel che si trovava dietro la porta nove ed in cui era entrato anche il suo migliore amico, il quale era già molti passi più avanti di lei.

"Evan, vieni qui da noi."

"Volete aiutarmi?"

Tutt'un tratto la vista gli si fece annebbiata e provò un forte senso di svenimento. Il suo corpo stava cedendo. Poggiò tutto il peso del suo corpo sulle pareti di quel corridoio cupo come le notta trascorsa nella foresta e sussurrò qualcosa.

"Sì che ti aiutiamo." Dissero le voci. Da lì a pochi istanti dopo, il corpo incosciente di Evan sparì.

Victoria sopraggiunse soltanto quando il suo migliore amico non era più lì. Credette che fosse uscito dal tunnel e, così, proseguì ancora. E ancora. Fu solo quando vide la luce splendente del sole che capì che era successo qualcosa: Evan odiava correre e non era nemmeno allenato come lei, non poteva essere andato così lontano da solo. Era accaduto qualcosa, ma cosa? E soprattutto, cosa succede quando due migliori amici inseparabili vengono separati? Il caos.

Dicono che questa parola derivi dal termine greco chaos ossia voragine, apertura. Effettivamente, il vocabolo descriveva perfettamente quello che era avvenuto: Victoria, dopo qualche tempo e nonostante il timore della solitudine che l'aveva ormai assalita, trovò il suo migliore amico sporgendosi da un dirupo soltanto per il gusto di ammirare il paesaggio circostante, stanca a causa del lungo cammino percorso, tra l'altro, senza risultati. La ragazza non riusciva a credere ai suoi occhi e probabilmente la sua mente cercò di convincerla con ogni mezzo che quello non poteva essere Evan, non era davvero lui. La sua parte fragile, però, le consigliò di scendere a controllare, giusto per scrupolo. Il suo animo era sempre più tormentato ed i suoi pensieri sempre più in conflitto fra loro: forse non sapere la verità era più confortante che scoprirla una volta per tutte. Invece no, lei non poteva vivere in un limbo, scegliere una via di mezzo, sostare in un regno ultraterreno che si trova esattamente fra Inferno e Paradiso. Lei avrebbe agito, per orgoglio, ma lo avrebbe fatto ed anche senza indugiare. Quando la decisione di recarsi nel luogo dove quel corpo abbandonato giaceva da chissà quanto tempo era stata presa, si avviò lungo un sentiero alternativo molto ripido e roccioso eppure necessario. A quel punto della giornata, il buio che si era creato all'interno del corridoio luciferino che i due avevano percorso, stava incominciando a prendere piede anche al di fuori di esso: nel palcoscenico del cielo stellato, l'unica protagonista era la luna, calma e lucente. Victoria, stremata ed accompagnata soltanto da una torcia quasi scarica, giunse nel luogo tanto temuto.

"Grazie al cielo." Sospirò.

Quel cadavere non era del suo migliore amico, non era neppure un ragazzo. La donna, distesa sulla sabbia a pochi metri dal mare che Victoria stava contemplando nelle ore precedenti, aveva un viso insolito e dei capelli a caschetto, con tanto di frangetta che le copriva interamente gli occhi. Si accovacciò accanto a lei, non aveva mai visto una persona morta così da vicino. Notò un dettaglio sulla sua maglia chiara e sporca di detriti trascinati dall'acqua o caduti dalle imponenti rocce che circondavano quel posto: una minuta spilla dorata. Si avvicinò per leggere la scritta.

"Cinthia." Pronunciò ad alta voce, per sentire come suonasse.

"Dev'essere il suo nome." Penso dentro di sé.

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