Ace

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Il capitano Mugiwara ci mise un po’ a capire come stavano le cose. Era leggermente arrabbiato, deluso perché Gwennie non si era confidata con loro e anche per non aver notato nulla di strano prima della rivelazione.
“Scusa capitano. Mi dispiace. Io volevo parlarvene ma dopo quello che è accaduto due anni fa io….mi sembrava una cosa così stupida lamentarmi per il mio malessere……”la giovane si profusò di scuse chinando il capo.
“Non serve. Io non ho saputo darti sostegno dopo la guerra di Marineford, avrei dovuto parlarti e starti vicino. Allora avrei capito. Se non ho notato nulla è anche perché non guardavo nel posto giusto.”, il tono di Rufy era risoluto.
Lacrime piene di ricordi solcarono le guance di Gwennie e il capitano l’abbracciò forte, rassicurandola ancora dicendole che era stata anche troppo forte a portare un peso così grande tutta sola.
Le disse di curarsi e di tornare da loro il prima possibile per proseguire il viaggio, avrebbe spiegato lui agli altri la situazione non occorreva che lo facesse lei.
“No! Assolutamente non potrei mai!”, le ultime parole furono un soffio debole, il fisico stava cedendo e non avrebbe potuto tener duro ancora per molto.
Aggrappandosi alla sua forza di volontà, Gwennie si rivolse al suo capitano: “Completeremo la traversata con voi, il luogo di destinazione e lo stesso….ci riuniremo agli altri e spiegheremo tutto….ma voglio….farlo io…”, dovette sedersi.
La giovane gli chiese una mano per alzarsi e, una volta in piedi, venne aiutata a raggiungere la sua cabina.
Mentre le dava una mano ad entrare le disse che avrebbero fatto come aveva suggerito lei ma che doveva assolutamente seguire tutte le indicazioni di Law per guarire completamente.
Una volta messa a letto la giovane, Rufy andò in cerca di Law.
Il dottore non era molto lontano da dove l’aveva lasciato Gwennie.
“Mi fido di te lo sai…mi hai già salvato la vita una volta…com’è la situazione? Io…non mi sono accorto di nulla!”, era evidentemente in uno stato d’angoscia.
“Per dirla chiaramente non so come mai sia ancora viva. E’ affetta da una rara malattia che viene citata in pochi libri di medicina e in ognuno di essi cambia nome. E’ un morbo misterioso e, come ho già detto, rarissimo. La cosa certa è che non ha cura e di solito dopo la comparsa dei primi sintomi, il paziente sopravvive circa un anno al massimo. Probabilmente il decorso cambia da un organismo all’altro…..devo studiare il caso con calma….”, riecco il sorriso sinistro.
Rufy annuì lentamente e iniziò a ricordare il racconto fattogli da Gwennie riguardo il suo primo incontro con Ace. Era stato in un villaggio lontano, una sera dopo cena la giovane era uscita dall’albergo dove alloggiava per fare una passeggiata quando le era sembrato di sentire una richiesta di aiuto proveniente dal molo.
Mentre il sole tramontava, aveva raggiunto il luogo incriminato ma non c’era nessuno. Convinta di aver udito male, aveva girato sui tacchi per andarsene ma era stata bloccata da quattro tipi loschi tutti muscoli che ridevano beffardi brandendo coltelli lucenti e qualche pistola.
Gwennie aveva sfiorato con le dita il sua chakran ma era rimasta tranquilla.
“Posso aiutarvi?”, aveva domadato.
Il più alto era scoppiato a ridere in modo irrefrenabile e asciugandosi le lacrime aveva affermato che senz’altro sarebbe stata loro di aiuto.
La battuta del capo fece ridere anche gli altri e iniziarono a chiudere il cerchio che formavano attorno a lei.
La ragazza aveva sempre praticato arti marziali, essendo una sua grande passione, ed inoltre era abilissima nell’uso dell’antico chakran, la lama circolare che può essere lanciata come un boomerang e proprio come esso torna al mittente dopo aver assolto il suo compito, quindi non era per nulla intimorita da quegli individui che erano peraltro un po’ alticci.
Dopo qualche secondo il tizio più grasso le si era avvicinato brandendo nuovamente il suo coltello e facendolo luccicare mettendolo proprio sotto al naso, “farai la brava?”, rise di gusto.
Stava ancora ridendo mentre Gwennie gli assestava un bel calcio all’altezza della ginocchia.
L’uomo era barcollato leggermente e la ragazza ne aveva approfittato piazzandogli altri due colpi sul fianco sinistro e sul collo facendolo cadere a terra confuso.
“Non alzarti”, gli aveva suggerito ma ovviamente lui si era rimesso in piedi.
Non per molto però. Iniziando a tremare violentemente, perse i sensi all’improvviso cadendo pesantemente al suolo.
Sorridendo la giovane si era preparata ad affrontare gli altri tre, che erano rimasti basiti, ma all’improvviso era arrivata una fitta al petto che le aveva tolto il respiro.
Aveva tossito sangue e si era inginocchiata a terra quando il tizio più alto, ridendo, si era avvicinato a lei sempre brandendo il coltello, “…già esaurito le forze?”.
Gwennie aveva provato ad alzarsi ma non c’era riuscita, nel frattempo le si era offuscata la vista.
Aveva pensato di essere spacciata, chiudendo gli occhi si era preparata al peggio ma il peggio non era arrivato.
L’uomo col coltello era finito a terra dolorante e gli altri due si erano caricati i rispettivi compagni sulle spalle per fuggire a gambe levate. La giovane non capiva che cosa era accaduto tanto era confusa e appannata.
Dietro di lei c’era Ace che la stava aiutando a mettersi in piedi. L’aveva salvata. Si erano conosciuti così.
Rufy sbattè la palpebre tornando al presente.
Decise di riassumere il racconto al medico che annuì.
Parlarono ancora a lungo per mettere in chiaro come agire: avrebbero raggiunto Zou e si sarebbero riuniti con le rispettive ciurme, appena possibile Gwennie sarebbe partita con Law che avrebbe potuto così provare a curarla sfruttando il suo potere e le adeguate attrezzature mediche.
L’operazione di per se sarebbe stata diversa dalle classiche operazioni chirurgiche, senza quindi bisogno di particolari strumentazioni salvo ovviamente quelle di base.
Il problema si sarebbe presentato prima e dopo: prima infatti era necessario essere pronti ad affrontare le conseguenze pericolose degli attacchi improvvisi di Gwennie e successivamente invece avrebbero dovuto aiutare il suo fisico logorato dalla malattia a riprendersi dall’operazione e dai danni che aveva subito.
La cosa che appariva fin troppo chiara era la mancanza di tempo. La ragazza infatti aveva taciuto il suo dolore confidandosi infine solo con Chopper, il quale non aveva avuto modo di studiare con calma i sintomi della giovane e che quindi non aveva potuto fare una diagnosi.
“Non avrebbe potuto aiutarla in nessun modo….la malattia è classificata come incurabile”, disse il dottore a Rufy seguendo il filo dei suoi pensieri.
“Glielo dirò ma senz’altro….ci rimarrà molto male….”, l’animo sensibile si Chopper era noto a tutti.
Dopo qualche ulteriore chiarimento i due raggiunsero le rispettive cuccette e si ritirarono per la notte.

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