Non poteva ancora crederci! Tutto quell'impegno, quelle ricerche, inutili! Aveva perso solo tempo, che avrebbe potuto utilizzare in maniera diversa...
Quel tale, era più antipatico e maleducato di quanto pensasse! Forse i modi con i quali lei si era rivolto a lui, non erano di certo dei migliori, ma ciò non giustificava la maleducazione che lui aveva manifestato nei suoi confronti.Avrebbe semplicemente potuto dirle che non voleva rivelarle nulla, anzi, avrebbe di certo preferito che se ne fosse andato piuttosto che averle raccontato quella stupidissima storia, inventata solamente per prendersi gioco di lei.
Durante quegli ultimi giorni nulla stava andando per il verso giusto: prima l'insonnia, e dopo la comparsa di quell'uomo, che le aveva scombinato tutto, i pensieri, i piani...
Era lui la causa della maggior parte dei suoi problemi. Sì, era proprio così. Ed ora doveva chiudere questo stupido capitolo della sua vita. Aveva speso troppo tempo per nulla, doveva tornare quella di sempre, ed eliminare l'immagine di quel John dalla sua testa. Tutte quelle cose che sentiva di provare, erano scempiaggini, la sua mente da bambina prevaleva ancora su quella di adulta, e non sarebbe dovuto essere così.Che poi, perché affidarsi così tanto ad uno sconosciuto? Perché ci aveva speso così tanto tempo ed energie? Diamine. Si era aggrappata troppo ad un ideale infantile. Lui era ricomparso per caso, e quel giorno lo aveva visto sempre per pura casualità. Punto. Boston era grande, sì, ma non troppo, ed ecco perché lo aveva ritrovato. Tutto qui.
Non smetteva di domandarsi, perché anche dopo il loro scontro, continuava a interessarsi ancora a lui, sebbene cercasse di volgere i suoi pensieri altrove. Era solo un uomo qualunque, entrambi non avevano nulla in comune, ma soprattutto nulla da dirsi. Quelli sguardi che si erano rivolti alla stazione dei treni, erano stati modificati dalla sua stupida mente da bambina, che, ancora non curante della cattiveria umana, aveva scambiato quello sguardo qualunque, come uno d'aiuto. Tutto qui. Niente di più e niente di meno. E inoltre, chi era lei per impicciarsi degli affari altrui? Vero, la colpa era anche sua, dopotutto. Non avrebbe dovuto essere così insistente. Se lei fosse stata al posto suo, avrebbe sicuramente fatto lo stesso, anzi lo avrebbe mandato sonoramente a quel paese. Quindi, effettivamente, non c'era nulla di strano nel suo comportamento, sebbene non avesse fatto per niente piacere il modo in cui si era rivolto a lei.
«Leah è entrato qualche cliente per caso?!» sentì Frank richiamarla dalle scale. La ragazza si diresse verso la porta che la conduceva a queste, e la aprì, trovandosi il genitore a pochi centimetri da lei.
«Sì, ma non ha trovato quello che cercava.» mentì la ragazza. Il padre, che nel frattempo la aveva oltrepassata, per uscire e dirigersi verso il magazzino del negozio, la scrutò con un'espressione indagatoria. Doveva ammettere, che sua figlia non gliela contava giusta.
«Ah, no perché mi sembrava di aver sentito due persone che stavano discutendo. Credevo stesse succedendo qualcosa qui.» asserì, prima di entrare nel magazzino.
«No, non ti preoccupare. Forse proveniva da fuori.» cercò di inventarsi una scusa plausibile. Non voleva che suo padre stesse in pensiero senza motivo. Quella questione di per se non era assolutamente nulla.Silenzio.
«Beh, menomale, allora io esco. Ci vediamo tra una mezz'ora.» asserì infine, quando ebbe finito di trafficare con alcuni oggetti.
La figlia annuì.***
Forse era meglio prendersi una pausa. Da tutto quello stress, quei pensieri che non le lasciavano tregua. Era da più di dieci minuti che la giovane era davanti allo specchio, e continuava ad osservare il suo volto. Era presa peggio di quanto credesse.
Continuava a toccarsi le guance scarne, le rughe di espressione sulla fronte. Ma la sua vista si concentrava principalmente su quelle occhiaie, così pronunciate e visibili, forse come non mai.
Negli ultimi giorni non era riuscita a dormire affatto, se non per la notte appena trascorsa anche se si era assopita con tranquillità per solo un'ora. La sua mente era continuamente pervasa da immagini disturbanti, ogniqualvolta le sue palpebre si chiudevano. Doveva esserci una spiegazione a tutti quei terribili sogni, che non le lasciavano tregua.
Improvvisamente, pensò che la sua insonnia era iniziata da quando John era rientrato nella sua vita. Forse c'entravano qualcosa.
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Quegli Ultimi Cent'anni
Ficción GeneralBoston, 2005. La stazione dei treni è piena di gente, Leah e suo padre fanno fatica a farsi spazio tra la folla, ma devono sbrigarsi, il treno diretto a Worcester è in partenza tra cinque minuti. All'improvviso il caos, le persone iniziano a spostar...