Capitolo 11

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Pov Clarke

Sono ormai appoggiata al portone da minuti ormai infiniti, è come se si bloccasse il tempo quando sono in compagnia di Lexa, ogni cosa è relativa in realtà insieme a lei.

Mi sembra di fluttuare, come se fossi sotto la droga più potente al mondo. È questa la sensazione che si ha quando si è innamorati? Non che io non l'abbia mai provata, ma è questo? È questo fastidio incessante allo stomaco, come se mille piccoli aghi entrassero nella tua carne, senza sosta, senza calma, irruenti fin dentro alle ossa.

O forse è la testa vuota, mi sento galleggiare, come fossi una mongolfiera senza limiti e senza paura. O ancora, potrebbe essere questo fuoco nei polmoni che parte dritta dalle mie narici, l'aria gelata che entra arriva nel mio corpo sotto forma di fuoco per chissà quale tipo di reazione chimica.

Forse è questa l'amore, è fuoco, il fuoco della mongolfiera che serve ad elevarsi, è il fuoco, è il dolore di tutti quei piccoli aghi che ti entrano fin dentro le ossa ed è il fuoco che sento nelle mie guance anche se fuori è inverno, anche se fuori ci possono essere -2° dentro ho il fuoco.

Pov Lexa

Sono nel viaggio del ritorno, le strade sono desolate e mi riempio gli occhi dei lampioni che mi sfrecciano accanto, delle piccole sfere che mi servono come quadro di questa sensazione che mi sta accompagnando.

Forse queste luci sono fin troppo fastidiose, mi sento piena di questa luce, oserei direi invadente, non richiesta, perché Clarke è stata un invasore non richiesto, non volevo innamorarmi, non volevo perché dentro me sentivo di appartenere sempre e solo a Costia, e parte di me è sua, ma lei che sono sicura mi abbia perdonato per quello che le ho fatto mi sta pregando da anni di perdonarmi, di accettare il mio dolore e viverlo.

Non l'ho mai fatto, intrappolata nella mia prigione di ghiaccio, nelle urla soffocate nel cuscino la notte e nel dolore che mi attanagliava lo stomaco. Poi all'improvviso, come questi lampioni, è apparsa una luce, fioca, timida, che lentamente si è allargata creando un lieve tepore e chi siamo noi, se non semplici esseri umani che temiamo ciò che non conosciamo, l'ho schivata, sia chiaro, con ogni mezzo, mi sono scostata, mi sono fatta male e a tratti stancata finché non mi ha avvolto e ho scoperto cosa c'era fuori da quella prigione, tra il tepore di quella fiamma, qualcosa di inaspettato, di famelico e invadente, Clarke.

Pov Clarke

È ormai mattina, la luce filtra dalle tapparelle leggermente socchiuse e non posso che respirare profondamente e sorridere da sola mentre mi strofino gli occhi.

"molto bene" – vedo Octavia poggiata sulla porta – "c'è qualcuno con lo sguardo e il sorriso di un ebete qui, mi devi raccontare qualcosa?" vedo il suo sorriso beffardo uscire dai bordi della tazza di caffè che tiene nelle mani

"Gesù Octavia!" – metto le mani al petto – "devo rivalutare il fatto di lasciarti le chiavi di casa, mi fai letteralmente venire un infarto prima o poi"

Lei si avvicina ai bordi del letto porgendomi la sua tazza ancora mezza piena, con i suoi occhi da cerbiatto, attenta come non mai.

"Quindi? Mi vuoi dire cosa è successo ieri con Lexa oppure è un segreto? "– fa una faccia da finta arrabbiata che mi fa scoppiare a ridere

Sospiro e mi metto seduta afferrando la tazza di caffè ancora bollente

"Okay, okay, non fare la finta offesa "– abbasso gli occhi - "potrebbe, e dico, potrebbe esserci stato un bac-"

Non mi fa terminare la frase che fa un gridolino così acuto che mi fa sussultare facendomi arrivare tutto il caffè addosso

"Gesù Octavia! Sei una bambina" – sbuffo alzandomi dal letto per dirigermi verso il bagno – "mi ero alzata bene "

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