«Poveri sciocchi sono quei due umani i quali cogitano di spezzare la maledizione che io lanciai ad Arthur Walker, con la quale convive da tre secoli or sono!» il dio lanciò una sonora risata, che rimbombò per tutta la sua enorme dimora.
In realtà, non esisteva soluzione alcuna a quella condanna che stava scontando Arthur.
Sarebbe dovuto vivere così per tutta l'eternità, fino alla fine dei tempi. Questo era il destino di quell'uomo: vivere la sua vita sulla terra per sempre in una quasi infinita condanna, e chissà poi, cosa sarebbe successo...
Era la punizione minima per aver causato il suicidio della figlia Daktulorodos! Gli avrebbe fatto patire le pene del Tartaro se solamente avesse potuto.Nessuno avrebbe mai capito il dolore atroce e logorante che il suo spirito aveva provato, quando aveva visto il corpo della figlia giacere inerme sul pavimento della casa dove lei e suo marito convivevano.
Era morta per amore di un uomo che non la meritava! Tutto per non rimanere legata al mondo degli dèi, in compagnia sua, dove avrebbe avuto tutta la protezione e tutta la sua esistenza sarebbe stata caratterizzata di felicità e gloria. Eppure lei aveva scelto la via più impervia, quella dell'amore.
Aveva costretto le Moire a tessere un nuovo filo del suo percorso di vita, aveva scelto la mortalità, l'amore flebilmente ricambiato di un uomo innamorato solo di se stesso e pretenzioso di ricevere da lei ciò che lui non era capace di darle. Ma quell'uomo come poteva soltanto pensare che sua figlia fosse uno zerbino? Fin dal primo istante avrebbe dovuto trattarla da regina, così come dovrebbe essere, avrebbe dovuto amarla, onorarla, proprio come faceva lei.Daktulorodos era stata una schiava dell'amore, imprigionata nella fortezza dei suoi sentimenti così intensi da accecarla. Troppo travolgenti e forti.
L'umanità non si meritava questo tipo di amore, un amore divino! Gli esseri umani, colpevoli di essere così egoisti, da distruggere tutto il mondo nel quale risiedevano, infischiandosene del fatto di non essere soli. Anni ed anni di evoluzione buttati! Durante i millenni si erano scordati di essere prima di tutto figli della natura, ed ospiti nel loro mondo. Ostentavano il supremo, peccavano di tracotanza.Arthur ne era l'esempio lampante, con la differenza che aveva sposato una Ninfa. Una figura che viveva con la natura e per la natura, amando, rispettando, il prossimo, e venerando ogni cosa che la circondava.
Per un attimo pure lui aveva creduto che Arthur potesse influire positivamente sull'opinione negativa che aveva sul genere umano.
Eppure, non era stato così, anzi, aveva avuto l'ennesima conferma di quanto fosse sporco l'essere umano. Ricevere, ricevere! E nessuno voleva dare. Quanta ipocrisia! Più nessuno gli avrebbe fatto cambiare opinione su questo.Oh, e com'era ingenua l'incantevole Ninfa, frutto di un unione divina. La più meravigliosa creatura di tutti i mondi esistenti. Il suo più bel δῶρον(doron)*, la sua più grande felicità, il suo più intenso amore.
Talmente fulgente che Ἥλιος (Elios)**, sembrava prostrarsi dinnanzi a lei, ogniqualvolta le sue labbra si incurvavano in un sorriso.
Quelle risa gioiose, erano solite riempire i boschi nei quali viaggiava. Il mondo terrestre doveva essere grato a quello divino del dono incalcolabile che quest'ultimo gli stava facendo.
E nel momento in cui tutto cessò, e la morte fece capolinea nel suo corpo, la perfezione del Cosmo sembrò incrinarsi indelebilmente.
Quanto aveva sofferto! Quanto si era adirato contro quell'essere che l'aveva tradita, per poi portarla alla morte! Perché l'uomo è sempre alla ricerca di cose che non può mai avere, e anche quando ha la felicità davanti al naso, la distrugge?
E la sua povera figlia innocente aveva dovuto pagare il prezzo di questa mostruosità.Lei dava il cuore, in tutto. E non appena qualcuno glielo spezzava, era la fine. E infatti, si era suicidata. Perché amava talmente tanto Arthur che il suo comportamento le aveva spezzato in cuore in tal maniera che nessuno avrebbe mai potuto ripararlo, era rimasta sola, e ferita. Talmente tanto da voler perire sotto la lama acuminata di un coltello scintillante. Non riusciva a lasciar perdere, a passarci sopra. Un' incredibile lealtà la aveva caratterizzata, e caratterizzava tutte le Ninfe, di conseguenza si aspettavano altrettanto da chi la donavano: distruggevi quella, e distruggevi tutto, senza rimedio. Questo era il mondo divino. Ecco perché avere al proprio fianco una Ninfa era un bene, e al tempo stesso un male, sia per gli uomini che per gli dèi, ma in particolare per i primi. Non erano ammessi errori così gravi, o bianco o nero, felicità o disperazione, vita o morte.
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Quegli Ultimi Cent'anni
General FictionBoston, 2005. La stazione dei treni è piena di gente, Leah e suo padre fanno fatica a farsi spazio tra la folla, ma devono sbrigarsi, il treno diretto a Worcester è in partenza tra cinque minuti. All'improvviso il caos, le persone iniziano a spostar...