Capitolo dodici || non si torna più indietro

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Leah aveva appena lasciato alle spalle la sua vita, suo padre, Agatha, Hester. Aveva detto al genitore di dire, a chi glielo avesse domandato, che se ne era andata un anno all'estero. Non sapeva cos'altro inventarsi, odiava le bugie, anche se quella era una mezza bugia, perché effettivamente non sapeva neanche lei dove sarebbe andata...
L'unica cosa che la rendeva serena era il fatto che quella notte, dopo giorni, era riuscita finalmente a dormire. Forse era l'effetto dei sonniferi, ma dentro di se sapeva che in realtà la ragione era tutt'altra.
Lo aveva accettato.
Né Daktulorodos, né Arthur, né uomini incappucciati le erano apparsi quella notte, ma in cuor suo sapeva che non sarebbe stato per sempre così. I sogni non si erano interrotti, sarebbero continuati ad esserci, con la sola differenza, che da quel momento non avrebbero più reso le sue notti insonni, ma avrebbe continuato a dormire, pur vedendo ancora quelle immagini, con le quali stava imparando a convivere.

Frank aveva le lacrime agli occhi, quando, all'alba, aveva sentito la figlia alzarsi a preparare le ultime cose per l'imminente partenza. Quella notte non era riuscito a chiudere occhio, e quando si era appisolato, gli era parso di vedere Eirene.

"Lasciala andare, tornerà."

Si ricordava solamente quelle tre parole, tanto forti, dette dalla donna che aveva amato ed onorato per anni. La sognava di rado, e quando lo faceva erano ricordi sconnessi, ma quella notte era diverso, era come se lei avesse saputo, e gli fosse stata comunque accanto. Era vestita di bianco, il volto quasi pallido, con le sole guance rosee che davano colore a quella bellissima espressione, le labbra fini, gli occhi grandi e cristallini. Era proprio la sua Eirene. Aveva creduto che fosse stato il suo spirito venuto a rassicurarlo in sogno, lui in realtà, la credeva morta. O meglio, non lo ammetteva a se stesso, ma dentro di sé è come se lo sentisse, sapeva che quella notte non se ne era andata senza un motivo; eppure, non ne aveva le certezze, sarebbe rimasto per sempre un mistero quello della sua scomparsa.

Quando la salutò, alle sette e mezza del mattino, non riuscì a trattenere le lacrime. Leah non ci sarebbe più stata, la casa sembrava già vuota. Ma ancora non sapeva che aveva appena lasciato il suo piccolo bocciolo, chiuso in se stesso, per ritrovare al suo posto già sbocciata una splendida rosa, piena di vita. Tuttavia, di questo, non ne era a conoscenza neanche la diretta interessata.

***

«Allora, la nostra meta?» aveva appena incontrato Arthur al parco, era lì... allora la aveva aspettata sul serio.

Per un secondo credeva che non lo avrebbe fatto, lo conosceva da troppo poco, ma sentiva che non era per nulla uno che aveva vie di mezzo, anzi, avrebbe scommesso che lui non la voleva neppure tra i piedi. Purtroppo per lui, però, lei era là, e non si sarebbe scollata troppo facilmente. Si soffermò a guardarlo meglio: gli abiti sgualciti, i soliti delle scorse volte, le scarpe rovinate. E ad un tratto quasi si pentì di possedere nel suo armadio le sneakers nuove, la felpa di marca comprata con i risparmi di un mese...
Nulla brillava in lui, gli occhi blu oceano erano spenti, come un blackout improvviso a New York. Quel blu non era il blu chiaro e vivo dell'oceano, ma dei suoi abissi più profondi. Chissà, un tempo come dovevano essere stati...

«Innanzitutto a prendere le mie cose, poi ti spiego» rispose in maniera fredda, distaccata. Arthur, dal canto suo, non era per nulla contento che quella ragazzina fosse venuta. E no, non era preoccupazione per quella persona, ma era solo che non voleva nessuno tra i piedi... o forse era quello che continuava a ripetersi...
Tuttavia cercava di trovare il lato positivo: con il suo aiuto avrebbe potuto scoprire qualcosa in più su cosa avrebbe dovuto fare per uscire dal maleficio. E se ciò non fosse successo, non avrebbe perso nulla.
Si riteneva senza scrupoli? No, anche se una persona dall'esterno avrebbe potuto dire il contrario.

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